CantaNapoli - Il processo
Dario Galati: per chi guarda la luna, anziché il dito
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- By Dominiobianconero
La nostra redazione ha finora seguito in maniera puntuale e certosina la sfilata dei testimoni dell’accusa chiamati a deporre dai PM. Abbiamo ascoltato personaggi variegati, alcuni dei quali davvero pittoreschi, la cui attendibilità sarà accuratamente verificata dal Tribunale. Il giorno 30 giugno però è stato chiamato in aula un testimone che, a nostro parere, va letto e considerato con estrema attenzione, non solo per il contributo riveniente dalla sua vicenda professionale ma anche in relazione alla sua figura di punto di vista umano e morale.
Stiamo parlando di Dario Galati, attualmente ancora in servizio presso la FIGC, e di cui si parlò nei primi giorni dello scoppio della Farsa (maggio 2006) come possibile testimone chiave a sostegno di una accusa che fin dai primi giorni cercava puntelli che potessero tenere in piedi il castello montato dai giornali. Fu subito chiamato come persona informata a dare il suo contributo, e lui non si tirò indietro. Fu ascoltato dai Carabinieri, dai PM, dai Giudici Sportivi. A tutti raccontò la sua verità, uno spaccato della vita federale e arbitrale dal 1992 al 2005. Una verità però poco funzionale al Tribunale degli orrori di Ruperto, lontana dal Moggicentrismo della Gazzetta dello Sport, e molto orientata a sollevare il velo sulle vere contraddizioni dell’organizzazione federale, del mondo arbitrale, e del calcio in generale. Un palcoscenico in cui Moggi agiva da attore, come tutti gli altri, adeguandosi ai ritmi di una regia malata che fin dal 1999 aveva allestito una trama ridondante di conflitti di interessi, colpi bassi, invidie e sospetti.
E’ interessantissimo dunque analizzare la sua deposizione, spesso su temi che la nostra redazione aveva già affrontato, e che vengono confermati da Galati, insieme ad alcune “ciliegine” che vanno ad impreziosire la torta dei sospetti per un gioco che ormai, negli anni 2004 e 2005, aveva cominciato a farsi davvero pesante.
Ecco dunque che interrogato dal PM Caputo (che ha sostituito Beatrice) Dario Galati racconta la sua storia. Dario ha 41 anni, è in FIGC dal 1992; inizialmente non venne assunto regolarmente ma era pagato con delle diarie. Cominciò a lavorare presso la Commissione Arbitrale Serie C e aveva come responsabili Benedetti, 1 anno Lombardo-Tedeschi, 3 anni Lanese e poi dal 1998-99 Pierluigi Pairetto, che lo scelse come suo collaboratore nonostante fosse a tutti gli effetti ancora un “precario”.
Il 1999 fu l’anno chiave. La LEGA CALCIO stava lavorando ad un progetto di “professionismo arbitrale". La FIGC accolse questo progetto, sebbene fosse chiaro a tutti che questa svolta costituiva una vera anomalia. Il progetto sembrava andasse contro l’AIA, e partoriva un conflitto di interessi che minava l’imparzialità dell’arbitro. Ci furono diverse proteste del sindacato arbitri che provocarono le dimissioni di un risentito Boggi (leggi il contenuto della sua lettera).
Fu organizzata così la famosa cena “delle sette sorelle” (Juventus, Inter, Milan, Roma, Lazio, Parma e Fiorentina) durante la quale fu deciso, a scapito di tutte le altre società, l’assetto che doveva essere dato alla nascente Commissione Arbitrale Nazionale di A e B.
La CAN partiva da zero, non aveva neanche il programma SINFONIA, il software in uso all’AIA che consentiva di calcolare automaticamente tutti i dati relativi agli arbitri ed evidenziarne quindi le possibili preclusioni e altre statistiche.
Paolo Bergamo fu indicato, dalla LEGA e dal suo Presidente Franco Carraro, come Responsabile Designatore. Tuttavia il Presidente della Roma, Franco Sensi, riteneva il candidato della LEGA troppo vicino “politicamente” ai club del nord e invocò l’elezione di un “doppio designatore”, proposto dalla FIGC e che fosse un vero e proprio garante.
