CantaNapoli - Il processo
Il solito menu? Macché. E’ qui la festa /3
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- By Vincenzo Ricchiuti
“Caro Cipe, mi parlavi con un filo di voce dell’Inter, proiettando il tuo pensiero in un futuro che andava oltre. Qualche mese fa ti chiedevo un po’ scherzando un po’ sul serio come mai non riuscivamo ad avere un arbitro amico, tanto da sentirci almeno una volta protetti, e tu, con uno sguardo fra il dolce e il severo, mi rispondesti che questa cosa non potevo chiedertela, non ne eri capace. Fantastico. Non ne era capace la tua grande dignità, non ne era capace la tua naturale onestà, la sportività intatta. Grazie ancora di aver onorato l’Inter, e con lei tutti noi”- lettera d’addio di Massimo Moratti a Giacinto Facchetti, 2006.
Caro Ciope, sono passati 4 anni. Il futuro è andato oltre la sua tomba per davvero. Il fil di voce? Sfido. Non era capace solo di sembrar suonato a te. Due volte a settimana, a Bergamo, si sentirà che cantava, eccome”.
L’avrei scritto quella sera stessa del 30. Per l'indomani mattina. E’ il mio primo pensiero. Nelle stanche del processo, si parla solo di quello. Del Cipe al telefono. Dietro le quinte di un ormai spremuto Auricchio, c’è un fantasma e la sua opera. Davanti, le rifiniture ad un eroe oramai sconsacrato.
Avv.to De Vita, difesa Bergamo. Chiede se le mille e mille e migliaia di telefonate di Bergamo siano state ascoltate tutte. Auricchio prima fa intendere di sì (“di tutte c’è un brogliaccio”). Poi fa capire di no (“c’è l’indicazione di ogni contatto telefonico”). Non tutte sono state ascoltate: di tutte c’è chi ha chiamato chi ma non di tutte c’è chi ha chiamato per cosa. Riscontri sulle partite ? Una sì, l’altra no. L’altra no, Reggina-Messina, è quella gara falsata dall’assistente Ambrosino promosso con giudizio finale 8,60. Nulla di strano. Talleyrand lo diceva: il crimine, il peggior crimine, si può fare solo con l’eccesso di zelo.
Avv.to Picca, difesa Della Valle. Dimissionario proprio in quelle ore in cui si sta difendendo. Quasi a chiudere il cerchio, volendo. Si sa come sono andate le cose per gli investigatori. C’era una volta il calcio italiano dominato dai soliti noti. Arriva il novista che vuol fare le scarpe (in tutti i sensi) a combriccole e vecchi merli. E allora si fa come ogni buona camorra si rispetti. Prima lo si taglieggia. Lo si mette in pericolo. Lo si sequestra. E poi gli si offre la liberazione: come riscatto, la sottomissione. Questo è quanto sarebbe successo nel 2004-2005 tra lo scalatore in Tod’s dalla schiena rimasta piegata e la Cupola che ha mandato la sua innocenza all’Inferno, andata e ritorno. L’avvocato della “Traviata” ha bei capelli bianchi e nessuna voglia di farne torcere al suo cliente, “la vittima”, più del necessario. La parte dei riscontri concreti sulle doglianze dei viola la lascia per ultimo. Perché è la meno importante. Sulla Fiorentina avranno investigato un mesetto scarso, un quarto d’Aprile metà Maggio, dalla telefonata Mencucci/Mazzini all’incontro segretissimo, alla carbonara magari più che carbonaro, di Della Valle con Bergamo nell’albergo solito del Della Valle. Incontro avvolto da mille misteri, che Auricchio manco l’autorizzazione a svelarli con quelle quattro cimici al tavolo che non si negano a nessuno s’era ricordato di chiedere. Incontro nel porto delle nebbie di una residenza scelta tra tutte quelle meno accessibili all’occhio umano, non sul pizzo di una montagna ma a venti minuti dal traffico in pieno centro. Meeting tra bambini in gita e seminari aziendali sulla barbabietola da zucchero o sul come mai gli inglesi al cinema vengono a villeggiare proprio in Toscana, decisivo per aiutare la squadra viola. Una settimana prima che Zauri della Lazio quasi mandasse la Fiore in serie B. Poca roba, reazioni scontate. Su una delle squadre meno belle del calcio italiano ma di una delle città più belle del mondo, l’accusa ha una teoria dei giochi (all’aspirante brigante Della Valle, brigante e mezzo della vecchia mala) maturata a posteriori in uno scarso mesetto di teorizzazioni e verifichine. Infatti. Di soldi e diritti tv, il cuore del possibile affare, il resto di niente. Quel poco di arrangiamento artigianale fatto o meglio tentato in proprio secondo le amate intercettazioni (Lotito che pare