CantaNapoli - Il processo
Le nostre informazioni ed analisi sul processo, denominato "calciopoli", che si svolge a Napoli. Dopo le interpretazioni della stampa, finalmente, pari opportunità per accusa e difesa davanti ad un giudice vero.
Scommessopoli - Secondo atto
- Dettagli
Lo scandalo esplode nel maggio del 2004, due anni prima della bomba di Calciopoli..
L'inchiesta condotta dai pm Beatrice e Narducci, in seguito alle dichiarazioni rilasciate agli inquirenti da vari pentiti appartenenti al clan dei Giuliano, approda sulla stampa nazionale rivelando la sua specificità locale. Il giro di scommettitori, faccendieri, calciatori indagati parrebbe infatti inizialmente fare riferimento all'ambiente napoletano. Napoletano, seppur residente a Verona, il boss della camorra Giacomo Cavalcanti, detto O' Poeta per l'evidente omonimia ma anche per presunte velleità letterarie, figura dominante della camorra flegrea con un passato da estremista rosso. Napoletano, più precisamente di Bagnoli, il consigliere circoscrizionale Antonio Di Dio, ritenuto il collante tra l'organizzazione criminale dell'hinterland partenopeo e i calciatori. Napoletani i calciatori implicati: da Generoso Rossi e D'Aversa del Siena ai vari Califano e Ambrosino militanti nelle serie minori.
E' proprio quest'ultimo, giocatore di scarso successo in forza al Grosseto in C2, il più compromesso, il calciatore per cui le evidenze di una vicinanza al giro di scommesse illegali sono maggiori. E sarà proprio Ambrosino in quei giorni a parlare, aiutando gli inquirenti a comprendere i meccanismi e il linguaggio degli scommettitori, decriptando il gergo ascoltato nelle intercettazioni per indicare i risultati su cui puntare e gli uomini di garanzia.
Si scopre quindi un argot non certo sviluppatissimo, in cui una vittoria fuori casa è indicata come "la periferia" e un pareggio come "un centro", ma sopratutto emergono nuovi personaggi celati dietro pseudonimi come "il parente", "il grande capo", "il santone", "il bello".
E' proprio "il bello" a dare una virata decisa non alle indagini ma al loro racconto giornalistico. Individuato l'adone nel terzino della Sampdoria Stefano Bettarini, legato alla popolare showgirl Simona Ventura, i giornali concentrano l'attenzione su di lui, personaggio mediatico per aspetto e frequentazioni. La graticola gli viene riservata per qualche mese, in cui i giornali cominciano a fare economia della parola "camorra", per concentrare le proprie attenzioni su di lui.
Il giocatore doriano è tirato in ballo per la sua amicizia con Marasco, centrocampista del Modena e suo ex compagno ai tempi del Venezia. I magistrati Beatrice e Narducci hanno di lui questa opinione: «E' chiaro come gran parte degli accordi volti a condizionare i risultati delle partite, anche di serie A e non soltanto relative al Modena, siano realizzati attraverso l' attivissima opera di Marasco, il cui ruolo centrale nel contesto delinquenziale esaminato appare del tutto evidente».
Marasco, a sua volta ex compagno nel Savoia di quello che viene ormai chiamato il pentito, Ambrosino, nega ogni addebito e contesta la sua identificazione con "il parente", spesso nominato nelle intercettazioni. Ma gli elementi a suo carico sono rilevanti, secondo gli inquirenti. In una telefonata intercorsa tra Ambrosino e tal Luigi Saracino, bookmaker di professione nell'area napoletana, l'ex calciatore del Grosseto riferisce una confidenza fattagli da Marasco, secondo il giudizio degli inquirenti. Per la partita Modena-Sampdoria si prospetterebbe un "centro" perché "il bello" nutre ancora speranze in una qualificazione per la Coppa Uefa. Un pareggio, anzichè una vittoria del Modena, disperatissimo in cerca di punti per salvarsi, perchè la Sampdoria non può frenare per la Uefa; questo Ambrosino saprebbe da Marasco. A complicare le cose un intenso traffico di sms tra Bettarini e Marasco nel periodo precedente la partita, e una telefonata avvenuta tra Marasco e Ambrosino in cui il primo direbbe che il suo presidente non avrebbe intenzione di spendere soldi per comprarsi la partita, secondo gli investigatori. Facendo intendere che questa pratica sarebbe in qualche modo diffusa. La partita per la cronaca finirà 1-0 per il Modena.
Ma a noi Bettarini interessa poco. Finirà per scontare 5 mesi di squalifica per "omessa denuncia" e non per avere truccato o scommesso sulla partita: a giudizio prevarrà la tesi di un Bettarini maniaco degli sms. Davanti alla giustizia ordinaria la sua posizione rimane aperta, con una richiesta di rinvio a giudizio datata pochi mesi fa, ma la sua immagine non risulterà compromessa. A differenza di Moggi, la cui posizione giudiziaria è in tutto simile, nessuno obietterà alla sua carriera sul piccolo schermo e alla sua costante presenza televisiva. D'altronde, tanto per ritornare a quella famosa inchiesta sul calcioscommesse del 1985, il mondo del calcio tributa oggi i giusti onori e persino una grande rispettabilità etica ad alcuni dei condannati in sede sportiva di quell'inchiesta. Basti pensare a Renzo Ulivieri, in questi giorni successore di Vicini alla guida dell'associazione di categoria, o a Ernesto Bronzetti, mago del mercato sulla tratta Italia-Spagna, e consulente di grandi società, tra le quali il Milan.
Bettarini in fondo è solo un personaggio marginale di un'inchiesta molto ampia che riguarda quella che abbiamo chiamato la vera Triade: calciatori, camorra e scommesse.
Nella ricostruzione dei Pm, avvenuta con l'aiuto delle rivelazioni di Ambrosino, le squadre coinvolte sono parecchie, dalla serie A fino ai Dilettanti, e spuntano anche nomi di dirigenti, allenatori e arbitri. In serie A sono 5 le squadre coinvolte: Chievo, Modena, Reggina, Sampdoria e Siena. In serie B squadre di prestigio come Venezia, Napoli, Como. Tra gli allenatori sono messi sotto inchiesta Papadopulo e Gigi Del Neri che guadagna dalle intercettazioni fama di incorruttibile ma deve confrontarsi con l'accusa di omessa denuncia. Tra i dirigenti spuntano nomi importanti. Il ds del Cagliari Nicola Salerno sarebbe "il santone", il presidente del Modena Amedei "il grande capo" (soprannome usato ad hoc in verità), il ds dei canarini Tosi "lo s***o". Infine gli arbitri, che condurranno l'inchiesta verso altri lidi, quelli che abbiamo imparato a conoscere con Calciopoli. Finiscono sotto inchiesta e vengono immediatamente sospesi dai designatori Bergamo e Pairetto, gli arbitri Palanca ("uomo nero") e Gabriele ("il ciociaro").
E' con l'inchiesta riguardante Palanca che le indagini prendono tutt'altra strada, in un contesto contrassegnato da una certa ambiguità e da qualche contraddizione. L'attenzione degli inquirenti si concentra su alcune frasi intercettate di Ambrosino che prima e dopo l'incontro Venezia-Messina, si dice sicuro della vittoria della squadra in trasferta. Non per un accordo tra giocatori delle due squadre, ma per la volontà dell'uomo nero, riconosciuto dagli inquirenti nell'arbitro Palanca. Ambrosino riferirebbe poi di avere ricevuto tale confidenza dal giocatore del Messina, oggi alla Reggina, Aronica. La partita effettivamente scatenerà molte polemiche e si concluderà con la vittoria del Messina e ben tre espulsi nelle fila dei lagunari. Espulsioni, va detto, giustificate: è il caso del portiere Soviero che si cimenta in una scena alla Bud Spencer, rifilando calci e cazzotti a chiunque gli capiti a tiro, e del difensore Maldonado (quello dell'acconto di Preziosi) che aggredisce fisicamente l'arbitro.
A questo punto gli inquirenti, seguendo una condotta che poi permeerà tutta l'indagine di Calciopoli, interrogano la presunta parte lesa e ne ricavano il verbo, la verità assoluta per proseguire le indagini. Vengono chiamati a deporre l'allenatore del Venezia Gregucci, già vice di Mancini alla Fiorentina, e colui che, non senza qualche elemento di dubbio nel metodo e nella sostanza del passaggio di consegne, ha ereditato la presidenza del Venezia da Zamparini, Franco Dal Cin.
Dal Cin sostiene davanti agli inquirenti l'appartenenza dell'arbitro Palanca a una fantomatica "combriccola romana", gruppo di arbitri capitanato dall'internazionale De Santis e con seguito evidentemente nella sezione romana dell'AIA, che si premurerebbe di assicurare risultati favorevoli alle squadre di riferimento della GEA, e quindi come scrivono gli inquirenti "alla famiglia Moggi".
Dal Cin e Gregucci basano la propria convinzione su un altro pilastro di Calciopoli: l'opinione comune dell'ambiente calcistico. "Si dice in giro che" De Santis e gli arbitri romani sarebbero proni al volere della GEA e quindi di Moggi. Dal Cin ha un'altra freccia al suo arco: prima dell'incontro tra la sua squadra e i peloritani, sarebbe stato avvertito telefonicamente da alcuni presidenti di essere spacciato, in quanto Palanca avrebbe condotto la partita a esclusivo favore del Messina. Fa i nomi di Cellino del Cagliari, il cui direttore sportivo era sotto inchiesta per le scommesse, Spinelli del Livorno, che comicamente i carabinieri descriveranno vicino alla GEA, ma non di un terzo presidente che l'avrebbe chiamato. Si potrebbe supporre Zamparini, presidente del Palermo e suo ex datore di lavoro, o Preziosi, che poi scopriremo suo amico. Ma questo terzo nome, comunque sia, non raggiunge la stampa.
Gli inquirenti danno grande risalto a questa deposizione, nonostante dopo tutto Cellino e Spinelli fossero antagonisti diretti del Messina nella lotta per la serie A quell'anno, e le loro parole e consigli potessero derivare da una certa, diffusa, paranoia competitiva.
Danno grande importanza a quelle che lo stesso Dal Cin, intervistato, derubrica a chiacchiere da bar.
Gli danno talmente importanza da dimenticare di testare quale possa essere la credibilità del personaggio Dal Cin, che presto andremo ad approfondire. E iniziano, a stretto giro di posta, un'altra indagine improntata a tutt'altro: la conosceremo due anni dopo con il nome di Calciopoli.
Il 5 giugno 2004 Dal Cin depone e nemmeno un mese dopo gli uomini di Auricchio sono al lavoro con un'indagine a tappeto, autorizzazioni ad intercettare e quant'altro sia necessario. Tutto per le parole di Dal Cin.
A questo punto il lettore immagina che quel Venezia-Messina sia stata la madre di tutti gli illeciti sportivi e il buon Palanca un ingranaggio ben oliato della cupola immaginata dai Pm. Invece no. La partita non è un caso di frode, secondo gli inquirenti. E sopratutto Palanca non entrerà nemmeno tangenzialmente nell'indagine sulla cupola e sulla combriccola romana, tanto che, ancora oggi, è a disposizione di Collina e Gussoni, regolarmente impiegato sui campi delle serie professionistiche. Palanca è pulito. Venezia-Messina fu una partita regolare.
Le dichiarazioni di Dal Cin, motore dell'inchiesta, non trovano quindi alcun riscontro e fondamento giudiziario. Così come la sua credibilità, nel frattempo, è scalfita da una combine con il Genoa di Preziosi al termine del campionato 2005. Gli inquirenti non se ne preoccupano e tirano avanti, tanto che quando daranno il via a un secondo giro di intercettazioni nel 2007, otterranno l'autorizzazione ad intercettare grazie alle dichiarazioni di Carbone che lo addita come faccendiere e aggiustatore di partite.
Risulta strana la fiducia assoluta accordata alle parole di Dal Cin, anche perchè l'inchiesta precedentemente si era interessata di presunti illeciti legati alle scommesse della sua squadra, il Venezia. Per strano che sia, comunque, va così. Dopo le deposizioni di Dal Cin, Scommessopoli diventa uno sperduto paesino di montagna, abitato da pochi viziosi. La giustizia sportiva opterà per la mano leggera: squalifiche di poco conto ai giocatori, squadre graziate; penalizzazione minima per il Modena. Le cronache giudiziarie non se ne interesseranno più. I rinvii a giudizio arriveranno ben due anni dopo e riguarderanno solamente nove imputati, tra cui Bettarini, Marasco e Ambrosino, non toccando i dirigenti coinvolti.
Nella prossima puntata andremo a comprendere meglio la svolta che Dal Cin imprime alle indagini, soffermandoci sulle dimenticanze dell'inchiesta sulle scommesse.
L'inchiesta condotta dai pm Beatrice e Narducci, in seguito alle dichiarazioni rilasciate agli inquirenti da vari pentiti appartenenti al clan dei Giuliano, approda sulla stampa nazionale rivelando la sua specificità locale. Il giro di scommettitori, faccendieri, calciatori indagati parrebbe infatti inizialmente fare riferimento all'ambiente napoletano. Napoletano, seppur residente a Verona, il boss della camorra Giacomo Cavalcanti, detto O' Poeta per l'evidente omonimia ma anche per presunte velleità letterarie, figura dominante della camorra flegrea con un passato da estremista rosso. Napoletano, più precisamente di Bagnoli, il consigliere circoscrizionale Antonio Di Dio, ritenuto il collante tra l'organizzazione criminale dell'hinterland partenopeo e i calciatori. Napoletani i calciatori implicati: da Generoso Rossi e D'Aversa del Siena ai vari Califano e Ambrosino militanti nelle serie minori.
E' proprio quest'ultimo, giocatore di scarso successo in forza al Grosseto in C2, il più compromesso, il calciatore per cui le evidenze di una vicinanza al giro di scommesse illegali sono maggiori. E sarà proprio Ambrosino in quei giorni a parlare, aiutando gli inquirenti a comprendere i meccanismi e il linguaggio degli scommettitori, decriptando il gergo ascoltato nelle intercettazioni per indicare i risultati su cui puntare e gli uomini di garanzia.
Si scopre quindi un argot non certo sviluppatissimo, in cui una vittoria fuori casa è indicata come "la periferia" e un pareggio come "un centro", ma sopratutto emergono nuovi personaggi celati dietro pseudonimi come "il parente", "il grande capo", "il santone", "il bello".
E' proprio "il bello" a dare una virata decisa non alle indagini ma al loro racconto giornalistico. Individuato l'adone nel terzino della Sampdoria Stefano Bettarini, legato alla popolare showgirl Simona Ventura, i giornali concentrano l'attenzione su di lui, personaggio mediatico per aspetto e frequentazioni. La graticola gli viene riservata per qualche mese, in cui i giornali cominciano a fare economia della parola "camorra", per concentrare le proprie attenzioni su di lui.