Nizzola propose Pairetto che fu dunque accoppiato a Bergamo. Pairetto arrivò alla CAN portandosi dietro Dario Galati, che nel frattempo aveva provveduto a far assumere regolarmente e che quindi nei suoi confronti nutriva un debito di riconoscenza. Oltre a Galati alla segreteria della CAN arrivarono Maria Grazia Fazi, segretaria di Bergamo e Manfredi Martino che si occupava dei rimborsi spese.
Maria Grazia Fazi, che era in una situazione molto simile a quella di Galati, inquadrata praticamente come commesso, cercava di farsi notare ed era molto ambiziosa, per cui cercava di imporsi a volte anche verso i designatori facendo più di quello che le veniva chiesto.
In ogni caso i designatori consegnarono ai tre collaboratori un documento che era un vero e proprio mansionario, in cui era scritto che la Fazi era delegata a parlare con le società. Da notare che la CAN veniva pagata dalla LEGA, cioè dalle società stesse, autorizzandole inconsciamente a considerarla come una cosa propria.
Galati rimase alla Segreteria CAN fino al gennaio 2000, quando i giornali riportarono la famosa vicenda dei Rolex regalati agli arbitri dal Presidente della Roma Franco Sensi. Pochi giorni prima di Natale a Galati venne chiesto di inviare alla sede di Roma e Lazio gli indirizzi di casa di designatori, arbitri e guardalinee. Lui si rifiutò. Riteneva una cosa del genere un invito alla “regalia” e non lo reputava moralmente accettabile. Qualcun altro lo fece al suo posto. E, sollecitato anche nel corso del controesame dell’Avv. Prioreschi (difesa Moggi), chiarisce che la Roma regalò ai designatori degli orologi Rolex del valore commerciale di circa 25 milioni di lire, agli arbitri orologi Rolex da 5 milioni di lire e agli assistenti dei più economici orologi non Rolex del valore di qualche milione di lire. Racconta la sua amarezza, visto che solitamente i regali agli arbitri passavano dalle segreterie e venivano distribuiti sotto gli occhi di tutti, pur non raggiungendo mai quel valore commerciale.
Sollecitato dal PM ricorda altri episodi della sua permanenza presso quell’ufficio. In particolare riferisce del fatto che c’erano varie società che avevano preso l’abitudine di telefonare, alcune delle quali in maniera addirittura insistente, e ricorda di come in Serie C tale contatto fosse inusuale e solitamente affidato a supporti cartacei.
Sempre nel corso dell’esame del PM, Galati conferma la sua partecipazione alle riunioni della CAN, con Bergamo, Pairetto, Nicchi (attuale Presidente AIA n.d.r.), Celli, Guidi e la Fazi. Spiega nel dettaglio che il suo compito era di gestire il software, e segnalare a Pairetto i casi da moviola da mostrare ai raduni arbitrali.
Conferma che la Fazi non aveva compiti precisi all’interno della segreteria e che si limitava a supervisionare il lavoro. Sottolinea che le griglie venivano preparate dai designatori, ai quali si premurava di fornire solo le risultanze del software. Ribadisce che insieme alla Fazi preparava i bigliettini e le sfere per effettuare il sorteggio e che a causa di un loro errore sulle preclusioni i designatori presero l’abitudine di verificare quello che la segreteria aveva preparato. Ricorda che, nel corso della stagione 98/99, le prime giornate il sorteggio venne effettuato con palline di plastica particolarmente scadente, per cui successivamente arrivarono quelle di metallo verniciato, con chiusura a baionetta che nell’uso si segnavano, circostanza che a volte le rendeva riconoscibili. Su questo punto molto interessante l’intervento, nel corso del controesame di Galati, dell’Avv. Morescanti (difesa Fabiani), la quale sottolineava la fragilità delle palline di metallo, che a quanto pare subivano ad ogni sorteggio nuovi danni causati dal rimescolamento nell’urna, ragione per cui anche il riconoscimento esteriore era assolutamente empirico.
Come episodi particolari Galati racconta quello che accadde all’inizio della stagione 99-00. Sensi era alle prese con i suoi fantasmi e, in piena lotta di potere, alla seconda giornata ci fu un Roma-Inter che venne affidato all’arbitro Domenico Messina. Nel corso della partita la Roma si sentì danneggiata e nacquero le solite polemiche (da notare che la squadra favorita in quel momento sarebbe stata l’Inter….)