faccia intuire un proposto biscotto del Della Valle nello scontro diretto, guarda caso tra l’altro finito proprio in un pari, o il direttore Lucchesi, uno che la stampa a Napoli troppo spesso moralista per imitazione tirò fuori ultimamente per rimandare al mittente Luciano Moggi, tirato in ballo de relato per rodomontesche fanfaronate sul comprarsi tutte le gare per una salvezza dei viola, praticamente più da spaccamontagne che da corruttori prudenti) del tutto obliato. In favore degli amati War Games. La stessa madre di tutte le domande, come mai sapendo ora, data e luogo dell’incontro tra i Della Valle e i “rapitori” della Fiorentina non avete predisposto alcun tipo di intercettazione ambientale dentro il locale e ve ne siete rimasti lì, a guardare da dietro i vetri che chissà cosa avranno pensato di voi, partorisce una risposta piccola piccola da The Best of Auricchio. S’era a maggio, la chiusa indagine, oramai s’era quasi al mare. Insomma, stavano a guardare non il capello ma l’orologio. In attesa del rompete le righe (quelle bianconere) per andarsene in ferie. Stavan così. Praticamente in mutande. Ma tutto questo Picca lo sa, lo sa che Auricchio sui riscontri buca ancora. E allora il meglio lo dà all’inizio. Rubando il turno di parola alla Morescanti. Prima che il torpore dei non ricordo del Colonnello, cui serve sempre una seconda occasione, la seconda domanda, la prima per il non e la seconda per il non ricordo, rubi la scena a ciò che la difesa vuole farci capire. E che sarà mai questa cosa. Fa notare ad Auricchio come in fin dei conti questo pericolo Della Valle per la vecchia solfa del calcio italiano, movente per la persecuzione dei viola, fosse di molto relativo. Come tutta la grancassa mediatica e parolaia inevitabile per un nuovo arrivato non avesse causato traumi al di là di un pour parler come tanti. Si sa l’inizio dei Viola, dei Gazzoni, dello stesso e recente grand’ingresso del De Laurentiis. Tonitruanti muscolarismi à la Bartali, stucchevoli titoloni di Grande Riforma sul primitivo ed arretrato bestiame del calcio. Tutto da rifare ed ammaestrare. Poi. Due rigori non dati e cambi anche tu l’allenatore. Si sa come comincia la vita: si nasce eccitati incendiari e si finisce annoiati dimissionari. Non era un periglio il pivello oltre una epidermica e gossippara rottura di coglioni tra veterani, scocciati più che altro di dover cambiare il cerimoniale dei posti a tavola e dell’inevitabile fracasso per lo spostamento di orari, piatti del giorno, (neo) dischi rotti e coltelli spuntati sull’eterno e immutato menu. Ad esempio. Senza scomodare le intercettazioni di Moggi nelle quali proprio il Gran Capo del Chi non si ferma è perduto parlava con tranquilla indifferenza dello stallo istituzionale causato dal “movimiento” del Della Valle e cpn neutra e soave, rassegnata, indulgenza senza alcun tremendismo o Mamma li viola del possibile commissariamento. Senza fare riscontri con le telefonate. Proprio il tema clou delle designazioni degli arbitri, proprio l’arma di ogni possibile delitto di ogni degna Reazione avrebbe visto trionfare, con il designatore unico per l’anno dopo, il programma dei sovversivi. Un programma che prevedeva, sì, l’abolizione dei due designatori. Che, evidentemente, tanto vasto e pericoloso come l’abolizione dei cretini non doveva poi essere.
continua...
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Il solito menu? Macché. E’ qui la festa /4
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- By Vincenzo Ricchiuti
“Silvia, sei uno splendore!”. Ambrosino, l’assistente tirato in ballo per uno zero in Reggina-Messina dove un niente e prendeva 10, ha la fortuna sfortuna di essere sempre il primo all’appello del Presidente Casoria. Come se fosse tutta colpa sua. Però anche l’occhio lungo. E buon gusto.
Silvia Morescanti ha gonna corta e vezzosi bottoni blu. E’ la sua giornata. L’avvocatessa delle mille deleghe strada facendo, da Fabiani a Bergamo a Racalbuto (e dovesse, il cielo, secondo me pure Auricchio non disprezzerebbe), è alla battuta. Di solito, non caccia mai a vuoto. La sua giornata. Lo sanno tutti. Quel che conta, lo sa lei. In pausa si pavoneggia felice. Sa forse di essere bella, nessuna donna lo sa alla fin fine, ma di sicuro sa di avere una difesa. Una primavera di burro d’acciaio.