Il giocatore doriano è tirato in ballo per la sua amicizia con Marasco, centrocampista del Modena e suo ex compagno ai tempi del Venezia. I magistrati Beatrice e Narducci hanno di lui questa opinione: «E' chiaro come gran parte degli accordi volti a condizionare i risultati delle partite, anche di serie A e non soltanto relative al Modena, siano realizzati attraverso l' attivissima opera di Marasco, il cui ruolo centrale nel contesto delinquenziale esaminato appare del tutto evidente».
Marasco, a sua volta ex compagno nel Savoia di quello che viene ormai chiamato il pentito, Ambrosino, nega ogni addebito e contesta la sua identificazione con "il parente", spesso nominato nelle intercettazioni. Ma gli elementi a suo carico sono rilevanti, secondo gli inquirenti. In una telefonata intercorsa tra Ambrosino e tal Luigi Saracino, bookmaker di professione nell'area napoletana, l'ex calciatore del Grosseto riferisce una confidenza fattagli da Marasco, secondo il giudizio degli inquirenti. Per la partita Modena-Sampdoria si prospetterebbe un "centro" perché "il bello" nutre ancora speranze in una qualificazione per la Coppa Uefa. Un pareggio, anzichè una vittoria del Modena, disperatissimo in cerca di punti per salvarsi, perchè la Sampdoria non può frenare per la Uefa; questo Ambrosino saprebbe da Marasco. A complicare le cose un intenso traffico di sms tra Bettarini e Marasco nel periodo precedente la partita, e una telefonata avvenuta tra Marasco e Ambrosino in cui il primo direbbe che il suo presidente non avrebbe intenzione di spendere soldi per comprarsi la partita, secondo gli investigatori. Facendo intendere che questa pratica sarebbe in qualche modo diffusa. La partita per la cronaca finirà 1-0 per il Modena.
Ma a noi Bettarini interessa poco. Finirà per scontare 5 mesi di squalifica per "omessa denuncia" e non per avere truccato o scommesso sulla partita: a giudizio prevarrà la tesi di un Bettarini maniaco degli sms. Davanti alla giustizia ordinaria la sua posizione rimane aperta, con una richiesta di rinvio a giudizio datata pochi mesi fa, ma la sua immagine non risulterà compromessa. A differenza di Moggi, la cui posizione giudiziaria è in tutto simile, nessuno obietterà alla sua carriera sul piccolo schermo e alla sua costante presenza televisiva. D'altronde, tanto per ritornare a quella famosa inchiesta sul calcioscommesse del 1985, il mondo del calcio tributa oggi i giusti onori e persino una grande rispettabilità etica ad alcuni dei condannati in sede sportiva di quell'inchiesta. Basti pensare a Renzo Ulivieri, in questi giorni successore di Vicini alla guida dell'associazione di categoria, o a Ernesto Bronzetti, mago del mercato sulla tratta Italia-Spagna, e consulente di grandi società, tra le quali il Milan.
Bettarini in fondo è solo un personaggio marginale di un'inchiesta molto ampia che riguarda quella che abbiamo chiamato la vera Triade: calciatori, camorra e scommesse.
Nella ricostruzione dei Pm, avvenuta con l'aiuto delle rivelazioni di Ambrosino, le squadre coinvolte sono parecchie, dalla serie A fino ai Dilettanti, e spuntano anche nomi di dirigenti, allenatori e arbitri. In serie A sono 5 le squadre coinvolte: Chievo, Modena, Reggina, Sampdoria e Siena. In serie B squadre di prestigio come Venezia, Napoli, Como. Tra gli allenatori sono messi sotto inchiesta Papadopulo e Gigi Del Neri che guadagna dalle intercettazioni fama di incorruttibile ma deve confrontarsi con l'accusa di omessa denuncia. Tra i dirigenti spuntano nomi importanti. Il ds del Cagliari Nicola Salerno sarebbe "il santone", il presidente del Modena Amedei "il grande capo" (soprannome usato ad hoc in verità), il ds dei canarini Tosi "lo s***o". Infine gli arbitri, che condurranno l'inchiesta verso altri lidi, quelli che abbiamo imparato a conoscere con Calciopoli. Finiscono sotto inchiesta e vengono immediatamente sospesi dai designatori Bergamo e Pairetto, gli arbitri Palanca ("uomo nero") e Gabriele ("il ciociaro").
E' con l'inchiesta riguardante Palanca che le indagini prendono tutt'altra strada, in un contesto contrassegnato da una certa ambiguità e da qualche contraddizione. L'attenzione degli inquirenti si concentra su alcune frasi intercettate di Ambrosino che prima e dopo l'incontro Venezia-Messina, si dice sicuro della vittoria della squadra in trasferta. Non per un accordo tra giocatori delle due squadre, ma per la volontà dell'uomo nero, riconosciuto dagli inquirenti nell'arbitro Palanca. Ambrosino riferirebbe poi di avere ricevuto tale confidenza dal giocatore del Messina, oggi alla Reggina, Aronica. La partita effettivamente scatenerà molte polemiche e si concluderà con la vittoria del Messina e ben tre espulsi nelle fila dei lagunari. Espulsioni, va detto, giustificate: è il caso del portiere Soviero che si cimenta in una scena alla Bud Spencer, rifilando calci e cazzotti a chiunque gli capiti a tiro, e del difensore Maldonado (quello dell'acconto di Preziosi) che aggredisce fisicamente l'arbitro.
A questo punto gli inquirenti, seguendo una condotta che poi permeerà tutta l'indagine di Calciopoli, interrogano la presunta parte lesa e ne ricavano il verbo, la verità assoluta per proseguire le indagini. Vengono chiamati a deporre l'allenatore del Venezia Gregucci, già vice di Mancini alla Fiorentina, e colui che, non senza qualche elemento di dubbio nel metodo e nella sostanza del passaggio di consegne, ha ereditato la presidenza del Venezia da Zamparini, Franco Dal Cin.
Dal Cin sostiene davanti agli inquirenti l'appartenenza dell'arbitro Palanca a una fantomatica "combriccola romana", gruppo di arbitri capitanato dall'internazionale De Santis e con seguito evidentemente nella sezione romana dell'AIA, che si premurerebbe di assicurare risultati favorevoli alle squadre di riferimento della GEA, e quindi come scrivono gli inquirenti "alla famiglia Moggi".
Dal Cin e Gregucci basano la propria convinzione su un altro pilastro di Calciopoli: l'opinione comune dell'ambiente calcistico. "Si dice in giro che" De Santis e gli arbitri romani sarebbero proni al volere della GEA e quindi di Moggi. Dal Cin ha un'altra freccia al suo arco: prima dell'incontro tra la sua squadra e i peloritani, sarebbe stato avvertito telefonicamente da alcuni presidenti di essere spacciato, in quanto Palanca avrebbe condotto la partita a esclusivo favore del Messina. Fa i nomi di Cellino del Cagliari, il cui direttore sportivo era sotto inchiesta per le scommesse, Spinelli del Livorno, che comicamente i carabinieri descriveranno vicino alla GEA, ma non di un terzo presidente che l'avrebbe chiamato. Si potrebbe supporre Zamparini, presidente del Palermo e suo ex datore di lavoro, o Preziosi, che poi scopriremo suo amico. Ma questo terzo nome, comunque sia, non raggiunge la stampa.
Gli inquirenti danno grande risalto a questa deposizione, nonostante dopo tutto Cellino e Spinelli fossero antagonisti diretti del Messina nella lotta per la serie A quell'anno, e le loro parole e consigli potessero derivare da una certa, diffusa, paranoia competitiva.
Danno grande importanza a quelle che lo stesso Dal Cin, intervistato, derubrica a chiacchiere da bar.
Gli danno talmente importanza da dimenticare di testare quale possa essere la credibilità del personaggio Dal Cin, che presto andremo ad approfondire. E iniziano, a stretto giro di posta, un'altra indagine improntata a tutt'altro: la conosceremo due anni dopo con il nome di Calciopoli.
Il 5 giugno 2004 Dal Cin depone e nemmeno un mese dopo gli uomini di Auricchio sono al lavoro con un'indagine a tappeto, autorizzazioni ad intercettare e quant'altro sia necessario. Tutto per le parole di Dal Cin.
A questo punto il lettore immagina che quel Venezia-Messina sia stata la madre di tutti gli illeciti sportivi e il buon Palanca un ingranaggio ben oliato della cupola immaginata dai Pm. Invece no. La partita non è un caso di frode, secondo gli inquirenti. E sopratutto Palanca non entrerà nemmeno tangenzialmente nell'indagine sulla cupola e sulla combriccola romana, tanto che, ancora oggi, è a disposizione di Collina e Gussoni, regolarmente impiegato sui campi delle serie professionistiche. Palanca è pulito. Venezia-Messina fu una partita regolare.
Le dichiarazioni di Dal Cin, motore dell'inchiesta, non trovano quindi alcun riscontro e fondamento giudiziario. Così come la sua credibilità, nel frattempo, è scalfita da una combine con il Genoa di Preziosi al termine del campionato 2005. Gli inquirenti non se ne preoccupano e tirano avanti, tanto che quando daranno il via a un secondo giro di intercettazioni nel 2007, otterranno l'autorizzazione ad intercettare grazie alle dichiarazioni di Carbone che lo addita come faccendiere e aggiustatore di partite.
Risulta strana la fiducia assoluta accordata alle parole di Dal Cin, anche perchè l'inchiesta precedentemente si era interessata di presunti illeciti legati alle scommesse della sua squadra, il Venezia. Per strano che sia, comunque, va così. Dopo le deposizioni di Dal Cin, Scommessopoli diventa uno sperduto paesino di montagna, abitato da pochi viziosi. La giustizia sportiva opterà per la mano leggera: squalifiche di poco conto ai giocatori, squadre graziate; penalizzazione minima per il Modena. Le cronache giudiziarie non se ne interesseranno più. I rinvii a giudizio arriveranno ben due anni dopo e riguarderanno solamente nove imputati, tra cui Bettarini, Marasco e Ambrosino, non toccando i dirigenti coinvolti.
Nella prossima puntata andremo a comprendere meglio la svolta che Dal Cin imprime alle indagini, soffermandoci sulle dimenticanze dell'inchiesta sulle scommesse.
Calciopoli, la fuga di notizie
- Dettagli
- By Redazione
Nel precedente articolo "Calciopoli, perchè Napoli" abbiamo visto quali considerazioni hanno portato i pm Narducci e Beatrice a non servirsi più della struttura investigativa di Napoli e ad affidare le indagini ai carabinieri di Roma.
Nel periodo che va da luglio 2004 ad aprile 2006 nulla trapela delle indagini in corso, il campionato scorre regolare con le solite lamentele di tutti per giustificare ogni sconfitta. Nulla di nuovo se non ci fossero strane dichiarazioni, a più riprese, di tesserati e dirigenti interisti a parlare di "dossier" e di future "chiamate a rispondere nelle sedi opportune". Per quel che è successo dopo, queste dichiarazioni sono state interpretate da molti come una prova che chi aveva pronunciato quelle frasi sapesse che erano in corso delle intercettazioni e delle indagini.
Nel periodo che va da luglio 2004 ad aprile 2006 nulla trapela delle indagini in corso, il campionato scorre regolare con le solite lamentele di tutti per giustificare ogni sconfitta. Nulla di nuovo se non ci fossero strane dichiarazioni, a più riprese, di tesserati e dirigenti interisti a parlare di "dossier" e di future "chiamate a rispondere nelle sedi opportune". Per quel che è successo dopo, queste dichiarazioni sono state interpretate da molti come una prova che chi aveva pronunciato quelle frasi sapesse che erano in corso delle intercettazioni e delle indagini.
Il 22 aprile 2006 è la Gazzetta (gruppo RCS, quello del patto di sindacato con dentro la Fiat e la Pirelli) a scrivere per prima dello scandalo. A quel punto la FIGC di Carraro fa presente che l'Ufficio Indagini, che aveva ricevuto in precedenza il materiale dell'inchiesta mancata di Torino, si era già attivato e che il procuratore Pappa aveva consultato il pm Palamara di Roma che però, come sappiamo, stava indagando sulla GEA. Sembra quasi che la Gazzetta (e il suo patto di sindacato) sappiano di calciopoli e dell'indagine di Napoli prima di Carraro.
MAGGIO 2006 - LO SCANDALO E' SERVITO.
Dai primi giorni del maggio 2006 una marea di intercettazioni si riversa su tutti i giornali. Calciopoli, l'indagine che i pm napoletani covavano gelosamente, è in prima pagina persino su quei giornali che poco o male si occupano di calcio. Le trasmissioni televisive non sono da meno e completano il processo mediatico.
Sulla stampa finiscono anche intercettazioni che sembrano non avere alcun peso probatorio, come quella del tentato abbordaggio di Alessandro Moggi nei confronti di una giornalista o quella tra Giraudo e Moggi sui figli di Bettega.
Perchè telefonate "non probanti" vengono trascritte? Abbiamo sempre saputo che la prassi normale è: il tecnico del CNAG smista la telefonata al centro d'ascolto della polizia giudiziaria, questa registra le telefonate, le riascolta e poi trascrive quelle che possono "condurre" a prove.
Eccesso di zelo da parte dei carabinieri di Roma e, quindi, dovevamo aspettarci la trascrizione totale delle quasi 100.000 telefonate? Non è stato così.
Ed allora la trascrizione di quelle 2 telefonate citate sembra indicare che, chi le ha passate ai media, avesse come intento quello di mettere nel calderone tutto quello che poteva essere utile ad incrementare l'immagine di "mostro" per l'indagato da copertina, Luciano Moggi.
D'Avanzo e Bonini su Repubblica del 15 giugno 2006 scrivono che:
MAGGIO 2006 - LO SCANDALO E' SERVITO.
Dai primi giorni del maggio 2006 una marea di intercettazioni si riversa su tutti i giornali. Calciopoli, l'indagine che i pm napoletani covavano gelosamente, è in prima pagina persino su quei giornali che poco o male si occupano di calcio. Le trasmissioni televisive non sono da meno e completano il processo mediatico.
Sulla stampa finiscono anche intercettazioni che sembrano non avere alcun peso probatorio, come quella del tentato abbordaggio di Alessandro Moggi nei confronti di una giornalista o quella tra Giraudo e Moggi sui figli di Bettega.