Al quinto turno fu reinserito Messina in griglia per la Fiorentina-Roma e Galati si preoccupò di segnalare che la cosa sembrava inopportuna, ma non fu ascoltato neanche dallo stesso Pairetto che invece gli disse che “aveva degli elenchi”, senza ulteriori commenti.
Altra piccola anomalia che Galati racconta è il sorteggio arbitrale per l’anticipo di serie B, che avveniva nella sede della CAN a cura degli impiegati della segreteria. In alcuni casi Galati segnala che i designatori gli chiesero di non farlo e di dire che l’arbitro sorteggiato fosse quello indicato da loro. Galati ricorda almeno tre episodi in cui ciò avvenne, ma precisa che le spiegazioni che gli furono date erano più che plausibili soprattutto in relazione a fatto che gli arbitri e le società interessate erano comunque sempre diverse.
Un importante episodio di conflitto di interessi fu il momento della nomina del rimpiazzo di Boggi come arbitro internazionale. Solitamente ciò avveniva su segnalazione da parte del Presidente dell’AIA al Presidente della FIGC che provvedeva alla nomina. I due designatori ritenevano però che la scelta fosse esclusivamente tecnica e su questa base proposero Tombolini, che si contrappose al candidato AIA appoggiato da Gonella, che era Farina. Non riuscendo a trovare un accordo rimisero la scelta al Presidente Federale, non prima di aver aggiunto un terzo candidato, De Santis, e aver commissionato uno studio tecnico quantitativo sul rendimento degli arbitri che fu preparato dallo stesso Galati, che però lo considerava poco significativo in quanto basato semplicemente su dati statistici e privo di altre importanti informazioni di tipo caratteriale e culturale. A spuntarla in quel caso fu Massimo De Santis (e probabilmente dei tre era davvero il migliore tecnicamente, visti i disastri che gli altri due hanno combinato negli anni successivi).
Galati lavorò quindi alla Segreteria CAN per poco più di sei mesi dal luglio 99 a gennaio del 2000. Successivamente, essendo in buoni rapporti con Virginio Quartuccio chiese di andare a lavorare alla segreteria AIA, e in séguito al settore giovanile scolastico dove conobbe Innocenzo Mazzini che, quando venne eletto vicepresidente della FIGC nel dicembre 2001, gli propose di seguirlo presso la sua segreteria dove prestò servizio fino al maggio del 2005.
Tra gli episodi salienti dei suoi anni alla vicepresidenza federale Galati ricorda una telefonata di Mazzini in cui il vicepresidente federale gli confidò che Abete aveva effettuato dei controlli tra le buste paga dei dipendenti e i bonifici effettivamente erogati, trovando numerose discordanze. La circostanza avrebbe fatto ipotizzare l’esistenza di capitoli di bilancio falsi presso la FIGC, ma di questa vicenda non si seppe nulla. (n.d.r. nonostante una misteriosa interpellanza parlamentare effettuata dal senatore Gigi Malabarba, membro del Comitato di Controllo Parlamentare sui Servizi Segreti in data 7 marzo 2006 atto 4-10255 seduta nr. 964 della XV Legislatura. Il senatore in questione chiese spiegazioni in Parlamento circa l'origine di alcuni bonifici di poche migliaia di euro che vennero rintracciati sui conti di alcuni impiegati della FIGC.)
Galati ricorda inoltre che Mazzini aveva rapporti, telefonici e non, con tutti i presidenti di società, nell’ambito del suo ruolo istituzionale di vicepresidente federale.
Nel maggio del 2005 Galati lasciò la segreteria di Innocenzo Mazzini sostanzialmente perché si sentiva sfruttato e non gratificato, in quanto riteneva di avere un grado troppo basso rispetto alle effettive responsabilità, che gli venivano affidate infatti mediante delle lettere di incarico specifiche.
Il suo divenne un vero e proprio calvario, si innescò un contenzioso con la FIGC e la sua vicenda assunse i contorni del mobbing, anche perchè a causa di gravi motivi di salute fu costretto a rimanere per lunghe settimane in malattia. Nel novembre 2005 rientrò al lavoro e nel marzo del 2006 venne trasferito alla CAF, la Corte di Appello Federale, a quei tempi nell’occhio del ciclone per il caso Genoa.