Nel contro interrogatorio più tardi farà una gaffe incredibile con il teste ma la coprirò non scrivendone come si dovrebbe. Aveva gli occhi troppo felici quella mattina e non sarò certo io a smorzare lo sguardo contento di una giovane donna di Roma. Dopo De Santis, magari ha ritrovato l’amore. Delle donne felici in fondo si dice sempre così. E allora per quanto brilli l'avrà trovato per forza. In pausa guardava l'avvocato che le aveva fregato il turno della replica e gli diceva, voi uomini siete tutti falsi e bugiardi, solo come lo dice una donna innamorata. Non dell'avvocato ovviamente. Mi sa di uno dei moggiani ambulanti. Antonello Angelini. L'altra volta all'udienza c'era anche lui. Per lei un parlargli fitto all'orecchio, per lui c'eran pacche sulle spalle dagli altri maschi quando lei se ne andava. Auricchio invece è rimasto. In mezzo alla gente in aula, ai detriti di dove è passato. Mi sovviene una cosa che non c’entra in quell’aula, perché le carogne che ho visto passare nella mia vita chiedendo pazienza m’hanno insegnato che la Storia non la scrivono al chiuso. Specie, come nel calcio, se si è fatta all’aperto. Quella di Johnny Dorelli. La cosa della nullità nell’immensità. Per fortuna che l’attualità salva l’uomo dalla retorica. C’è Facchetti ovunque, persino sulle sedie. E sì che ci sono ben altre cose da ricordare.
“Se ne sono lette, su Giacinto Facchetti. Che lo chiamavano Cippelletti, che già ai suoi tempi il danaro nel calcio stava circolando “in dosi venefiche” ma il povero Facchetti non se n’era accorto, non lo sapeva, non poteva saperlo, non voleva, che era una statua, non aveva malizia tecnica, che gli mancava ogni furbizia dialettica, che era l’immagine del calcio generoso, che lo chiamavano il gigante buono, che era considerato un corazziere messo lì per parlare con l’Uefa, che aveva infatti quel bel nome di vegetale, che era stato persino registrato sul cellulare di qualcuno come “Olmo Facchetti”, perché lui era un olmo piantato sulla strada tra Crema e Treviglio, e giù intanto un altro bell’epiteto da vegetale, poi che sapeva prendere a spallate il tempo, un bergamasco senza montagna e senza accento, però con le qualità morali dei bergamaschi, e via con un’altra serie di stronzate del genere. E fin qui, pazienza. Finché non son arrivati a scrivere che “aveva una spiccata simpatia per la categoria dei giornalisti”. Ma se lo facevano davvero così fesso, questo a Facchetti glielo dovevano dire sul muso”. Andrea Marcenaro, Il Foglio, 06/09/06.
Sto nel 2006. Auricchio no.
In pausa, sta tra gli avvocati. A prender da loro una mentina per, magari, farsi tornare la voce. A far no no con la testa. Rilassato, s’è tolto gli occhiali. Tranquilli. Non ha riacquistato la vista. La parola alla Morescanti ed il colonnello per non perdersi il bello li rimette d’istinto. Tacendo.
Bergamo? Nessuna telefonata di Bergamo ad un arbitro con l’ordine di servizio per una gara. Come li pilotasse non si sa. Di certo non al telefono, seppur a certe distanze a voce difficilmente riesca. Ma non vuol dire. Ci sono persone che sentono voci. Andreotti direbbe che se non stanno truccando la Serie A del 2005 stan risanando il bilancio delle Ferrovie dello Stato.
Fabiani? Il sergente Garcia della Cupola. Il luogotenente. Su di un numero di telefonate tali da pareggiare il Pin di Pechino, sul vice Cupola appena due squilli del Telefono amico. In cui, di lui, se ne parla. Male, però se ne parla. “Non mi piace, non mi piace, non mi piace”. Una associazione matrigna, poco tenera coi suoi viceré. Ma si sa, il crimine non paga, figurarsi se fa i complimenti.
La Casoria sorride. Potendo, chioserebbe questi scambi intra moenia di questa Cupola à la Fight Club come l’altra volta quelli dell’altro vice, il De Santis. Per esclusione: “figlio di puttana, sicuro c’è”.