Perchè telefonate "non probanti" vengono trascritte? Abbiamo sempre saputo che la prassi normale è: il tecnico del CNAG smista la telefonata al centro d'ascolto della polizia giudiziaria, questa registra le telefonate, le riascolta e poi trascrive quelle che possono "condurre" a prove.
Eccesso di zelo da parte dei carabinieri di Roma e, quindi, dovevamo aspettarci la trascrizione totale delle quasi 100.000 telefonate? Non è stato così.
Ed allora la trascrizione di quelle 2 telefonate citate sembra indicare che, chi le ha passate ai media, avesse come intento quello di mettere nel calderone tutto quello che poteva essere utile ad incrementare l'immagine di "mostro" per l'indagato da copertina, Luciano Moggi.
D'Avanzo e Bonini su Repubblica del 15 giugno 2006 scrivono che:
"Le cose dovevano andare così. Il Mondiale "liscio". Poi, a luglio, la luna nera. A giochi chiusi, Luciano Moggi, Pierluigi Pairetto e Paolo Bergamo devono essere arrestati.[....]E' il loro maligno mestiere: indebolire gli attori per comprendere la trama della storia. A questo servivano anche gli arresti. Sarebbero stati domiciliari. Senza possibilità di comunicare con l'esterno. L'accusa voleva isolare Moggi, Pairetto e Bergamo dal loro ambiente. Da pressioni, complicità, magari ricatti. I pm falliscono. E tuttavia il peggio deve ancora affacciarsi.[....] Vengono pubblicate anche intercettazioni mai trascritte e colloqui mutilati o manipolati per sottrazione. Conversazioni scherzose, e per questa ragione eliminate dai pubblici ministeri. Addirittura, appare un atto di indagine che non risulta agli atti. Il contenuto è soltanto verosimile, riguarda il rapporto tra il Milan e gli arbitri. Il numero di protocollo è un falso (Borrelli è venuto a capo del trucco, appena l'altro giorno)"
I due giornalisti scrivono che a Napoli avrebbero capito l'origine della fuga di notizie: "La novità è che a Napoli, l'ufficio del pubblico ministero individua il luogo e le persone che, uniche, hanno potuto violare il segreto. I nomi sono ora, nero su bianco, negli atti trasmessi alla Procura di Roma. C'è un'accusa grave in queste carte. La fuga di notizie, sostengono a Napoli, è stata così imponente e distruttiva che deve essere stata "autorizzata dal comando del Nucleo Provinciale dei carabinieri di Roma e da alti ufficiali dell'Arma da cui gerarchicamente dipende quella struttura"."
Bonini e D'Avanzo chiudono il loro articolo parlando di quali carte i pm mantengano nelle mani ed insinuando un significativo sospetto: "I pubblici ministeri si conservano tre sole carte, ancora. Le presunte responsabilità della Commissione di appello federale (i giudici di merito della Figc). Le rivelazioni di segreto di ufficio che coinvolgono carabinieri, poliziotti, finanzieri, magistrati. E, infine, l'indagine accurata sulla "madre di tutte le partite truccate". Lecce-Parma 3-3 (29 maggio 2005). C'è un sospetto.
Perché quella partita, ultima di campionato, doveva finire proprio con quel risultato, 3-3? Perché tra le 2.187 combinazioni ancora possibili e capaci di decidere il destino di chi doveva andare in serie B, è stato combinato proprio quell'esito? L'arbitro De Santis avrebbe potuto lavorare di fino, come ha dimostrato di saper fare, per dare la vittoria al Lecce e dannare alla B il Parma. Era il modo più semplice per salvare la Fiorentina, come stava a cuore al Sistema. Il 3-3 è un risultato astruso, ma forse assai fine. Quel 3-3 può portare diritto nel cuore dell'affare che il Sistema non governava, ma di cui si approfittavano gli uomini del Sistema. Le scommesse clandestine."
Il terzo punto segnalato dai due giornalisti, quello sul 3-3 di Lecce-Parma e sul calcio scommesse, ci riporta alla "genesi" dell'indagine ma, se è stato approfondito dai pm, sembrerebbe non aver prodotto risultati, ad oggi.
Sulla rivelazione del segreto d'ufficio indaga la Procura di Roma. Noi siamo in attesa di notizie ma notiamo lo scarso interesse della stampa. Come è sempre avvenuto in casi simili si vede il sasso ma quasi mai si riesce a sapere e punire chi lo ha lanciato.
Il Corriere della Sera del 10 settembre 2006 anticipa quello che succederà dopo poco:
I due giornalisti scrivono che a Napoli avrebbero capito l'origine della fuga di notizie: "La novità è che a Napoli, l'ufficio del pubblico ministero individua il luogo e le persone che, uniche, hanno potuto violare il segreto. I nomi sono ora, nero su bianco, negli atti trasmessi alla Procura di Roma. C'è un'accusa grave in queste carte. La fuga di notizie, sostengono a Napoli, è stata così imponente e distruttiva che deve essere stata "autorizzata dal comando del Nucleo Provinciale dei carabinieri di Roma e da alti ufficiali dell'Arma da cui gerarchicamente dipende quella struttura"."
Bonini e D'Avanzo chiudono il loro articolo parlando di quali carte i pm mantengano nelle mani ed insinuando un significativo sospetto: "I pubblici ministeri si conservano tre sole carte, ancora. Le presunte responsabilità della Commissione di appello federale (i giudici di merito della Figc). Le rivelazioni di segreto di ufficio che coinvolgono carabinieri, poliziotti, finanzieri, magistrati. E, infine, l'indagine accurata sulla "madre di tutte le partite truccate". Lecce-Parma 3-3 (29 maggio 2005). C'è un sospetto.
Perché quella partita, ultima di campionato, doveva finire proprio con quel risultato, 3-3? Perché tra le 2.187 combinazioni ancora possibili e capaci di decidere il destino di chi doveva andare in serie B, è stato combinato proprio quell'esito? L'arbitro De Santis avrebbe potuto lavorare di fino, come ha dimostrato di saper fare, per dare la vittoria al Lecce e dannare alla B il Parma. Era il modo più semplice per salvare la Fiorentina, come stava a cuore al Sistema. Il 3-3 è un risultato astruso, ma forse assai fine. Quel 3-3 può portare diritto nel cuore dell'affare che il Sistema non governava, ma di cui si approfittavano gli uomini del Sistema. Le scommesse clandestine."
Il terzo punto segnalato dai due giornalisti, quello sul 3-3 di Lecce-Parma e sul calcio scommesse, ci riporta alla "genesi" dell'indagine ma, se è stato approfondito dai pm, sembrerebbe non aver prodotto risultati, ad oggi.
Sulla rivelazione del segreto d'ufficio indaga la Procura di Roma. Noi siamo in attesa di notizie ma notiamo lo scarso interesse della stampa. Come è sempre avvenuto in casi simili si vede il sasso ma quasi mai si riesce a sapere e punire chi lo ha lanciato.
Il Corriere della Sera del 10 settembre 2006 anticipa quello che succederà dopo poco:
"Terremoto in arrivo al Nucleo Operativo dei Carabinieri di Roma. Saranno trasferiti i principali artefici dell'inchiesta su Calciopoli: il tenente colonnello Giovanni Arcangioli, comandante del Nucleo Operativo di Roma, e il maggiore Attilio Auricchio, titolare dell'indagine per conto dei pm di Napoli Narducci e Beatrice, «passeranno ad altro incarico». […] Le loro informative alla Procura di Napoli che si basavano sulle oltre diecimila telefonate intercettate durante l'anno calcistico 2004-2005 sono state ritenute figlie di una ricostruzione parziale, molto spesso lontana dalla realtà. Ma gli uomini dell'Arma che hanno condotto l'inchiesta sono finiti nell'occhio del ciclone anche per la fuga di notizie che ha portato alla pubblicazione integrale di tutte le informative redatte per conto della Procura di Napoli."
Il sipario dei media si alza per i due pm napoletani più di quanto fosse accaduto per le inchieste sulla camorra e sul calcio scommesse. Il pm Narducci dice a Repubblica: "Ora pulizia, chi sa parli. La giustizia sportiva non basta, serve il codice penale. Altri campionati nel mirino, è come combattere la camorra".
L'accusato principale Luciano Moggi, attraverso il suo avvocato Gianaria, inizia a disegnare uno scenario diverso: "Moggi proteggeva la Juve. Il potere è del Milan. Fuorviante pensare che fossero tutti al servizio di Luciano, di Bergamo e della Fazi. E’ una ipotesi che serve solo a creare il mostro".
CACCIA AD ALTRE PROVE.
Ora che l'indagine è alla luce del sole i pm napoletani sembrano avere fretta di trovare ulteriori riscontri non cercati prima. La Stampa del 18-05-2006 scrive:
Il sipario dei media si alza per i due pm napoletani più di quanto fosse accaduto per le inchieste sulla camorra e sul calcio scommesse. Il pm Narducci dice a Repubblica: "Ora pulizia, chi sa parli. La giustizia sportiva non basta, serve il codice penale. Altri campionati nel mirino, è come combattere la camorra".
L'accusato principale Luciano Moggi, attraverso il suo avvocato Gianaria, inizia a disegnare uno scenario diverso: "Moggi proteggeva la Juve. Il potere è del Milan. Fuorviante pensare che fossero tutti al servizio di Luciano, di Bergamo e della Fazi. E’ una ipotesi che serve solo a creare il mostro".
CACCIA AD ALTRE PROVE.
Ora che l'indagine è alla luce del sole i pm napoletani sembrano avere fretta di trovare ulteriori riscontri non cercati prima. La Stampa del 18-05-2006 scrive:
"La caccia al tesoro di Big Luciano. I magistrati ipotizzano anche il reato di corruzione.
I due pm Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice, si stanno concentrando su questioni di sostanza e hanno già ordinato accertamenti bancari sui principali protagonisti dello scandalo del calcio, e in particolare su Luciano Moggi e gli uomini, dagli arbitri ai designatori che, secondo l’ipotesi d’accusa, costituivano «la cupola» del calcio italiano."
Un passaggio di soldi sarebbe stato una bella prova ed avrebbe aggiunto valore all'imputazione per associazione a delinquere. Ad oggi non risulta che quegli accertamenti abbiano dato i risultati sperati dai pm.
Quello stesso 18 maggio la stampa informa che le indagini sono solo sul campionato 2004/5:
I due pm Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice, si stanno concentrando su questioni di sostanza e hanno già ordinato accertamenti bancari sui principali protagonisti dello scandalo del calcio, e in particolare su Luciano Moggi e gli uomini, dagli arbitri ai designatori che, secondo l’ipotesi d’accusa, costituivano «la cupola» del calcio italiano."
Un passaggio di soldi sarebbe stato una bella prova ed avrebbe aggiunto valore all'imputazione per associazione a delinquere. Ad oggi non risulta che quegli accertamenti abbiano dato i risultati sperati dai pm.
Quello stesso 18 maggio la stampa informa che le indagini sono solo sul campionato 2004/5:
"Dalle indagini di Napoli non ci sono elementi per potere allo stato investigare sul campionato 2005-2006". Lo ha detto il procuratore aggiunto di Napoli, Roberti, coordinatore della DDA di Napoli. Le intercettazioni, ha spiegato, si sono concluse nel giugno del 2005. "Siamo quasi al termine delle nostre indagini - ha aggiunto Roberti - Siamo consapevoli della duplice esigenza: da un lato di terminare l'indagine penale in tempi brevi, e dall'altro di mettere a disposizione della Figc e dell'Ufficio Indagine il materiale perché possa procedere la giustizia sportiva con i tempi ristretti che le sono assegnati".
LO ZELO DELLA PROCURA CON BORRELLI.
La cronaca di quei giorni ci dice che il Commissario Straordinario della FIGC, Guido Rossi, si reca in visita pastorale dai pm napoletani ma torna a Roma senza aver ricevuto le carte desiderate. I giornali riferiscono che i pm napoletani si sono rifiutati di consegnarle. Forse chiedevano determinate garanzie, perchè le cose cambiano quando Pappa si dimette ed al suo posto viene nominato Borrelli. L'ex Capo di mani pulite si reca a Napoli il 26 maggio ed ottiene materiale d'indagine. Questo sarà portato alla luce nell'audizione di Borrelli, a settembre 2006, davanti alla Commissione Giustizia del Senato di cui riportiamo uno stralcio:
"BORRELLI: ....Quindi, in seguito ad intese telefoniche preventive tra l’avvocato Nicoletti e la procura della Repubblica di Napoli, lo stesso 26 maggio, quando ho preso possesso dell’ufficio a Roma, l’avvocato Nicoletti ed io ci siamo trasferiti a Napoli su una macchina dei Carabinieri e dietro mia richiesta verbale, perché non avevo ancora firmato nulla, il procuratore della Repubblica di Napoli, come risulta dalla lettera di accompagnamento datata 26 maggio, mi ha consegnato il cd-rom contenente la copia delle informative dei Carabinieri.
Sen. MANZIONE: Lei ha selezionato atti o si è limitato solo a ricevere quello che non aveva chiesto?
BORRELLI: Ho ricevuto degli atti.
Sen. MANZIONE: Atti che non aveva ancora chiesto formalmente e che non era titolato a chiedere perché non aveva assunto le funzioni. Questo è un limite."
CHI BENEFICIA DELLA FUGA DI NOTIZIE?
La fuga di notizie sembra danneggiare tecnicamente l'inchiesta dei pm napoletani ma l'attenzione dei media, tutta schierata dalla parte dell'accusa, sembra rafforzarla, almeno mediaticamente. Nella gogna mediatica e nei processi sportivi finiscono soprattutto Moggi e la Juve, ma vi sono coinvolte anche altre squadre tranne due squadre abituè dei lamenti post-partite: l'Inter e la Roma. Possibile che si lamentassero solo attraverso giornali e Tv e non anche con i designatori? Eppure nelle indagini di Torino compaiono due intercettazioni che dimostrano familiarità tra Pairetto e Facchetti. Eppure Bergamo dichiara a più riprese che lo chiamavano tutti, comprese l'Inter e la Roma. I giornali riferiranno che da ambienti giudiziari napoletani si viene a sapere che le telefonate dei "non indagati" erano telefonate normali e prive di interesse.
In quel periodo sono state molte le illazioni sul fatto che le due società, Inter e Roma, per vie diverse potessero sapere dell'indagine in corso. Molti avanzavano ipotesi basate sul fatto che il CNAG, che assicurava le intercettazioni, fosse della Telecom e che il suo CDA fosse quasi sovrapponibile a quello dell'Inter, mentre per la Roma venivano ipotizzate amicizie con chi indagava. Nel tempo queste illazioni sembrano rafforzarsi sulla base di notizie di cronaca che esamineremo dopo.
LE INFORMATIVE
Forse il vero scopo di chi ha provocato la fuga di notizie con tanto anticipo era che si potessero celebrare i processi sportivi in tempo utile per sovvertire i risultati del campo, perchè qualcuno traesse dalle sentenze sportive una boccata d'ossigeno per casse e bacheche vuote. Senza voler entrare nei processi sportivi, ampiamente trattati, giova ricordare che si basano soprattutto sulle informative dei carabinieri e su poche intercettazioni. Chi ha letto entrambe le informative dei CC, reperibili nella nostra sezione Download, non può non notare subito che sembrano vergate da una mano tifosa o "ispirate" da qualcuno.
INCROCI CON CALCIOPOLI
Due fatti di cronaca, all'apparenza scollegati, incrociano l'inchiesta calciopoli. Il primo esplode nel settembre 2006 e riguarda il più importante e sconcertante caso Telecom, ovattato dal silenzio con cui opera la Procura di Milano e dal poco interesse dei media che gli preferiscono lo scandalo del pallone. Prima di allora ne aveva parlato Giuseppe D'Avanzo, su Repubblica, già il 23 maggio in piena calciopoli, nell'articolo "Dall'Inter a Telecom i 100mila file degli spioni".
D'avanzo indaga sul caso e, in anticipo su tanti, scrive: "Il pasticcio spionistico incrocia anche lo scandalo del calcio. Per quanto racconta Emanuele Cipriani ai magistrati, nei file illegali della Polis d'Istinto ci sono alcuni dossier raccolti, su input dell'Inter di Massimo Moratti e ordine di Marco Tronchetti Provera, contro l'arbitro Massimo De Santis, il direttore sportivo di Messina e Genoa Mariano Fabiani, il direttore sportivo del Catanzaro Luigi Pavarese". E' il dossier Ladroni. Mariano Fabiani non entra nella prima fase dell'inchiesta, quella del 2006, ma entrerà nella seconda del 2007
Il 27 settembre 2006 Repubblica esce con una notizia sconcertante:
LO ZELO DELLA PROCURA CON BORRELLI.
La cronaca di quei giorni ci dice che il Commissario Straordinario della FIGC, Guido Rossi, si reca in visita pastorale dai pm napoletani ma torna a Roma senza aver ricevuto le carte desiderate. I giornali riferiscono che i pm napoletani si sono rifiutati di consegnarle. Forse chiedevano determinate garanzie, perchè le cose cambiano quando Pappa si dimette ed al suo posto viene nominato Borrelli. L'ex Capo di mani pulite si reca a Napoli il 26 maggio ed ottiene materiale d'indagine. Questo sarà portato alla luce nell'audizione di Borrelli, a settembre 2006, davanti alla Commissione Giustizia del Senato di cui riportiamo uno stralcio:
"BORRELLI: ....Quindi, in seguito ad intese telefoniche preventive tra l’avvocato Nicoletti e la procura della Repubblica di Napoli, lo stesso 26 maggio, quando ho preso possesso dell’ufficio a Roma, l’avvocato Nicoletti ed io ci siamo trasferiti a Napoli su una macchina dei Carabinieri e dietro mia richiesta verbale, perché non avevo ancora firmato nulla, il procuratore della Repubblica di Napoli, come risulta dalla lettera di accompagnamento datata 26 maggio, mi ha consegnato il cd-rom contenente la copia delle informative dei Carabinieri.
Sen. MANZIONE: Lei ha selezionato atti o si è limitato solo a ricevere quello che non aveva chiesto?
BORRELLI: Ho ricevuto degli atti.
Sen. MANZIONE: Atti che non aveva ancora chiesto formalmente e che non era titolato a chiedere perché non aveva assunto le funzioni. Questo è un limite."
CHI BENEFICIA DELLA FUGA DI NOTIZIE?
La fuga di notizie sembra danneggiare tecnicamente l'inchiesta dei pm napoletani ma l'attenzione dei media, tutta schierata dalla parte dell'accusa, sembra rafforzarla, almeno mediaticamente. Nella gogna mediatica e nei processi sportivi finiscono soprattutto Moggi e la Juve, ma vi sono coinvolte anche altre squadre tranne due squadre abituè dei lamenti post-partite: l'Inter e la Roma. Possibile che si lamentassero solo attraverso giornali e Tv e non anche con i designatori? Eppure nelle indagini di Torino compaiono due intercettazioni che dimostrano familiarità tra Pairetto e Facchetti. Eppure Bergamo dichiara a più riprese che lo chiamavano tutti, comprese l'Inter e la Roma. I giornali riferiranno che da ambienti giudiziari napoletani si viene a sapere che le telefonate dei "non indagati" erano telefonate normali e prive di interesse.
In quel periodo sono state molte le illazioni sul fatto che le due società, Inter e Roma, per vie diverse potessero sapere dell'indagine in corso. Molti avanzavano ipotesi basate sul fatto che il CNAG, che assicurava le intercettazioni, fosse della Telecom e che il suo CDA fosse quasi sovrapponibile a quello dell'Inter, mentre per la Roma venivano ipotizzate amicizie con chi indagava. Nel tempo queste illazioni sembrano rafforzarsi sulla base di notizie di cronaca che esamineremo dopo.
LE INFORMATIVE
Forse il vero scopo di chi ha provocato la fuga di notizie con tanto anticipo era che si potessero celebrare i processi sportivi in tempo utile per sovvertire i risultati del campo, perchè qualcuno traesse dalle sentenze sportive una boccata d'ossigeno per casse e bacheche vuote. Senza voler entrare nei processi sportivi, ampiamente trattati, giova ricordare che si basano soprattutto sulle informative dei carabinieri e su poche intercettazioni. Chi ha letto entrambe le informative dei CC, reperibili nella nostra sezione Download, non può non notare subito che sembrano vergate da una mano tifosa o "ispirate" da qualcuno.
INCROCI CON CALCIOPOLI
Due fatti di cronaca, all'apparenza scollegati, incrociano l'inchiesta calciopoli. Il primo esplode nel settembre 2006 e riguarda il più importante e sconcertante caso Telecom, ovattato dal silenzio con cui opera la Procura di Milano e dal poco interesse dei media che gli preferiscono lo scandalo del pallone. Prima di allora ne aveva parlato Giuseppe D'Avanzo, su Repubblica, già il 23 maggio in piena calciopoli, nell'articolo "Dall'Inter a Telecom i 100mila file degli spioni".
D'avanzo indaga sul caso e, in anticipo su tanti, scrive: "Il pasticcio spionistico incrocia anche lo scandalo del calcio. Per quanto racconta Emanuele Cipriani ai magistrati, nei file illegali della Polis d'Istinto ci sono alcuni dossier raccolti, su input dell'Inter di Massimo Moratti e ordine di Marco Tronchetti Provera, contro l'arbitro Massimo De Santis, il direttore sportivo di Messina e Genoa Mariano Fabiani, il direttore sportivo del Catanzaro Luigi Pavarese". E' il dossier Ladroni. Mariano Fabiani non entra nella prima fase dell'inchiesta, quella del 2006, ma entrerà nella seconda del 2007
Il 27 settembre 2006 Repubblica esce con una notizia sconcertante:
"Anche Juventus, Figc e la Gea nella ragnatela degli spioni. I tabulati telefonici in entrata e uscita finirono in un dossier con il nome in codice "Pratica Como". Lo rivela ai magistrati una dipendente di Telecom.
La documentazione che mi mostrate è relativa agli sviluppi sul traffico telefonico in entrata e uscita su utenze intestate a Federazione Gioco Calcio, Enrico Cennicola, Football Management, Juventus f. c., Gea World". È la "Pratica Como". "Mi fu richiesta da Adamo Bove l'11 febbraio 2003. Non so che uso ne abbia fatto e la dicitura "pratica Como" era un promemoria solo a lui noto". È il dossier segreto degli uomini Telecom sul mondo del calcio, quello della Juventus e delle società di procuratori sportivi che facevano capo a Alessandro Moggi (la Gea e la Football Management). È una donna, impiegata
Telecom al servizio prima di Adamo Bove e poi di Fabio Ghioni, a stretto contatto con Giuliano Tavaroli (ex numero uno della Security Telecom) a svelare ai magistrati i legami tra "spioni" e mondo del calcio. [...] Tra questi documenti, quelli appunto contrassegnati "dai progressivi 112 al 119 con tutte le telefonate della Juventus di Luciano Moggi, la Gea ma anche del guardalinee Enrico Ceniccola, finito nell'inchiesta di Napoli per la partita Lecce-Juve 0-1."
Questa notizia convince molti che Moggi non era da deridere quando sosteneva: "Usavo schede estere per non farmi intercettare dai concorrenti in trattative di mercato". Stranamente altri nomi coinvolti nell'indagine di Napoli si ritrovano anche nelle pratiche "Ladroni" e "Como" .
Questa notizia è preceduta, il 21 settembre, da quella dell'arresto di Tavaroli: "Venti ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dalla Procura di Milano nell'ambito dell'inchiesta sulle intercettazioni coordinata dai pm Nicola Piacente, Stefano Civardi e Fabio Napoleone che tocca anche Telecom. Tra gli arrestati vi sono anche l'ex manager della società ed ex sottufficiale dell'Arma Giuliano Tavaroli, a lungo braccio destro di Marco Tronchetti Provera e capo della sicurezza del gruppo fino al maggio 2005, ed Emanuele Cipriani, titolare dell'agenzia di investigazioni fiorentina Polis d'Istinto. I due sono stati arrestati rispettivamente a Milano e a Firenze."
Dossier sulla Juve, su Moggi e su altri indagati a Napoli, Tavaroli attivo in Telecom fino al 2005 e le intercettazioni dell'inchiesta calciopoli, che si interrompono giusto nel 2005, sono notizie che molti mettono in relazione, fino a vederci un ruolo occulto del CNAG della Telecom nell'inchiesta di Napoli.
L'Espresso in una intervista ai pm Beatrice e Narducci tocca il tema, che era molto dibattuto:
"Oggi l'accusato numero uno solleva dubbi sulle intercettazioni Telecom.
Narducci: Qualche persona interessata avanza una tesi né dimostrata né dimostrabile: ci sarebbe stato un input iniziale, ovvero una regia occulta da parte della struttura Telecom che ha rapporti con l'autorità giudiziaria. Qualche indagato avanza sospetti: non si ritroverebbero telefonate o conversazioni che pure ci sarebbero state. Sono tutte sciocchezze grossolane. Sul campionato 2004-2005 il percorso investigativo è partito in modo che più lineare non si può: nelle richieste al giudice per le indagini preliminari si indicano gli elementi di prova in base ai quali, nell'autunno 2004, nascono queste intercettazioni. Il resto sono illazioni gratuite".
Quante sono state le intercettazioni?
Beatrice: "Trentamila circa; mille quelle utilizzate. Tutte le altre potrebbero essere trascritte su richiesta del difensore. È assolutamente chiaro che cosa è stato fatto dalla Procura di Napoli e dai carabinieri di Roma. Quei telefoni sono stati sotto intercettazione 24 ore su 24, tutti i giorni. Quello che non c'è non ci può essere, semplicemente perché non esiste nelle intercettazioni"
La dichiarazione che le intercettazioni sono state solo 30.000 non combacia con quanto riportato dalla Gazzetta del 27 giugno 2007: "Lunedì 15 maggio 2006, caserma dei carabinieri di via In Selci a Roma, ore 11.25: comincia l’interrogatorio di Luciano Moggi davanti ai pm della Procura di Napoli, Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice [...] i giudici sono coadiuvati da cinque ufficiali dei carabinieri, su tutti il maggiore Attilio Auricchio, l’investigatore numero uno di "Moggiopoli". La Gazzetta è entrata in possesso del testo integrale del lungo confronto [...]
La documentazione che mi mostrate è relativa agli sviluppi sul traffico telefonico in entrata e uscita su utenze intestate a Federazione Gioco Calcio, Enrico Cennicola, Football Management, Juventus f. c., Gea World". È la "Pratica Como". "Mi fu richiesta da Adamo Bove l'11 febbraio 2003. Non so che uso ne abbia fatto e la dicitura "pratica Como" era un promemoria solo a lui noto". È il dossier segreto degli uomini Telecom sul mondo del calcio, quello della Juventus e delle società di procuratori sportivi che facevano capo a Alessandro Moggi (la Gea e la Football Management). È una donna, impiegata
Telecom al servizio prima di Adamo Bove e poi di Fabio Ghioni, a stretto contatto con Giuliano Tavaroli (ex numero uno della Security Telecom) a svelare ai magistrati i legami tra "spioni" e mondo del calcio. [...] Tra questi documenti, quelli appunto contrassegnati "dai progressivi 112 al 119 con tutte le telefonate della Juventus di Luciano Moggi, la Gea ma anche del guardalinee Enrico Ceniccola, finito nell'inchiesta di Napoli per la partita Lecce-Juve 0-1."
Questa notizia convince molti che Moggi non era da deridere quando sosteneva: "Usavo schede estere per non farmi intercettare dai concorrenti in trattative di mercato". Stranamente altri nomi coinvolti nell'indagine di Napoli si ritrovano anche nelle pratiche "Ladroni" e "Como" .
Questa notizia è preceduta, il 21 settembre, da quella dell'arresto di Tavaroli: "Venti ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dalla Procura di Milano nell'ambito dell'inchiesta sulle intercettazioni coordinata dai pm Nicola Piacente, Stefano Civardi e Fabio Napoleone che tocca anche Telecom. Tra gli arrestati vi sono anche l'ex manager della società ed ex sottufficiale dell'Arma Giuliano Tavaroli, a lungo braccio destro di Marco Tronchetti Provera e capo della sicurezza del gruppo fino al maggio 2005, ed Emanuele Cipriani, titolare dell'agenzia di investigazioni fiorentina Polis d'Istinto. I due sono stati arrestati rispettivamente a Milano e a Firenze."
Dossier sulla Juve, su Moggi e su altri indagati a Napoli, Tavaroli attivo in Telecom fino al 2005 e le intercettazioni dell'inchiesta calciopoli, che si interrompono giusto nel 2005, sono notizie che molti mettono in relazione, fino a vederci un ruolo occulto del CNAG della Telecom nell'inchiesta di Napoli.
L'Espresso in una intervista ai pm Beatrice e Narducci tocca il tema, che era molto dibattuto:
"Oggi l'accusato numero uno solleva dubbi sulle intercettazioni Telecom.