Esame di sorteggio. Morescanti domanda. Fa il poliziotto buono e il poliziotto cattivo. La prima domanda di solito è facile. La seconda, mai. Verificato se il sorteggio era pubblico? Sì. “Controllata la casualità d’estrazione se diminuisce il numero griglie?”. Eh? Verificato se certe squadre di prima fascia stavano sempre nella griglia della prima fascia? Sempre! “Sempre?”. “Sempre non lo posso dire”. Ecco. Le grandi sempre in prima comunque. “Non in senso assoluto”. Verificato? “Non sempre”. Gli assoluti devono essere vietati ai carabinieri. Dev’esserci quasi sempre una circolare in tal senso. Un sorteggio è fatto di due palle, dei nomi e un notaio. Arbitri. Prendiamo due a caso. Toh. De Santis e Racalbuto ad esempio. Erano in prima griglia? “Abbiamo acquisito i dati”. “Lo sa o non lo sa?”. Auricchio nel dubbio se lo sappia o non lo sappia la butta in politica. Esclude il sempre. Morescanti ha studiato. Conosce l’opinione di Auricchio riguardo i notai. Lo mette a suo agio. Chiede al graduato di rispiegarci perché la presenza dei notai al sorteggio non poteva dare irregolarità dovendo dare solo regolarità. Una cosa esclude l’altra, se non lo sapete. Auricchio risponde comodo e Morescanti allora lo riporta, lui e noi tutti, alla dura realtà. Al cuore di ogni sorteggio che Domineddio mandi in terra. Al cuore, Auricchio. Due palle. Chi e cosa estraeva per primo. Auricchio quasi si scusa. Sembra un po’ Signorini quando gli chiedon le fonti. “Riporto un de relato”. Porta chi ti pare. “Due urne, una per le partite, l’altra per gli arbitri. Pairetto sorteggiava gli incontri, Manfredi Martino i direttori di gara”. Sicuro? Auricchio ha una parola sola. “Pairetto le gare, Bergamo gli arbitri”. E’ il momento della domanda per la lode. Quando venivano scelti gli assistenti? “Quando? Li sceglieva il vice Commissario Can”. Quando, non Mazzei. “Le scelte fatte da Mazzei venivano poi rivisitate in un altro momento. Successivo al sorteggio”. Morescanti che come ogni donna sicura di sé non si fida degli assoluti di un uomo verifica. “ Perché dite questo? Avete indagato?”. Auricchio ha la pezza d’appoggio. “Dopo il sorteggio girava un documento con gli arbitri e non gli assistenti”. Morescanti quella carta canta la chiama deduzione. Auricchio? “Lo deduco”. Ma Lei è sicuro che quelli che estraevano erano sempre o sempre non in senso assoluto se preferisce i designatori? “ L’estrazione della seconda pallina per prassi veniva fatta da un giornalista. Solo in quelle volte che ci stavamo noi, no”. Sempre cioè quasi sempre? Solo due. Insomma. Come volevasi dimostrare. Il sorteggio era truccato mediante le sfere usate e riconoscibili al tatto? In Italia si sa che sono quasi sempre e non in senso assoluto i giornalisti a romper le palle.
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- By Vincenzo Ricchiuti
De Santis? “Moggi l’ha perdonato”. Teresa Casoria è così. Fatta di lampi d’umanità brusca e commendevole. Quante volte è venuta in soccorso del diritto alla difesa. Mamma. Non si contano. Per gli juventini col tempo questa donna è diventata come “La cura” di Battiato: un essere speciale. Conosce le leggi del mondo e forse ce ne farà dono. Oggi però non c’è Narducci. Tocca salvare Auricchio (da Parma-Juventus) per andare avanti. Ma gli avvocati sono meno sensibili delle donne, specie di quelle che hanno fretta. Gallinelli sembra quello per il quale le parole, belle o inutili che fossero, stanno tutte al cimitero. Vuole i fatti. La questione è lo sdoganamento dell’arbitro De Santis. Secondo Auricchio, l’arbitro romano avrebbe fatto parte dell’associazione sino al Febbraio del 2005. Allorché, ricevuta la notifica della proroga delle indagini su di lui da parte dell’autorità giudiziaria, avrebbe dato vita al cosiddetto “sdoganamento”. Avrebbe cioè arbitrato contro gli interessi dell’associazione per sviare furbescamente i sospetti degli inquirenti e, perché no, trovandosi facendo assecondare gli interessi di altri. Il Milan. I propri. Comincia un balletto di date da far perdere la testa. Lo sdoganamento di De Santis per Auricchio è tutt’altro che lineare ma peggio di un gambero. Un passo avanti, due passi indietro. Incomprensibile ma comunque rosso dalla vergogna. Si parte. De Santis fuori dall’associazione a partire dal Febbraio del 2005. Parma-Juventus del rigore negato a Del Piero è del 6 Gennaio 2005, quindi precede lo sdoganamento. Per Auricchio, è arbitraggio in linea con l’opera continuativa del De Santis pro-Juve. Infatti. Non ha danneggiato la Juve anzitutto per tutta evidenza, essendo il pari risultato diverso dalla sconfitta. Poi ci sarebbero i comportamenti fattivi dei team. Cinquini del Parma si sarebbe lamentato dell’arbitraggio a fine gara e quindi le lamentazioni del Parma provano che l’arbitraggio non ha danneggiato la Juve. Moggi stesso a fine gara non avrebbe dato di matto e dunque l’arbitraggio non ha danneggiato la Juve. Se non l’ha danneggiata, De Santis era ancora associato.
Gallinelli ha qualcosa in mente. Adopera la tattica Moggi: “fateli parlare parlare e parlare ancora, ‘ché si inguaiano da soli”. Palermo-Lecce 3 a 2 è del 20 Febbraio 2005: De Santis da sdoganato (siamo a Febbraio inoltrato) compie atti da associato. Ammonisce i diffidati Finardi e Rullo del Lecce, impedendo loro di difendere la propria squadra nell’incontro successivo col Messina, il socio della Juve. Per Auricchio, lo sdoganamento data Febbraio ma, è vero, nessuno lo ha sentito specificare il giorno. Che so, il 21.