Narducci: Qualche persona interessata avanza una tesi né dimostrata né dimostrabile: ci sarebbe stato un input iniziale, ovvero una regia occulta da parte della struttura Telecom che ha rapporti con l'autorità giudiziaria. Qualche indagato avanza sospetti: non si ritroverebbero telefonate o conversazioni che pure ci sarebbero state. Sono tutte sciocchezze grossolane. Sul campionato 2004-2005 il percorso investigativo è partito in modo che più lineare non si può: nelle richieste al giudice per le indagini preliminari si indicano gli elementi di prova in base ai quali, nell'autunno 2004, nascono queste intercettazioni. Il resto sono illazioni gratuite".
Quante sono state le intercettazioni?
Beatrice: "Trentamila circa; mille quelle utilizzate. Tutte le altre potrebbero essere trascritte su richiesta del difensore. È assolutamente chiaro che cosa è stato fatto dalla Procura di Napoli e dai carabinieri di Roma. Quei telefoni sono stati sotto intercettazione 24 ore su 24, tutti i giorni. Quello che non c'è non ci può essere, semplicemente perché non esiste nelle intercettazioni"
La dichiarazione che le intercettazioni sono state solo 30.000 non combacia con quanto riportato dalla Gazzetta del 27 giugno 2007: "Lunedì 15 maggio 2006, caserma dei carabinieri di via In Selci a Roma, ore 11.25: comincia l’interrogatorio di Luciano Moggi davanti ai pm della Procura di Napoli, Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice [...] i giudici sono coadiuvati da cinque ufficiali dei carabinieri, su tutti il maggiore Attilio Auricchio, l’investigatore numero uno di "Moggiopoli". La Gazzetta è entrata in possesso del testo integrale del lungo confronto [...]
Maggiore dei carabinieri a un avvocato di Moggi: "Il suo cliente aveva 350 chiamate al giorno".
Avvocato: "Avete ascoltato 20.000 telefonate...".
Maresciallo: "Siamo arrivati a 100.000. (...) Solo del signore 100.000"
Se è riportata bene la risposta di Beatrice a L'Espressso e se è vero quanto riportato come "verbale di interrogatorio" da La Gazzetta, emerge uno dei tanti misteri senza risposta dell'inchiesta: le telefonate intercettate sono 30.000 o 100.000?
Dicevamo di due fatti che incrociano l'inchiesta di Napoli. Il secondo è del 1 aprile 2008: durante il controesame degli avvocati difensori, nel corso dell'udienza del processo GEA, si scopre che tra il maggiore Auricchio e Franco Baldini intercorrono da anni rapporti di amicizia: "Avevo conosciuto Baldini - ha detto il maggiore dei Carabinieri - quando era venuto a presentare un contro ignoti a nome della Roma per la vicenda delle false fideiussioni".
Inter e Roma, uniche tra le grandi società a rimanere fuori dall'inchiesta. La domanda logica che molti si sono posti è: avevano, potenzialmente, la possibilità di sapere che c'era una indagine in corso?
ACCUSE DEBOLI
Nel frattempo i gradi della giustizia sportiva si sono conclusi con sentenze paradossali. La Juve distrutta e Carraro quasi assolto (multa di 80.000 euro) sono gli opposti estremi. I giudici che emettono le sentenze sportive non riscontrano illeciti ed adottano formule creative per giustificare le pene inflitte. Giuristi estranei al processo affermano che si è confusa la slealtà con gli illeciti mentre avvocati di fama affermano che negli atti che si conoscono dell'indagine di Napoli "non c'è nulla di penalmente rilevante".
Il pm Beatrice non esiterà poi a bacchettare la giustizia sportiva: "La delusione e lo scetticismo per le istituzioni sportive credo sia generale. Alcuni risultati erano stati conseguiti nella sentenza di primo grado, poi sono stati annacquati fino agli arbitrati".
Sembra quasi che a Napoli si aspettassero una "nobilitazione" delle prove che, invece, pure all'esame della sommaria giustizia sportiva, sembrano deboli. Forse devono pensarlo gli stessi Beatrice e Narducci se si mettono a cercare qualche prova in più per rafforzare l'ipotesi accusatoria. Prove che cercano nelle carte vecchie, quelle informative datate 2005. Prove che avrebbero potuto essere nella pratica già a maggio 2006 e che invece vi entreranno solo un anno dopo, nel 2007, con un lavoro a ritroso sulle "schede svizzere" che, giova farlo notare, compaiono già nella prima informativa dell'aprile 2005. Ma questo, insieme a nuovi misteri irrisolti, sarà argomento del prossimo articolo.
Se è riportata bene la risposta di Beatrice a L'Espressso e se è vero quanto riportato come "verbale di interrogatorio" da La Gazzetta, emerge uno dei tanti misteri senza risposta dell'inchiesta: le telefonate intercettate sono 30.000 o 100.000?
Dicevamo di due fatti che incrociano l'inchiesta di Napoli. Il secondo è del 1 aprile 2008: durante il controesame degli avvocati difensori, nel corso dell'udienza del processo GEA, si scopre che tra il maggiore Auricchio e Franco Baldini intercorrono da anni rapporti di amicizia: "Avevo conosciuto Baldini - ha detto il maggiore dei Carabinieri - quando era venuto a presentare un contro ignoti a nome della Roma per la vicenda delle false fideiussioni".
Inter e Roma, uniche tra le grandi società a rimanere fuori dall'inchiesta. La domanda logica che molti si sono posti è: avevano, potenzialmente, la possibilità di sapere che c'era una indagine in corso?
ACCUSE DEBOLI
Nel frattempo i gradi della giustizia sportiva si sono conclusi con sentenze paradossali. La Juve distrutta e Carraro quasi assolto (multa di 80.000 euro) sono gli opposti estremi. I giudici che emettono le sentenze sportive non riscontrano illeciti ed adottano formule creative per giustificare le pene inflitte. Giuristi estranei al processo affermano che si è confusa la slealtà con gli illeciti mentre avvocati di fama affermano che negli atti che si conoscono dell'indagine di Napoli "non c'è nulla di penalmente rilevante".
Il pm Beatrice non esiterà poi a bacchettare la giustizia sportiva: "La delusione e lo scetticismo per le istituzioni sportive credo sia generale. Alcuni risultati erano stati conseguiti nella sentenza di primo grado, poi sono stati annacquati fino agli arbitrati".
Sembra quasi che a Napoli si aspettassero una "nobilitazione" delle prove che, invece, pure all'esame della sommaria giustizia sportiva, sembrano deboli. Forse devono pensarlo gli stessi Beatrice e Narducci se si mettono a cercare qualche prova in più per rafforzare l'ipotesi accusatoria. Prove che cercano nelle carte vecchie, quelle informative datate 2005. Prove che avrebbero potuto essere nella pratica già a maggio 2006 e che invece vi entreranno solo un anno dopo, nel 2007, con un lavoro a ritroso sulle "schede svizzere" che, giova farlo notare, compaiono già nella prima informativa dell'aprile 2005. Ma questo, insieme a nuovi misteri irrisolti, sarà argomento del prossimo articolo.
Calciopoli, perchè Napoli
- Dettagli
- By Redazione
Siamo nell'anticamera del processo di Napoli ma ancora oggi qualcuno ignora l'origine dello stesso e ci chiede: "Perchè calciopoli scoppia a Napoli? Perchè due magistrati specializzati in lotta alla camorra, con i problemi che vive quella città, si occupano di calcio?".
Rispondiamo a questi ed altri quesiti attraverso questo dossier, con il quale ci siamo proposti di studiare e seguire questo processo.
2004 - LA GENESI
I due pm Narducci e Beatrice della Procura di Napoli indagavano da tempo sulle scommesse. Il 12 maggio 2004 Repubblica scrive:
"Calcio, torna l'incubo scommesse. Sotto accusa 12 club e 5 giocatori.
Sui risultati delle partite l'ombra della camorra. Tra i reati associazione a delinquere e frode sportiva. I pm Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci indagano su un giro di partite truccate, di scommesse legate a risultati già concordati, per cospicui guadagni. Una trama oscura dove si agitano camorristi, faccendieri, mediatori e calciatori intercettati in una serie di telefonate dai contenuti sospetti ...."
L’inchiesta si chiuderà nel 2007: (15 maggio 2007 - Ansa) "Si è conclusa con nove richieste di rinvio a giudizio l’inchiesta sul giro di scommesse nel mondo del calcio condotta dalla procura di Napoli. I pm Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci contestano il reato di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva a sei calciatori, un dirigente di società, un procuratore sportivo e un organizzatore di scommesse. Tre sono le partite, del campionato di serie A 2003-2004, per le quali i magistrati avrebbero accertato illeciti."
ENTRA IN SCENA DAL CIN
Dal Cin, ex amministratore delegato dell’Udinese, e all’epoca direttore generale del Venezia, viene ascoltato in qualità di teste dall’autorità giudiziaria e dall’Ufficio Indagini della Federcalcio in merito alle vicende del calcioscommesse. Scrive Repubblica del 12 luglio 2004:
Rispondiamo a questi ed altri quesiti attraverso questo dossier, con il quale ci siamo proposti di studiare e seguire questo processo.
2004 - LA GENESI
I due pm Narducci e Beatrice della Procura di Napoli indagavano da tempo sulle scommesse. Il 12 maggio 2004 Repubblica scrive:
"Calcio, torna l'incubo scommesse. Sotto accusa 12 club e 5 giocatori.
Sui risultati delle partite l'ombra della camorra. Tra i reati associazione a delinquere e frode sportiva. I pm Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci indagano su un giro di partite truccate, di scommesse legate a risultati già concordati, per cospicui guadagni. Una trama oscura dove si agitano camorristi, faccendieri, mediatori e calciatori intercettati in una serie di telefonate dai contenuti sospetti ...."
L’inchiesta si chiuderà nel 2007: (15 maggio 2007 - Ansa) "Si è conclusa con nove richieste di rinvio a giudizio l’inchiesta sul giro di scommesse nel mondo del calcio condotta dalla procura di Napoli. I pm Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci contestano il reato di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva a sei calciatori, un dirigente di società, un procuratore sportivo e un organizzatore di scommesse. Tre sono le partite, del campionato di serie A 2003-2004, per le quali i magistrati avrebbero accertato illeciti."
ENTRA IN SCENA DAL CIN
Dal Cin, ex amministratore delegato dell’Udinese, e all’epoca direttore generale del Venezia, viene ascoltato in qualità di teste dall’autorità giudiziaria e dall’Ufficio Indagini della Federcalcio in merito alle vicende del calcioscommesse. Scrive Repubblica del 12 luglio 2004:
"Il lavoro investigativo si è basato in larga parte sulle intercettazioni telefoniche, ma non manca una clamorosa deposizione di Franco Dal Cin, un personaggio molto noto nel mondo del calcio.
Dal Cin parla di una " combriccola romana" e di una società, il Messina, legata a Luciano Moggi, direttore generale della Juventus. Scrivono gli inquirenti nel decreto di perquisizione.
"In data 5 giugno 2004, la polizia giudiziaria ascoltava, quale persona informata dei fatti, l'amministratore delegato del Venezia Calcio Francesco Dal Cin (che era già stato sentito dall'ufficio di indagine della Figc). Egli ribadiva quanto aveva già riferito agli organi federali sulla 'opinione condivisa dalla maggior parte dei miei colleghi che la societa' calcio del Messina sia stata in diverse occasioni agevolata allorquando gli incontri da questa disputati erano diretti da un gruppo di arbitri facenti parte della cosiddetta 'combriccola romana', di cui -secondo le dichiarazioni di Dal Cin- farebbero parte pure gli arbitri Gabriele e De Santis, a loro volta legati alla società Gea riconducibile alla famiglia Moggi"
Ma Dal Cin, chiarisce e, soprattutto, smentisce: "Sono venuto a conoscenza di certe affermazioni che avrei rilasciato al giudice istruttore di Napoli - spiega Dal Cin ai microfoni di RAI Sport Sera -, credo che sia molto semplice smentirle, perché il senso delle mie dichiarazioni non è sicuramente stato quello. Io ho raccontato cose viste da me e da altri miei amici ma le conclusioni non erano quelle. Nessun inquisitore, nessuna prova, nessuna dichiarazione contro qualcuno, solo un racconto di cose che si dicevano".
Aggiungiamo per la cronaca che Messina-Venezia, partita dagli strascichi inconsueti (rissa e maxisqualifica al portiere ospite Soviero, vittima di un vero e proprio raptus violento) fu diretta da Palanca - arbitro poi terminato sul registro degli indagati della Procura partenopea - e finì 2-1 per i siciliani, con la vittoria del Messina "indovinata" da alcuni giocatori inquisiti durante una conversazione telefonica intercettata.
I nomi fatti da Dal Cin nella deposizione sono nomi di primo piano: Moggi, De Santis e Gea, nomi da copertina. L’indagine sul calcio scommesse sembra finire sul binario morto e parte il treno di calciopoli.
LA SVOLTA PER ROMA
Fino ad allora le indagini erano state svolte a Napoli, dove tra l'altro l'inchiesta era condotta dalla DDA che vanta un propria struttura investigativa autonoma. Dal luglio 2004 i pm Beatrice e Narducci incaricano della fase investigativa i Carabinieri di Roma. Di fatto due inchieste, quella sulla GEA e quella di Napoli, sono state affidate ai medesimi ufficiali di Polizia Giudiziaria e questo a molti sembrò una stranezza.
Il collegamento tra l'indagine di Napoli e l'inchiesta dei Carabinieri romani appare molto labile.
Già il 12 luglio 2004 Dal Cin nella sua smentita dice che era "solo un racconto di cose che si dicevano" e certo non una denuncia circostanziata. Per di più è tutt'ora in corso a Roma un processo proprio sulla GEA World, che per altro non vede né Gabriele né De Santis implicati.
Perché, dunque, i pm napoletani si rivolgono ai Carabinieri di Roma?
Il pm Beatrice risponderà su quella scelta nel corso di una lunga intervista a L’espresso: "Le intercettazioni sono state affidate ai Carabinieri di Roma per ragioni né casuali né recondite. Quando chiudemmo le indagini sul calcio scommesse sapevamo che loro s'erano già occupati di Moggi e del suo entourage, coinvolti nella vicenda delle fideiussioni. Avevano già materiale''.
Roma non era l’unica ad "avere materiale". Anche a Torino avevano materiale su Moggi per via di una indagine in corso. Ma l’indagine prende la via per Roma, per la precisione per via In Selci, dove il maggiore Auricchio organizzerà una squadra speciale. Così racconta un carabiniere della squadra intervistato da Federica Angeli per Repubblica:
I magnifici 12 della squadra Offside
Repubblica — 20 maggio 2006 pagina 2 sezione: ROMA
«Da oggi dimenticate di avere mogli, sorelle, madri. Abbiamo per le mani attività molto importante alla quale vi dedicherete notte e giorno, fino a quando non avremo risultati concreti in mano». Era il luglio del 2004 quando il maggiore Attilio Auricchio, comandante della seconda sezione del nucleo operativo di via In Selci, chiamò nel suo ufficio dodici dei suoi migliori uomini e creò la squadra «Offside». [...] Così i dodici carabinieri - due coordinatori e dieci operativi su strada - hanno iniziato a lavorare a bordo campo, dagli spalti. Notte e giorno. [...] Un labirinto complicato quello nel quale hanno iniziato la loro partita fuori dai riflettori, in cui a vittorie schiaccianti seguivano sconfitte clamorose. «Talvolta gli eventi parevano inanellarsi con disarmante semplicità - racconta un investigatore - periodi invece li abbiamo trascorsi nel blackout più totale in cui sembrava non esserci via d' uscita». Ma la squadra «Offside» non si è arresa. «Erano passati alcuni mesi e non avevamo più nessuno spunto dai colloqui tra Moggi e altri personaggi coinvolti nell' inchiesta - a parlare è uno dei dodici, infiltrato nella sede della Federazione italiana gioco calcio - Un giorno venne da me una persona della Federazione e mi disse di chiamare la segretaria di un tizio e di comunicarle un nuovo numero di cellulare di Moggi. Una nuova utenza, creata ad hoc, perché lui aveva timore di essere ascoltato sulle altre. Grazie a quel nuovo numero riuscimmo a riagganciare conversazioni utili per arrivare al traguardo». Fasi di stallo, quindi la ripresa. La centrale operativa dei due coordinatori del gruppo era un'auto civetta che stazionava sotto il palazzo del personaggio da intercettare. Dotati di una ventiquattrore, con dentro un'apparecchiatura che costa oltre 150mila euro, intercettavano i segnali di radiofrequenza emessi dai cellulari dell'indagato. Decifravano i messaggi nel giro di una mezz'ora e davano quindi indicazioni al resto della squadra. Il team si è mosso a trecentosessanta gradi: alcuni carabinieri si sono infiltrati nella sede della Federazione italiana gioco calcio, altri si sono invece occupati esclusivamente dei pedinamenti, soprattutto a Moggi [....]"
"Loro avevano già materiale" ma, stranamente, nonostante il grande impegno del maggiore Auricchio e l'ingente dispiegamento di uomini, le intercettazioni di Roma sembrano non iniziare subito. Solo generiche "attività investigative" preliminari, compendiate (secondo la prima informativa) da una "nota" del 18.09.2004, nella quale viene ipotizzato il reato di "associazione a delinquere". L'intercettazione più "vecchia", nella prima informativa, è del 11.10.2004.
TORINO ARCHIVIA
Nel frattempo Torino indagava ancora sul caso doping. Il GIP all'inizio autorizza intercettazioni (con varie autorizzazioni) dal 30 giugno fino al 8 settembre 2004. Le intercettazioni si chiudono per la "mancata concessione da parte del GIP di ulteriori proroghe richieste dal PM." che così motiva il rigetto: "... rilevato che dalle operazioni di intercettazione sin qui intercorse sulle utenze sopra indicate non sono emersi elementi di tale utilità all'accertamento della originaria ipotesi accusatoria da far ritenere la prosecuzione delle predette intercettazioni indispensabile ai fini delle indagini"
In data 8-09-2004 i pm fanno nuova richiesta ma in data 9 settembre il GIP respingeva la richiesta di intercettazione per insufficienza indiziaria in ordine alla sussistenza dell'ipotizzato reato di associazione per delinquere. Il GIP si soffermava sulla reale valenza indiziaria degli indizi del reato di cui all'art.416 c. p., ritenuti privi non solo del carattere della gravità ma anche di quello della sufficienza ("... ma soprattutto non possono ritenersi sussistenti sufficienti indizi in ordine al reato di associazione per delinquere.."), "...e ciò per mancanza di pressoché tutti gli elementi costitutivi della fattispecie".
Il rigetto finale dell'autorizzazione a proseguire le indagini avvenne in data 27-09-2004 (nella sezione Download: Archiviazione di Torino):
"La richiesta veniva respinta dal GIP sotto il profilo della mancanza dei gravi indizi di sussistenza del reato di corruzione, sottolinenandosi nel provvedimento in data 27.9.04 che "alla luce degli esiti delle intercettazioni telefoniche sin qui disposte e svoltesi su un considerevole numero di utenze telefoniche in uso agli indagati, il quadro indiziario sulla cui base era stato emesso il provvedimento autorizzativo pare essersi indebolito", non ravvisando il Giudice (per le ragioni che più avanti si vedranno) alcuna significativa rilevanza probatoria agli episodi cui sopra si accennava emersi nei primi 15 giorni di intercettazione per corruzione (anzi, si potrebbe dire assumendo gli stessi una valenza in senso contrario alla ipotesi di reato per cui procedeva, tale cioè da indebolire il quadro indiziario emerso sino a quel momento)"
I contenuti delle intercettazioni curate da Torino non erano molto diversi da quelli emersi dall'indagine di Napoli. Alcune di quelle intercettazioni, come la famosa telefonata Pairetto-Dondarini del 22-09-2004, vengono pubblicate a maggio 2006 dopo la fuga di notizie che mette in piazza calciopoli e non differiscono, per rilievo penale, da quelle fatte da Roma. Per il Gip di Torino non sono sufficienti a provare l'associazione a delinquere e molte altre intercettazioni vengono addirittura considerate scagionanti. A Napoli la pensano in modo diverso e la squadra di Auricchio può lavorare tranquillamente sul caso anche se per alcuni mesi non raggiunge esiti positivi ("Erano passati alcuni mesi e non avevamo più nessuno spunto dai colloqui tra Moggi e altri personaggi coinvolti nell' inchiesta" rivela il carabiniere intervistato). Le intercettazioni di Torino, in seguito, entreranno a far parte del materiale napoletano.
Articoli correlati:
Dal Cin parla di una " combriccola romana" e di una società, il Messina, legata a Luciano Moggi, direttore generale della Juventus. Scrivono gli inquirenti nel decreto di perquisizione.
"In data 5 giugno 2004, la polizia giudiziaria ascoltava, quale persona informata dei fatti, l'amministratore delegato del Venezia Calcio Francesco Dal Cin (che era già stato sentito dall'ufficio di indagine della Figc). Egli ribadiva quanto aveva già riferito agli organi federali sulla 'opinione condivisa dalla maggior parte dei miei colleghi che la societa' calcio del Messina sia stata in diverse occasioni agevolata allorquando gli incontri da questa disputati erano diretti da un gruppo di arbitri facenti parte della cosiddetta 'combriccola romana', di cui -secondo le dichiarazioni di Dal Cin- farebbero parte pure gli arbitri Gabriele e De Santis, a loro volta legati alla società Gea riconducibile alla famiglia Moggi"
Ma Dal Cin, chiarisce e, soprattutto, smentisce: "Sono venuto a conoscenza di certe affermazioni che avrei rilasciato al giudice istruttore di Napoli - spiega Dal Cin ai microfoni di RAI Sport Sera -, credo che sia molto semplice smentirle, perché il senso delle mie dichiarazioni non è sicuramente stato quello. Io ho raccontato cose viste da me e da altri miei amici ma le conclusioni non erano quelle. Nessun inquisitore, nessuna prova, nessuna dichiarazione contro qualcuno, solo un racconto di cose che si dicevano".
Aggiungiamo per la cronaca che Messina-Venezia, partita dagli strascichi inconsueti (rissa e maxisqualifica al portiere ospite Soviero, vittima di un vero e proprio raptus violento) fu diretta da Palanca - arbitro poi terminato sul registro degli indagati della Procura partenopea - e finì 2-1 per i siciliani, con la vittoria del Messina "indovinata" da alcuni giocatori inquisiti durante una conversazione telefonica intercettata.
I nomi fatti da Dal Cin nella deposizione sono nomi di primo piano: Moggi, De Santis e Gea, nomi da copertina. L’indagine sul calcio scommesse sembra finire sul binario morto e parte il treno di calciopoli.
LA SVOLTA PER ROMA
Fino ad allora le indagini erano state svolte a Napoli, dove tra l'altro l'inchiesta era condotta dalla DDA che vanta un propria struttura investigativa autonoma. Dal luglio 2004 i pm Beatrice e Narducci incaricano della fase investigativa i Carabinieri di Roma. Di fatto due inchieste, quella sulla GEA e quella di Napoli, sono state affidate ai medesimi ufficiali di Polizia Giudiziaria e questo a molti sembrò una stranezza.
Il collegamento tra l'indagine di Napoli e l'inchiesta dei Carabinieri romani appare molto labile.
Già il 12 luglio 2004 Dal Cin nella sua smentita dice che era "solo un racconto di cose che si dicevano" e certo non una denuncia circostanziata. Per di più è tutt'ora in corso a Roma un processo proprio sulla GEA World, che per altro non vede né Gabriele né De Santis implicati.
Perché, dunque, i pm napoletani si rivolgono ai Carabinieri di Roma?
Il pm Beatrice risponderà su quella scelta nel corso di una lunga intervista a L’espresso: "Le intercettazioni sono state affidate ai Carabinieri di Roma per ragioni né casuali né recondite. Quando chiudemmo le indagini sul calcio scommesse sapevamo che loro s'erano già occupati di Moggi e del suo entourage, coinvolti nella vicenda delle fideiussioni. Avevano già materiale''.
Roma non era l’unica ad "avere materiale". Anche a Torino avevano materiale su Moggi per via di una indagine in corso. Ma l’indagine prende la via per Roma, per la precisione per via In Selci, dove il maggiore Auricchio organizzerà una squadra speciale. Così racconta un carabiniere della squadra intervistato da Federica Angeli per Repubblica:
I magnifici 12 della squadra Offside
Repubblica — 20 maggio 2006 pagina 2 sezione: ROMA
«Da oggi dimenticate di avere mogli, sorelle, madri. Abbiamo per le mani attività molto importante alla quale vi dedicherete notte e giorno, fino a quando non avremo risultati concreti in mano». Era il luglio del 2004 quando il maggiore Attilio Auricchio, comandante della seconda sezione del nucleo operativo di via In Selci, chiamò nel suo ufficio dodici dei suoi migliori uomini e creò la squadra «Offside». [...] Così i dodici carabinieri - due coordinatori e dieci operativi su strada - hanno iniziato a lavorare a bordo campo, dagli spalti. Notte e giorno. [...] Un labirinto complicato quello nel quale hanno iniziato la loro partita fuori dai riflettori, in cui a vittorie schiaccianti seguivano sconfitte clamorose. «Talvolta gli eventi parevano inanellarsi con disarmante semplicità - racconta un investigatore - periodi invece li abbiamo trascorsi nel blackout più totale in cui sembrava non esserci via d' uscita». Ma la squadra «Offside» non si è arresa. «Erano passati alcuni mesi e non avevamo più nessuno spunto dai colloqui tra Moggi e altri personaggi coinvolti nell' inchiesta - a parlare è uno dei dodici, infiltrato nella sede della Federazione italiana gioco calcio - Un giorno venne da me una persona della Federazione e mi disse di chiamare la segretaria di un tizio e di comunicarle un nuovo numero di cellulare di Moggi. Una nuova utenza, creata ad hoc, perché lui aveva timore di essere ascoltato sulle altre. Grazie a quel nuovo numero riuscimmo a riagganciare conversazioni utili per arrivare al traguardo». Fasi di stallo, quindi la ripresa. La centrale operativa dei due coordinatori del gruppo era un'auto civetta che stazionava sotto il palazzo del personaggio da intercettare. Dotati di una ventiquattrore, con dentro un'apparecchiatura che costa oltre 150mila euro, intercettavano i segnali di radiofrequenza emessi dai cellulari dell'indagato. Decifravano i messaggi nel giro di una mezz'ora e davano quindi indicazioni al resto della squadra. Il team si è mosso a trecentosessanta gradi: alcuni carabinieri si sono infiltrati nella sede della Federazione italiana gioco calcio, altri si sono invece occupati esclusivamente dei pedinamenti, soprattutto a Moggi [....]"
"Loro avevano già materiale" ma, stranamente, nonostante il grande impegno del maggiore Auricchio e l'ingente dispiegamento di uomini, le intercettazioni di Roma sembrano non iniziare subito. Solo generiche "attività investigative" preliminari, compendiate (secondo la prima informativa) da una "nota" del 18.09.2004, nella quale viene ipotizzato il reato di "associazione a delinquere". L'intercettazione più "vecchia", nella prima informativa, è del 11.10.2004.
TORINO ARCHIVIA
Nel frattempo Torino indagava ancora sul caso doping. Il GIP all'inizio autorizza intercettazioni (con varie autorizzazioni) dal 30 giugno fino al 8 settembre 2004. Le intercettazioni si chiudono per la "mancata concessione da parte del GIP di ulteriori proroghe richieste dal PM." che così motiva il rigetto: "... rilevato che dalle operazioni di intercettazione sin qui intercorse sulle utenze sopra indicate non sono emersi elementi di tale utilità all'accertamento della originaria ipotesi accusatoria da far ritenere la prosecuzione delle predette intercettazioni indispensabile ai fini delle indagini"
In data 8-09-2004 i pm fanno nuova richiesta ma in data 9 settembre il GIP respingeva la richiesta di intercettazione per insufficienza indiziaria in ordine alla sussistenza dell'ipotizzato reato di associazione per delinquere. Il GIP si soffermava sulla reale valenza indiziaria degli indizi del reato di cui all'art.416 c. p., ritenuti privi non solo del carattere della gravità ma anche di quello della sufficienza ("... ma soprattutto non possono ritenersi sussistenti sufficienti indizi in ordine al reato di associazione per delinquere.."), "...e ciò per mancanza di pressoché tutti gli elementi costitutivi della fattispecie".