Fiorentina-Milan è del Primo Maggio del 2005. Termina due a uno in favore del Milan e proprio la giornata prima dello spareggio scudetto Milan-Juventus. Arbitro? De Santis. “No, Farina”. “De Santis, Colonnello”. Tanto che, Gallinelli prosegue, non aver ammonito i diffidati del Milan “sarebbe la prova dello sdoganamento per rapido calcolo di convenienza pro Milan”. E sfido. De Santis avrebbe potuto per lo scontro scudetto con i bianconeri privare la squadra rossonera di diffidati del calibro di Rui Costa, Nesta e Seedorf. Altro che Finardi, Rullo, Nastase e comparse del genere. Auricchio annuisce, Gallinelli finalmente gli sta dando ragione. E’ vero, è vero. Questa è la prova madre che giustifica logicamente l’associazione a delinquere in favore della Juventus nonostante le tante evidenze contrarie. Che importa se De Santis in precedenza aveva ammonito diffidati Juve di pari e grosso calibro come Ibrahimovic, anzi. Quando è successo (con l’Inter) era Aprile. A quell’epoca De Santis era sdoganato e se era sdoganato vuol dire una cosa sola. Associato, associato, associato. Ad Auricchio la voce si fa comprensiva e impaziente come quando hai una donna che ti ha appena detto di si. Portasse ancora i baffi se li leccherebbe. Non ci fossero donne, fischietterebbe. Farebbe insomma quel che fanno gli uomini in media quando l’hanno appena avuto vinta. Si fregherebbe le mani se non si fosse appena fregato da solo. Perché è a quel punto che Gallinelli, chiudendo le gambe (del discorso) che aveva aperto, lo prende in trappola. Non esiste alcuno sdoganamento. Non per Juventus-Inter, non per Fiorentina-Milan. La notifica di proroga indagini che avrebbe dirottato l’associato De Santis verso cinici arbitraggi contro gli interessi della Juventus e sue protette non risalirebbe al Febbraio del 2005. Bensì, al Giugno. Gallinelli ha la prova documentale. La mostra a tutti. Meglio di un lenzuolo virginale. La consegna al collegio perché l’alleghi agli atti. Perché tutti lo devon sapere. Adesso tutti lo sanno. De Santis era vergine. De Santis non avrebbe saputo che a Giugno del 2005 di essere attenzionato dall’autorità giudiziaria. Ergo, è tutto da rifare. Ergo, il De Santis avrebbe danneggiato la Juve quell’anno, come risulta dalle intercettazioni proprio di Moggi (“ci costa almeno sei punti, se noi perdiamo il campionato è colpa sua”), senza alcun calcolo dietro. L’ha danneggiata semplicemente facendo l’arbitro e non il dissociato. L’associazione provata dallo starne fuori, questa strana associazione provata paradossalmente dalla dissociazione dopo quel foglio non esiste più. Gallinelli continuerà ad incalzare Auricchio. Ma sarà del tutto pleonastico. Interpretando il sentimento comune di noi tutti in aula, dopo quel foglio il colonnello forse per rispetto quasi non risponderà più. Sui rapporti di Moggi con i giornalisti per difender De Santis. Con Moggi che per far difendere De Santis chiama dopo Fiore-Milan Franco Melli per criticare l’operato dell’arbitro romano. Con la Gazzetta che prima di Reggina-Cagliari parla di sgradimento da parte (anche) della Reggina ed Auricchio che pignolo fa notare che della Gazzetta loro prendevano solo i pezzi di commento alle gare. E poi dicono che stare nel posto e nel pezzo giusto non cambi la vita. Gallinelli sempre a proposito di quella gara e di stare sul pezzo riuscirà persino a far dire al Presidente Casoria che “il teste non vuole rispondere”. E fa bene. Quando risponde, fa peggio. Ma gli avvocati e il silenzio non vanno d’accordo. L’uomo coi ricci che difende De Santis trionferà su Auricchio, il quale dopo esser stato processualmente sedotto ed illuso ora probabilmente vorrebbe soltanto essere abbandonato. Lo farà tenendolo a terra. Buttandola sulle basi. Sul senso pratico. “Quali i vantaggi che ha conseguito De Santis dall’associazione?”, “Mondiali 2006 e il maggior numero di partite da arbitrare”. Colonnello, ma se ai mondiali è andato Rosetti e più di lui hanno arbitrato Farina, Rosetti e persino un Trefoloni. Su Livorno-Siena dell’8 Maggio, capo d’imputazione perché arbitrata da associato sette giorni dopo aver arbitrato da sdoganato Fiore-Milan, partita rovinata dal De Santis per “futili e abietti motivi” (andare contro il “nemico” Spinelli), partita manipolata dal De Santis contro il Livorno espellendo Galante per un calcio che aveva realmente dato e concedendo un rigore al Livorno per farlo pareggiare. Con un De Santis in aula a chiedere ad alta voce ad Auricchio, a qualcuno, a una guardia che dà le informazioni, al senso comune, a quel sentimento popolare che per quel giorno lì ed altri quattro anni fa inseguiva una sua chimera, ma insomma, in questa partita, in quella stagione alla fine. “Che ho fatto?”.