Il rigetto finale dell'autorizzazione a proseguire le indagini avvenne in data 27-09-2004 (nella sezione Download: Archiviazione di Torino):
"La richiesta veniva respinta dal GIP sotto il profilo della mancanza dei gravi indizi di sussistenza del reato di corruzione, sottolinenandosi nel provvedimento in data 27.9.04 che "alla luce degli esiti delle intercettazioni telefoniche sin qui disposte e svoltesi su un considerevole numero di utenze telefoniche in uso agli indagati, il quadro indiziario sulla cui base era stato emesso il provvedimento autorizzativo pare essersi indebolito", non ravvisando il Giudice (per le ragioni che più avanti si vedranno) alcuna significativa rilevanza probatoria agli episodi cui sopra si accennava emersi nei primi 15 giorni di intercettazione per corruzione (anzi, si potrebbe dire assumendo gli stessi una valenza in senso contrario alla ipotesi di reato per cui procedeva, tale cioè da indebolire il quadro indiziario emerso sino a quel momento)"
I contenuti delle intercettazioni curate da Torino non erano molto diversi da quelli emersi dall'indagine di Napoli. Alcune di quelle intercettazioni, come la famosa telefonata Pairetto-Dondarini del 22-09-2004, vengono pubblicate a maggio 2006 dopo la fuga di notizie che mette in piazza calciopoli e non differiscono, per rilievo penale, da quelle fatte da Roma. Per il Gip di Torino non sono sufficienti a provare l'associazione a delinquere e molte altre intercettazioni vengono addirittura considerate scagionanti. A Napoli la pensano in modo diverso e la squadra di Auricchio può lavorare tranquillamente sul caso anche se per alcuni mesi non raggiunge esiti positivi ("Erano passati alcuni mesi e non avevamo più nessuno spunto dai colloqui tra Moggi e altri personaggi coinvolti nell' inchiesta" rivela il carabiniere intervistato). Le intercettazioni di Torino, in seguito, entreranno a far parte del materiale napoletano.
Articoli correlati:
Carraro rinvia, Libero ricorda
- Dettagli
- By Redazione
Ieri 30 maggio, nel corso dell'udienza preliminare presieduta dal Gup Eduardo De Gregorio, Franco Carraro avrebbe voluto deporre nell'ambito del processo Calciopoli presso il tribunale di Napoli, ma l'interrogatorio è stato rinviato alla prossima seduta del 13 giugno per lo sciopero degli stenotypisti. A Carraro è stata propostala trascrizione manuale dell'interrogatorio da parte del cancelliere ma l'ex presidente della Federcalcio ha preferito rinviare il tutto a giugno. Era stato lo stesso Carraro a decidere di sottoporsi all'interrogatorio. Per questa e per altre telefonate Carraro fu squalificato per 4 anni e 6 mesi nella sentenza della Caf in primo grado, per poi essere semplicemente multato di 80mila euro nella sentenza della Corte Federale. Carraro, come ricorda il giornale Libero, è soprannominato "il poltronissimo", essendo stato per tre volte Ministro della Repubblica Italiana, dal 1989 al 1993 sindaco di Roma, poi anche 24°, 26° e 31° presidente della Figc, presidente del Coni dal 1978 al 1987 ed attualmente membro del consiglio esecutivo dell'Uefa e, dal 1982, membro del Comitato Olimpico Internazionale.
Libero di oggi, 31 maggio 2008, ha trattato l'argomento scrivendo in prima pagina su un'intercettazione che riguardava Carraro e che, secondo il giornalista Giovanni Longoni, era stata "ignorata dai media e da tutto l'universo calcio":
Carraro, l'arbitro e la richiesta di un aiutino
di Giovanni Longoni
Di seguito pubblichiamo un'intercettazione telefonica relativa all'inchiesta "Calciopoli" esplosa nel maggio del 2006. L'intercettazione non è inedita, né secretata (il file audio si trova in Internet da tempo). Semplicemente è stata ignorata dai media e da tutto l'universo calcio. Non si capisce perché: i contenuti della stessa certificano che sì, il calcio era marcio, ma c'è chi ha superato l'uragano senza colpo ferire. Riassumiamo: Franco Carraro, ai tempi presidente della Federcalcio, fa chiamare l'allora designatore arbitrale Paolo Bergamo. Al centro dell'accesa chiacchierata l'arbitraggio di Daniele Tombolini in Lazio-Brescia del 2 febbraio 2005. Carraro, piuttosto arrabbiato, chiede lumi al designatore su alcune decisioni prese dall'arbitro: quest'ultimo avrebbe penalizzato la squadra di casa contravvenendo a precise disposizioni (in particolare non avrebbe assegnato un rigore alla società del presidente Lotito). Quindi Carraro reclama maggiore "attenzione" per le prossime partite dei biancocelesti.
L'articolo prosegue con la trascrizione dell'intercettazione che è sul nostro sito, sezione Audio, da quando è stato possibile pubblicarle. Potete ascoltarla cliccando sulla freccia di start:
Libero di oggi, 31 maggio 2008, ha trattato l'argomento scrivendo in prima pagina su un'intercettazione che riguardava Carraro e che, secondo il giornalista Giovanni Longoni, era stata "ignorata dai media e da tutto l'universo calcio":
Carraro, l'arbitro e la richiesta di un aiutino
di Giovanni Longoni
Di seguito pubblichiamo un'intercettazione telefonica relativa all'inchiesta "Calciopoli" esplosa nel maggio del 2006. L'intercettazione non è inedita, né secretata (il file audio si trova in Internet da tempo). Semplicemente è stata ignorata dai media e da tutto l'universo calcio. Non si capisce perché: i contenuti della stessa certificano che sì, il calcio era marcio, ma c'è chi ha superato l'uragano senza colpo ferire. Riassumiamo: Franco Carraro, ai tempi presidente della Federcalcio, fa chiamare l'allora designatore arbitrale Paolo Bergamo. Al centro dell'accesa chiacchierata l'arbitraggio di Daniele Tombolini in Lazio-Brescia del 2 febbraio 2005. Carraro, piuttosto arrabbiato, chiede lumi al designatore su alcune decisioni prese dall'arbitro: quest'ultimo avrebbe penalizzato la squadra di casa contravvenendo a precise disposizioni (in particolare non avrebbe assegnato un rigore alla società del presidente Lotito). Quindi Carraro reclama maggiore "attenzione" per le prossime partite dei biancocelesti.
L'articolo prosegue con la trascrizione dell'intercettazione che è sul nostro sito, sezione Audio, da quando è stato possibile pubblicarle. Potete ascoltarla cliccando sulla freccia di start:
{mp3}bergamo carraro - era preparata bene{/mp3}
Ha ragione Longoni quando rimarca che i media tradizionali l'hanno ignorata: troppo concentrati sul solo Moggi o per altre ragioni? Longoni ha meno ragione quando afferma che è stata ignorata da tutto l'universo calcio. Sul web, dove sempre più si fa controinformazione e che oggi è parte rilevante dell'universo calcio, questa intercettazione è stata molto discussa in tanti forum e siti, proprio perchè Carraro non è personaggio di secondo piano e, nello specifico, era il responsabile massimo dei controlli da effettuare sul regolare svolgimento della vita della FIGC. Ricordiamo che Carraro disse a sua discolpa che lui era "soltanto un vigile" e che Moggi rispose: "Dice che faceva soltanto il vigile urbano e si limitava a dirigere il traffico. Peccato che facesse passare con il rosso chi voleva lui." . Da garantisti aspetteremo che a giudicare sia la giustizia vera e seria, non quella dell'informazione giustizialista. Continueremo, per questo, a seguire lo svolgimento di tutte le udienze del processo di Napoli.
Sempre nell'udienza di ieri, Luigi Sena, il legale dell'arbitro Tiziano Pieri, che diresse Bologna-Juve del 12 dicembre 2004 e che figura tra gli imputati del procedimento Calciopoli, ha depositato una perizia messa a punto da un ex arbitro, consulente della difesa, per dimostrare che la quasi totalità delle decisioni adottate nel corso della partita del 12 dicembre 2004 (vinta 1-0 dai bianconeri tra mille polemiche) sarebbero state invece esatte, contrariamente a quanto sostiene l'accusa. Nel corso dell'udienza il legale di Pieri ha chiesto il proscioglimento dell' arbitro.
Questa notizia è stata vissuta con molto sarcasmo sul web. I tifosi si sono chiesti, ironicamente, a chi sarebbe stata affidata la controperizia ed hanno snocciolato una lunga lista di anti-juventini doc. Altri si sono chiesti chi accetterà mai di fare la perizia che avvalori quanto sostenuto dai pm, ovvero che la partita Juventus-Sampdoria sia finita 1-0 per i bianconeri. Christian Rocca sul suo blog, il 14 aprile 2007, ricordò il vero risultato del campo scrivendo:
"Altra svista dei magistrati napoletani: dicono che la Juve fu aiutata a vincere una partita contro la Sampdoria per 1 a 0. Ma la Juve perse quella partita 0-1. A pagina 16 del documento di chiusura delle indagini, scrivono che il calciatore della Samp è stato ammonito nella giornata precedente per evitare che giocasse nella “partita Juventus-Sampdoria 1-0 del 2 febbraio 2005". Peccato che la partita sia finita 0-1, per la Samp".
Questa notizia è stata vissuta con molto sarcasmo sul web. I tifosi si sono chiesti, ironicamente, a chi sarebbe stata affidata la controperizia ed hanno snocciolato una lunga lista di anti-juventini doc. Altri si sono chiesti chi accetterà mai di fare la perizia che avvalori quanto sostenuto dai pm, ovvero che la partita Juventus-Sampdoria sia finita 1-0 per i bianconeri. Christian Rocca sul suo blog, il 14 aprile 2007, ricordò il vero risultato del campo scrivendo:
"Altra svista dei magistrati napoletani: dicono che la Juve fu aiutata a vincere una partita contro la Sampdoria per 1 a 0. Ma la Juve perse quella partita 0-1. A pagina 16 del documento di chiusura delle indagini, scrivono che il calciatore della Samp è stato ammonito nella giornata precedente per evitare che giocasse nella “partita Juventus-Sampdoria 1-0 del 2 febbraio 2005". Peccato che la partita sia finita 0-1, per la Samp".
Bastava consultare i siti istituzionali o anche soltanto l'album delle figurine per evitare questo errore.
Scommessopoli - Primo atto
- Dettagli
Sono in pochi a chiederselo, eppure bisogna. Come diavolo ha avuto inizio l'inchiesta della Procura di Napoli che ha poi portato allo scandalo o farsa dell'estate del 2006 e alle richieste di rinvio a giudizio per associazione a delinquere per Moggi, Giraudo, Bergamo e gli altri imputati?
In principio furono le scommesse. Il ciclico ritorno del calcio-scommesse: fenomeno antico per il calcio, mai debellato. Una volta era il totonero, oggi le scommesse legali, incoraggiate, finanche sponsorizzate sulle stesse magliette dei calciatori. Scommesse facili, immediate: alla ricevitoria, su internet, attraverso i decoder delle pay-tv. Un giro d'affari dal volume impressionante: tra i 2 e i 3 miliardi di euro all'anno.
Le scommesse che hanno il loro centro a Napoli, e di qui l'indagine della Procura affidata ai solerti Beatrice e Narducci.
La stessa Napoli del calcio-scommesse del 1985, quello di Armandino Carbone e di Italo Allodi. Napoli che allora non verrà toccata, grazie alle viscosità del processo sportivo e al gran rifiuto dello stesso Carbone. Napoli che, a sentire il Carbone dei giorni nostri, non più un oscuro faccendiere ma un testimone chiave per dare il via alle intercettazioni, probabilmente era colpevole. Poi vai a pensare che, stranezze della storia, da tutta questa odissea giudiziaria l'unico scudetto da revocarsi, stando agli atti, è proprio quello del Napoli del 1986/87, dato che Carbone afferma ora di avere mentito per evitare sanzioni alla squadra partenopea. E la storia è talmente buffa che ad arrivare in seconda posizione quell'annata fu proprio la Juventus. La Juve di un ultimo grande Platini. Il Napoli era quello di Maradona e di Allodi. E siccome non è nostro uso violentare la storia del calcio, lasciamo che sia così. Lo scudetto di Maradona e Allodi rimanga al Napoli, e non perchè ampiamente raggiunti i termini di prescrizione. Ma perchè è giusto: quel Napoli di diritto, sul campo, è entrato nella storia del calcio. Grazie a Maradona. E anche grazie a Allodi, ai cui maneggi o alla cui abilità pagano tributo anche la Juventus ma sopratutto quell'unica Grande Inter.
Ma rimaniamo a Maradona. Maradona che incanta. Maradona che si droga. Maradona che si lega a personaggi poco raccomandabili. La foto: Maradona in compagnia di due uomini in una villa, sorridono sdraiati in una vasca idromassaggio a forma di capasanta. Più tardi si scoprirà: era la villa dei Giuliano.
I Giuliano, anche loro ritornano. Depongono infatti davanti a Narducci. Il contenuto è esplosivo.
L'indagine sulle partite truccate per procurare guadagni illeciti ai bookmaker nasce quattro anni fa dopo le rivelazioni ai magistrati di tre pentiti eccellenti: Raffaele, Carmine e Guglielmo Giuliano, fratelli del boss della camorra di Forcella Luigi Giuliano. E l'inchiesta, scaturita dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia e condotta dal pm napoletano Giuseppe Narducci, dice che fin dal 1995 il boss Luigi aveva fiutato come più redditizio rispetto al totonero il giro delle scommesse legali, se pilotato. Guglielmo Giuliano, in particolare, disse agli inquirenti che gran parte del settore delle agenzie era controllato dalla camorra attraverso titolari che erano prestanomi. Il fratello Raffaele precisò che le quote stabilite per le partite nelle scommesse derivavano da un accordo a tavolino tra vari capoclan, come già sperimentato durante i Mondiali di calcio del '90.
In principio furono le scommesse. Il ciclico ritorno del calcio-scommesse: fenomeno antico per il calcio, mai debellato. Una volta era il totonero, oggi le scommesse legali, incoraggiate, finanche sponsorizzate sulle stesse magliette dei calciatori. Scommesse facili, immediate: alla ricevitoria, su internet, attraverso i decoder delle pay-tv. Un giro d'affari dal volume impressionante: tra i 2 e i 3 miliardi di euro all'anno.
Le scommesse che hanno il loro centro a Napoli, e di qui l'indagine della Procura affidata ai solerti Beatrice e Narducci.
La stessa Napoli del calcio-scommesse del 1985, quello di Armandino Carbone e di Italo Allodi. Napoli che allora non verrà toccata, grazie alle viscosità del processo sportivo e al gran rifiuto dello stesso Carbone. Napoli che, a sentire il Carbone dei giorni nostri, non più un oscuro faccendiere ma un testimone chiave per dare il via alle intercettazioni, probabilmente era colpevole. Poi vai a pensare che, stranezze della storia, da tutta questa odissea giudiziaria l'unico scudetto da revocarsi, stando agli atti, è proprio quello del Napoli del 1986/87, dato che Carbone afferma ora di avere mentito per evitare sanzioni alla squadra partenopea. E la storia è talmente buffa che ad arrivare in seconda posizione quell'annata fu proprio la Juventus. La Juve di un ultimo grande Platini. Il Napoli era quello di Maradona e di Allodi. E siccome non è nostro uso violentare la storia del calcio, lasciamo che sia così. Lo scudetto di Maradona e Allodi rimanga al Napoli, e non perchè ampiamente raggiunti i termini di prescrizione. Ma perchè è giusto: quel Napoli di diritto, sul campo, è entrato nella storia del calcio. Grazie a Maradona. E anche grazie a Allodi, ai cui maneggi o alla cui abilità pagano tributo anche la Juventus ma sopratutto quell'unica Grande Inter.