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Auricchio, com'è possibile?
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L'affaire delle intercettazioni "non pertinenti" ha fatto decisamente il salto di qualità con la pubblicazione di alcune intercettazioni tra Leonardo Meani, l'addetto agli arbitri milanista, e i due designatori, Bergamo e Pairetto. Intercettazioni decisamente impertinenti. Leonardo Meani, infatti, a differenza di Giacinto Facchetti, Massimo Moratti e Massimo Cellino, non soltanto figurava tra i soggetti indagati dagli inquirenti nell'indagine napoletana, ma è stato successivamente rinviato a giudizio, e si trova oggi a processo a Napoli, davanti al giudice Casoria. Com'è possibile quindi che le due intercettazioni che vi abbiamo proposto siano state accantonate in favore di altre decisamente meno significative?
Il discorso è valido su due piani: il primo piano è quello delle imputazioni a Meani, che si arricchisce di qualche elemento, evidentemente. Il secondo è quello delle imputazioni ai dirigenti juventini, dei quali meglio si può comprendere il contesto in cui operavano: un contesto fortemente competitivo in quanto a pressioni sulle istituzioni.
Una di queste telefonate si colloca addirittura nel periodo clou della stagione, e non poteva non interessare gli inquirenti, a nostro avviso. E' la telefonata del 28 aprile tra Meani e Bergamo in cui si discetta di guardalinee da inviare per le partite del Milan. La telefonata si apre con una discussione che parrebbe riguardare i guardalinee per la prossima partita dei rossoneri, che sarebbe il 30 aprile contro la Fiorentina; ma a un certo punto, dopo che Bergamo ha invitato Meani ad affrontare una cosa per volta, il milanista gli chiede quali guardalinee abbia intenzione di mandare per la partita contro la Fiorentina, a suggerire quindi che prima si stava parlando non del match imminente, ma di quello di una settimana dopo. Ovverosia: Milan-Juventus, con arbitro Collina e guardalinee Mitro (come Bergamo preannuncia a Meani nove giorni prima) e Farneti. La partita, conclusasi 0-1, che lo stesso Auricchio ha ammesso di non avere attenzionato, seppur rappresentando il clou per lo scudetto.
Vediamo entrambe le partite.
Fiorentina-Milan 1-2.
Stagnoli e Ayroldi, i guardalinee per cui Bergamo si premura di chiedere parere a Meani, e quest'ultimo mostra di gradire, vengono poi effettivamente designati per la partita con la Fiorentina, accanto a Massimo De Santis, a dirigere la gara. Partita che genererà poi molte polemiche, per la mancata espulsione di Stam (sarebbe quindi stato assente contro la Juve) e un possibile rigore su Miccoli, e che concludeva un trittico particolarmente fortunato per il Milan, dopo gli arbitraggi di Paparesta (con sbandieramenti di Puglisi) contro il Chievo e di Rosetti contro il Parma, un trittico che aveva fatto infuriare la dirigenza bianconera, convinta di assistere a un trattamento non equo tra le due contendenti per lo scudetto.
E cosa ne pensano gli inquirenti? Dopo tutto, effettivamente, in questo periodo in cui Bergamo si premura di presentare in anteprima a Meani i guardalinee, non contestano alcuna frode sportiva alla Juventus. Milan-Juventus è alla 35sima, e nelle tre giornate precedenti la Juve non si muove. Si muoverebbe alla 31esima per influenzare il risultato di Siena-Milan, arbitro Collina, ma l'assistente Baglioni e Giraudo sono già stati assolti nel processo con rito abbreviato. Quindi nulla. L'ultima frode contestata risale quindi a undici giornate dalla fine: Roma-Juventus 1-2. La partita in cui Racalbuto non espelle Dacourt per fallo da rosso su Blasi, Cufré per il pugno a Del Piero, e annulla un goal regolare a Ibrahimovic. Non è che questa Cupola si dia poi tanto da fare, mentre i designatori si consultano con Meani, nel periodo decisivo della stagione. Nel periodo decisivo.
Diciamoci la verità: questa telefonata rappresenta una prova decisiva, decisiva, nel considerare il ruolo di Bergamo come affatto integrale a un'ipotetica associazione a delinquere, guidata da Moggi.
Una prova decisiva accantonata, tralasciata, dimenticata, occultata. Scegliete voi.
Milan-Juve 0-1.
Sappiamo da altra telefonata che per questa partita Meani non solo discute con Bergamo i guardalinee, ma conosce dallo stesso designatore gli arbitri da mettere in griglia: Collina (che sappiamo essere gradito ai rossoneri), Paparesta (Meani stesso riferisce a Collina che secondo lui De Santis sta alla Juve come Paparesta al Milan) e Trefoloni. Per quest'ultimo Meani si raccomanda con Bergamo: che gli si faccia un bel discorsetto.
Uno dei due guardalinee menzionati in anteprima, Mitro, verrà poi designato per la partita, insieme a Farneti, non citato in questa discussione.
Episodi dubbi della partita? Mancata espulsione per Nesta, valutazione discrezionale di Collina, e possibile rigore di Zambrotta su Cafu, nella zona dove vigila Mitro.
Ad ogni modo: Bergamo, secondo gli inquirenti, è integrale a una Cupola guidata da Moggi, ma le sue decisioni sulla partita-scudetto passano al vaglio dell'unico avversario della Juve nella lotta allo scudetto, che dà parere positivo sui tre arbitri da mettere in griglia, e su un guardalinee. Vorrà dire qualcosa?
Sì, per forza, vuol dire qualcosa.
Milan-Messina 1-2.
A questa partita fa invece riferimento la telefonata inedita tra Meani e Pairetto. Una telefonata identica nella sostanza a quella tra Moggi e Bergamo, in cui la "griglia" di arbitri viene discussa, insieme ai dirigenti delle squadre, e si procede poi come pensato dal designatore.
La telefonata tra Moggi e Bergamo era stata ritenuta una prova a sostegno dell'ipotesi di associazione a delinquere, e qui invece vediamo succedere la stessa cosa, con un competitore della Juve. Com'è possibile che in un caso sia la prova principe dell'associazione a delinquere, e nell'altro caso, telefonata intercettata a Torino, venga invece giudicata non pertinente?
Chiariamoci: in entrambi i casi, il designatore non si fa imporre niente. Nel caso di Moggi, però, viene messo nella griglia e poi designato, un arbitro, Rodomonti, che non era tra quelli pensati da Moggi. In questo caso uscirà Rosetti che, invece, viene nominato per primo da Meani (mentre non è inserito Pieri, va detto). Considerato che queste telefonate rappresentano con tutta evidenza un' ulteriore prova che il sorteggio non era affatto truccato, non cambia poi molto.
Certo Meani era in prima linea già alla terza giornata!
Il solito menu? Macché. E’ qui la festa /1
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- By Vincenzo Ricchiuti
Napoli, 30 Marzo del 2010, Processo a Calciopoli. Prosegue il controesame del teste Auricchio da parte delle difese degli imputati per quell’associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, cui l’attuale tenente Colonnello dei Carabinieri Attilio Auricchio deve ai sensi di legge non solo una fiction. Quantomeno una spiegazione. Oggi è il suo compleanno. Auricchio compie gli anni, quaranta. E che sia festa lo si capisce dal completino corto e color carta di maccheroni della Morescanti. Gambe perfette, e un sorriso per tutti. Prima che inizi l’udienza noto il via vai di Nicola Penta, il consulente sportivo della difesa di Luciano Moggi. E’ un valore aggiunto quell’uomo. La memoria vivente di tutta l’inchiesta, file dopo file. L’avesse ingaggiato l’accusa, altro che non ricordo. Ha davanti a sé un pc e sullo schermo ci sono dei numeri. E’ l’utenza di Bergamo. Penta ha scoperto le famigerate telefonate ricevute sul cellulare dall’ex designatore degli arbitri da parte dei Moratti, Cellino, Facchetti. Insomma, da parte di tutto il calcio italiano, non solo da Moggi. Come allora, tra l’altro, era lecito fare. Sono migliaia queste telefonate. Solo Cellino, sembra un centinaio. Facchetti pare chiamasse fisso due volte la settimana. Vedremo. Narducci è assente. C’è Capuano, che di Narducci è l’antitesi. Giovane giovane e dalla pesante cadenza. Arriva Auricchio, il festeggiato. La difesa De Santis, avvocato Gallinelli (un tosto romano pieno di ricci che sembra uscito da un film di Pasolini), può ricominciare.