Ma rimaniamo a Maradona. Maradona che incanta. Maradona che si droga. Maradona che si lega a personaggi poco raccomandabili. La foto: Maradona in compagnia di due uomini in una villa, sorridono sdraiati in una vasca idromassaggio a forma di capasanta. Più tardi si scoprirà: era la villa dei Giuliano.
I Giuliano, anche loro ritornano. Depongono infatti davanti a Narducci. Il contenuto è esplosivo.
L'indagine sulle partite truccate per procurare guadagni illeciti ai bookmaker nasce quattro anni fa dopo le rivelazioni ai magistrati di tre pentiti eccellenti: Raffaele, Carmine e Guglielmo Giuliano, fratelli del boss della camorra di Forcella Luigi Giuliano. E l'inchiesta, scaturita dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia e condotta dal pm napoletano Giuseppe Narducci, dice che fin dal 1995 il boss Luigi aveva fiutato come più redditizio rispetto al totonero il giro delle scommesse legali, se pilotato. Guglielmo Giuliano, in particolare, disse agli inquirenti che gran parte del settore delle agenzie era controllato dalla camorra attraverso titolari che erano prestanomi. Il fratello Raffaele precisò che le quote stabilite per le partite nelle scommesse derivavano da un accordo a tavolino tra vari capoclan, come già sperimentato durante i Mondiali di calcio del '90.
Una vera e propria bomba perchè a Napoli sul rapporto calcio-camorra-scommesse si è scritto parecchio. Si è scritto di uno scudetto, quello del 1987-88 (per altro l'unico mai vinto da un certo Conte Eiacula), deciso dalla camorra. Con un Napoli in fuga, imprendibile, stratosferico che all'improvviso frena, accosta e si fa superare dal Milan di Sacchi.
Primo segreto di Pulcinella: la camorra gestisce un lucroso giro d'affari incentrato sulle scommesse clandestine. E la vittoria finale del Napoli è pagata a quote stratosferiche, fino ad arrivare a 1 a 13. E naturalmente, spinti dalla passione, molti napoletani scommettono.
Secondo segreto di Pulcinella: il Napoli lo scudetto lo sta per vincere davvero. E le quote delle scommesse non accennano a calare, anzi.
Stando alle dichiarazioni rese dal pentito Pugliese, ex autista di Maradona, si parlerebbe di terribili pressioni e minacce sul fuoriclasse argentino affinchè abdichi al suo ruolo di trascinatore e consenta il sorpasso che farebbe segnare un attivo impressionante nei "conti sportivi" dei clan camorristici.
Si adombrano complotti politici, strani furti e danneggiamenti subiti dal Pibe de Oro, fino a ricatti terrificanti per ottenere il silenzio come, secondo Pugliese, il trafugamento della salma della figlia di Salvatore Bagni. Scenari a dir poco inquietanti che si esauriscono in fiumi di dichiarazioni presso le Procure, ma non sfociano in un processo.
In tutta questa storia, la famosa pubblicazione travagliesca non trova niente di meglio che imputare colpe a Luciano Moggi, allora ds del Napoli, perchè non abbastanza vigile nell'intuire i rapporti tra la camorra e i giocatori del Napoli. In realtà il nome Moggi non compare da nessuna dichiarazione e anzi sarebbe parte lesa. Ma il moderno Savonarola, di fronte a tanto, gli imputa proprio il fatto di non comparire affatto in alcuna parte dell'inchiesta. Misteri della fede giustizialista.
Il fatto che ci interessa comunque è l'attività incessante della camorra, e del clan Giuliano, nel settore delle scommesse clandestine, nonostante le inchieste degli anni precedenti. Un'attività gestita a livelli altissimi. Un'attività che, secondo le deposizioni dei Giuliano al Pm Narducci nell'ambito dell'ultima inchiesta sul calcioscommesse, non è mai cessata, ma si è trasformata sfruttando il business delle scommesse legali, inaugurato dallo Stato senza pruriti moralisti.
Un altro caso eclatante, e di fatto finito nel nulla, fu quello della finale di Coppa Campioni tra Olympique Marsiglia e Milan. A gettare ombre sulla genuinità del risultato finale fu Papin, velatamente accusando non meglio identificati compagni di essersi venduti la partita. In questo caso l'infiltrazione camorrista è rivendicata da un boss, Michele Zaza O' Pazzo. Tra i pochi eletti a potersi fregiare della doppia carica di boss camorrista e affiliato a Cosa Nostra, il capoclan dedito al contrabbando di sigarette, allora di stanza a Marsiglia, al momento del suo arresto in Francia puntò il dito contro la società del Milan, rea di essersi venduta la partita. E lui che ne sapeva? Sosteneva di essere niente di meno che il mediatore tra le due parti. Fu liquidato come da soprannome, nonostante una carriera ai vertici della criminalità organizzata a garantire per la sua lucidità mentale.
Con l'avvento definitivo del calcio-business, di camorra e di scommesse non ne sentiremo più parlare, a parte l'isolato episodio di un Atalanta-Pistoiese, in cui finirono sotto inchiesta tra gli altri Doni e Zauri, per poi uscirne indenni.
Il calcio-business è anche business legalizzato delle scommesse. Le fanfare seguono il ritmo del denaro: si sostiene che legalizzando il fenomeno, scomparirà il totonero e tutte le sue illecite conseguenze. In pratica lo scommettitore potrà mettere a repentaglio il proprio patrimonio, distruggere la propria famiglia e magari poi mettersi nelle mani degli usurai, ma ad incassare sarà lo Stato e non la camorra. Le partite naturalmente non potranno essere taroccate perchè per scommettere bisogna registrare la propria identità e per i calciatori le scommesse sono vietatissime. Naturalmente con un pizzico in meno di ingenuità, basta un collettore di scommesse, un prestanome che raccolga i soldi dei giocatori, e la sostanza non muta, come evidenziato ad esempio dalla recente inchiesta di Udine. Sosterrebbero infine i teorici della scommessa legale che il calciatore in quanto destinatario di uno stipendio esageratamente ricco non avrebbe incentivo a scommettere. Per sconfessare questo assurdo teorema, vedasi l'opera omnia di Sigmund Freud o gli accertamenti tributari delle Procure che hanno indagato il fenomeno.
E' in questo periodo che segna la grande ascesa delle scommesse legali e un vuoto di inchieste sul calcioscommesse che nasce l'inchiesta della Procura di Napoli originariamente orientata a comprendere i rapporti tra la camorra e le scommesse sulle partite di calcio. Come abbiamo letto nell'estratto precedente, l'inchiesta nasce 4 anni prima degli addebiti mossi a vari calciatori e dirigenti, poi quasi tutti archiviati, che poi porteranno in modo piuttosto discutibile all'avvio dell'inchiesta poi giornalisticamente chiamata Calciopoli.
E' del 2001 infatti la dichiarazione ai Pm Beatrice e Narducci del pentito di camorra Salvatore Rezzuto, come riporta Repubblica:
NAPOLI - Torna il sospetto del calcioscommesse. Un pentito di camorra racconta di partite truccate. E sembra riferirsi alla stagione '98'99. La Procura, doverosamente, indaga. Il pentito faceva parte del clan Giuliano di Forcella ed era una pedina del totonero. Sostiene di avere saputo da chi raccoglieva le scommesse che alcuni match erano combinati. Il pentito si chiama Salvatore Rezzuto e ricorda solo un match dell'Inter in trasferta, data per sicura vincente. Il suo informatore lo assicurò che, invece, sarebbe finita in pareggio. E così fu, aggiunge Rezzuto, perché sarebbe stato tutto combinato. Praticamente tutti gli scommettitori puntarono sulla vittoria nerazzura e persero. Inchiesta giudiziaria affidata ai pm Beatrice, Narducci e Policastro. Nessun indagato al momento, né alcuna colpevolizzazione per la società calcistica citata dal pentito. E' tutto da verificare. Già un anno fa un altro pentito del clan Giuliano aveva parlato ai pubblici ministeri di incontri falsati.
Primo segreto di Pulcinella: la camorra gestisce un lucroso giro d'affari incentrato sulle scommesse clandestine. E la vittoria finale del Napoli è pagata a quote stratosferiche, fino ad arrivare a 1 a 13. E naturalmente, spinti dalla passione, molti napoletani scommettono.
Secondo segreto di Pulcinella: il Napoli lo scudetto lo sta per vincere davvero. E le quote delle scommesse non accennano a calare, anzi.
Stando alle dichiarazioni rese dal pentito Pugliese, ex autista di Maradona, si parlerebbe di terribili pressioni e minacce sul fuoriclasse argentino affinchè abdichi al suo ruolo di trascinatore e consenta il sorpasso che farebbe segnare un attivo impressionante nei "conti sportivi" dei clan camorristici.
Si adombrano complotti politici, strani furti e danneggiamenti subiti dal Pibe de Oro, fino a ricatti terrificanti per ottenere il silenzio come, secondo Pugliese, il trafugamento della salma della figlia di Salvatore Bagni. Scenari a dir poco inquietanti che si esauriscono in fiumi di dichiarazioni presso le Procure, ma non sfociano in un processo.
In tutta questa storia, la famosa pubblicazione travagliesca non trova niente di meglio che imputare colpe a Luciano Moggi, allora ds del Napoli, perchè non abbastanza vigile nell'intuire i rapporti tra la camorra e i giocatori del Napoli. In realtà il nome Moggi non compare da nessuna dichiarazione e anzi sarebbe parte lesa. Ma il moderno Savonarola, di fronte a tanto, gli imputa proprio il fatto di non comparire affatto in alcuna parte dell'inchiesta. Misteri della fede giustizialista.
Il fatto che ci interessa comunque è l'attività incessante della camorra, e del clan Giuliano, nel settore delle scommesse clandestine, nonostante le inchieste degli anni precedenti. Un'attività gestita a livelli altissimi. Un'attività che, secondo le deposizioni dei Giuliano al Pm Narducci nell'ambito dell'ultima inchiesta sul calcioscommesse, non è mai cessata, ma si è trasformata sfruttando il business delle scommesse legali, inaugurato dallo Stato senza pruriti moralisti.
Un altro caso eclatante, e di fatto finito nel nulla, fu quello della finale di Coppa Campioni tra Olympique Marsiglia e Milan. A gettare ombre sulla genuinità del risultato finale fu Papin, velatamente accusando non meglio identificati compagni di essersi venduti la partita. In questo caso l'infiltrazione camorrista è rivendicata da un boss, Michele Zaza O' Pazzo. Tra i pochi eletti a potersi fregiare della doppia carica di boss camorrista e affiliato a Cosa Nostra, il capoclan dedito al contrabbando di sigarette, allora di stanza a Marsiglia, al momento del suo arresto in Francia puntò il dito contro la società del Milan, rea di essersi venduta la partita. E lui che ne sapeva? Sosteneva di essere niente di meno che il mediatore tra le due parti. Fu liquidato come da soprannome, nonostante una carriera ai vertici della criminalità organizzata a garantire per la sua lucidità mentale.
Con l'avvento definitivo del calcio-business, di camorra e di scommesse non ne sentiremo più parlare, a parte l'isolato episodio di un Atalanta-Pistoiese, in cui finirono sotto inchiesta tra gli altri Doni e Zauri, per poi uscirne indenni.
Il calcio-business è anche business legalizzato delle scommesse. Le fanfare seguono il ritmo del denaro: si sostiene che legalizzando il fenomeno, scomparirà il totonero e tutte le sue illecite conseguenze. In pratica lo scommettitore potrà mettere a repentaglio il proprio patrimonio, distruggere la propria famiglia e magari poi mettersi nelle mani degli usurai, ma ad incassare sarà lo Stato e non la camorra. Le partite naturalmente non potranno essere taroccate perchè per scommettere bisogna registrare la propria identità e per i calciatori le scommesse sono vietatissime. Naturalmente con un pizzico in meno di ingenuità, basta un collettore di scommesse, un prestanome che raccolga i soldi dei giocatori, e la sostanza non muta, come evidenziato ad esempio dalla recente inchiesta di Udine. Sosterrebbero infine i teorici della scommessa legale che il calciatore in quanto destinatario di uno stipendio esageratamente ricco non avrebbe incentivo a scommettere. Per sconfessare questo assurdo teorema, vedasi l'opera omnia di Sigmund Freud o gli accertamenti tributari delle Procure che hanno indagato il fenomeno.
E' in questo periodo che segna la grande ascesa delle scommesse legali e un vuoto di inchieste sul calcioscommesse che nasce l'inchiesta della Procura di Napoli originariamente orientata a comprendere i rapporti tra la camorra e le scommesse sulle partite di calcio. Come abbiamo letto nell'estratto precedente, l'inchiesta nasce 4 anni prima degli addebiti mossi a vari calciatori e dirigenti, poi quasi tutti archiviati, che poi porteranno in modo piuttosto discutibile all'avvio dell'inchiesta poi giornalisticamente chiamata Calciopoli.
E' del 2001 infatti la dichiarazione ai Pm Beatrice e Narducci del pentito di camorra Salvatore Rezzuto, come riporta Repubblica:
NAPOLI - Torna il sospetto del calcioscommesse. Un pentito di camorra racconta di partite truccate. E sembra riferirsi alla stagione '98'99. La Procura, doverosamente, indaga. Il pentito faceva parte del clan Giuliano di Forcella ed era una pedina del totonero. Sostiene di avere saputo da chi raccoglieva le scommesse che alcuni match erano combinati. Il pentito si chiama Salvatore Rezzuto e ricorda solo un match dell'Inter in trasferta, data per sicura vincente. Il suo informatore lo assicurò che, invece, sarebbe finita in pareggio. E così fu, aggiunge Rezzuto, perché sarebbe stato tutto combinato. Praticamente tutti gli scommettitori puntarono sulla vittoria nerazzura e persero. Inchiesta giudiziaria affidata ai pm Beatrice, Narducci e Policastro. Nessun indagato al momento, né alcuna colpevolizzazione per la società calcistica citata dal pentito. E' tutto da verificare. Già un anno fa un altro pentito del clan Giuliano aveva parlato ai pubblici ministeri di incontri falsati.
Le scommesse, la camorra, i calciatori. Eccola la vera Triade.
Due bravi magistrati si mettono al lavoro.
Vedremo nella prossima puntata con quali risultati.
Due bravi magistrati si mettono al lavoro.
Vedremo nella prossima puntata con quali risultati.