Si discute anzitutto dei vantaggi indiretti che l’arbitro romano avrebbe apportato alla Juve. E sue collegate. Primo caso, Fiorentina-Bologna. E’ uno dei capi d’imputazione. De Santis, secondo le informative dei carabinieri di Auricchio, avrebbe, secondo una “strategia complessiva” dell’associazione con Moggi, Bergamo e Pairetto, diretto la partita previa alterazione del sorteggio e durante la medesima ammonito dolosamente i diffidati del Bologna Petruzzi, Nastase e Gamberini facendoli squalificare e saltare la successiva gara del Bologna con la Juventus. Questo sarebbe il vantaggio per i bianconeri. Nonostante fosse già emerso il procedimento penale su Gabriele e Palanca e quindi De Santis potesse, secondo i ragionamenti svolti la scorsa udienza, lasciarsene influenzare ed arbitrare per non destare sospetti contro la Juve, Auricchio assicura che pur conoscendo l’esistenza del procedimento il De Santis non solo non era turbato. Era persino tranquillo e quindi libero di agevolare indirettamente la Juve. Intercettazioni al riguardo tra gli associati Moggi-De Santis-Bergamo-Pairetto non ce ne sono. Esistono solo due dati. La presunta intercettazione ambientale Moggi-Racalbuto alla quale Prioreschi subito si oppone. E una telefonata tra Luciano Moggi ed il giornalista Tony Damascelli. Quella del delitto perfetto. Nella quale è Damascelli che chiama Moggi, Damascelli soltanto a dire “delitto perfetto”, Damascelli a sbagliare il numero degli ammoniti. Due e non tre. L’avvocato approfondisce la questione del dolo: c’erano le ammonizioni a Petruzzi e Nastase ? Auricchio che ha accertato gli ammoniti solo a mezzo referto afferma di non aver la possibilità di riscontrare. Testuale: non ha letto i giornali. Li ha riportati ma non usati come riscontro. Per lui valgono solo le intercettazioni. A questo punto l’avvocato coi ricci lo mette alla prova. Tira fuori l’intercettazione Meani/Bergamo in cui si parla della severità arbitrale di De Santis in Fiorentina-Bologna. Auricchio ammette che l’interesse di Meani sia stato utilizzato come sospetto contro De Santis. L’avvocato a questo punto chiede come mai nell’informativa sia stata recepita la telefonata sino a un certo punto. Per poi andarsene con i puntini di sospensione.
Legge l’integrazione del colloquio con Bergamo che a proposito di Petruzzi dà ragione a De Santis. Ma Auricchio nega tagli ed assicura integrità. Complessiva.
De Santis secondo il teste sarebbe addirittura recidivo. Lo stesso vizietto delle ammonizioni ai diffidati lo avrebbe manifestato nella partita Reggina-Messina dove avrebbe ammonito due giocatori della Reggina, Balestri e Bonazzoli, proprio prima della gara con la Juventus. E poco importa del peso specifico dei due calciatori, previene ormai smagato l'ovvia contestazione. Non è più la sua prima udienza. Si sappia. Rispiega quindi per l’ennesima volta il suo metodo: non andavo nel merito tecnico ma facevo valutazioni nell’ambito di telefonate. Benissimo. Ogni volta che lo dice sembra chiaro. Poi. L’avvocato Gallinelli maligno: “Ci sono telefonate nelle quali si dice che De Santis deve ammonire i diffidati in favore della Juventus ?”. Se Auricchio dice sì, ce ne andiamo a casa. Anche De Santis che dopo l’ultima udienza, quando la combriccola romana è stata trasformata da dependance moggiana a quattro cittadini di Roma legati tra loro da vincoli di amicizia, non sa più chi è manco nelle ricostruzioni dell’accusa. “No”. Ecco.
Vantaggi diretti, colonnello. Passiamo a quando De Santis ha agito di persona per aiutare la Vecchia Signora. C’è Parma-Juve che è un vero macello. De Santis (secondo l’informativa di Auricchio “sfacciatamente favorevole ai bianconeri”) nega un rigore evidente (nel linguaggio dell’informativa “un piccolo particolare”) alla Juve che pareggia, mentre in contemporanea il Milan, suo avversario diretto per il tricolore, dilaga a Lecce. Accorciando il distacco in classifica. Dov’è in tutto questo il vantaggio diretto dell’arbitro romano alla squadra bianconera? Auricchio parla di una conversazione tra il 4° uomo di quella gara, un certo Boschi, e l’osservatore dell’Aia, Tullio Lanese. Boschi riferisce a Lanese di aver visto Moggi solamente “amareggiato”. Nessun altro indizio o riscontro. Penso: se Moggi era soltanto amareggiato, è sicuramente una prova che De Santis fosse colluso. Altrimenti chissà cosa gli avrebbe fatto. La revoca della patente da Biscardi, una bella lavata di testa, una chiusa a doppia mandata nel Granducato. Deve essere andata così. Per forza. L’avvocato coi ricci insiste, stanotte non vuole dormire contento. Vuole star sveglio coi dubbi. Colonnello, ma non è che c’è una telefonata Tosatti/Moggi durante la quale Tosatti parla di danni alla Juve targati De Santis? Il mancato rigore, gli juventini in diffida ammoniti.
Non è che De Santis la Juve non l’ha aiutata ma danneggiata? Auricchio lo guarda con aria ormai smagata. Quattro udienze non passano invano. Nessun danno, avvocato. Non ha perso nessuno. Perché? C’è il riscontro stavolta. Come quale.
“Ha pareggiato”.
continua...