Alla CAF Galati non aveva grossi incarichi, ma si accorse subito delle gravi carenze nell’ambito delle procedure di protocollo dei documenti, per cui decise prudentemente di non apporre la sua sigla sui documenti che maneggiava. Denunciò questa carenza ma di fatto, essendo già in pieno mobbing, venne marginalizzato e successivamente velatamente accusato di aver fatto sparire alcuni documenti.
In particolare ci fu un episodio in cui scomparve un documento riguardante la vicenda Boudianski-Zetulayev, (i giocatori erano stati tesserati dalla Reggina ma erano della Juventus, e quest’ultima aveva presentato ricorso, vincendolo, sulla base di un conflitto tra una norma dell’ordinamento statale e una norma sportiva). L'arcano viene spiegato dall'avv. Prioreschi nel corso del controesame: il documento non fu illecitamente sottratto agli archivi, ma era stato inviato alla procura di Roma nell'ambito del processo GEA.
Fino a questo punto le dichiarazioni del testimone Galati sono molto interessanti. Ma diventano addirittura deflagranti nel corso del controesame effettuato dall’Avv. Prioreschi che sapientemente fa emergere alcuni importanti circostanze.
La prima riguarda il giornalista di Repubblica Corrado Zunino.
Galati conferma che lo chiamò il secondo giorno dopo l’uscita delle intercettazioni, il 4 maggio 2006, mentre c’era ancora il segreto istruttorio sul materiale che veniva diffuso. Zunino lo chiamò e gli disse di volerlo incontrare e che conosceva la sua vicenda; Galati accettò perché sperava di poter affrontare la sua questione lavorativa, spiegargli il suo concetto di dipendente come servizio pubblico, parlare della prima volta in cui un sindacato era entrato all’interno di una federazione privatizzata. Il giornalista gli promise di fare un articolo che parlasse del suo mobbing e dei diritti dei lavoratori, e che non avrebbe mai usato il suo caso; ma fin da subito deluse le sue attese e dopo qualche tempo, ad ottobre 2006, lo invito di sera presso la sede sportiva di Repubblica a Roma, chiedendogli di aiutarlo a sbobinare le intercettazioni relative a Calciopoli, che erano in possesso di Zunino su alcuni CD che contenevano tutti i files.
Il finale del controesame di Prioreschi è deflagrante. L’avvocato di Moggi chiede a Galati se conosce Alessandro Lulli, ex-guardalinee, collaboratore della Figc, addetto Club Italia per i rapporti con gli arbitri internazionali. Galati annuisce e parla di un episodio che all’epoca aveva sottovalutato, ma che alla luce di quanto accaduto in questi anni appare davvero inquietante.
Lulli gli confidò che nell'aprile 2005 era andato a fare l’accompagnatore della terna arbitrale per la partita Milan-Inter di Champions League e gli disse che la terna non era rimasta contenta del trattamento ricevuto dalla società ospitante (il Milan); poi iniziò uno strano discorso sul fatto che aveva parlato con un dirigente dell’Inter, probabilmente individuato nella figura di Rinaldo Ghelfi, e questi gli aveva confidato che avevano commissionato ad una società privata di investigazioni una indagine/dossier ai danni della classe arbitrale, specificandone perfino il costo di circa 500 mila euro. Indagine però illegale e quindi inutilizzabile. Resta da capire quali fossero le risultanze di questa indagine.
(Qualche tempo fa Moratti aveva confermato che c’era stata una indagine o qualcosa del genere, specificando però che i risultati erano stati negativi. Fatta questa considerazione ci sono tre possibili ipotesi. La prima è che il dossier di Ghelfi è lo stesso dossier confermato da Moratti e quindi è inutilizzabile perché non contiene nulla. La seconda è che il dossier di Ghelfi è diverso da quello confermato da Moratti. La terza è che il dossier confermato da Moratti conteneva qualche spunto interessante ma Moratti ha mentito, per evitare che qualcuno gli chiedesse conto delle informazioni illegalmente acquisite).
Tra quelle ascoltate finora riteniamo la testimonianza Galati una delle più ricche e adatte a capire fino in fondo la realtà del caso Calciopoli. Il lettore più attento avrà sicuramente notato che Dario Galati non nomina mai Luciano Moggi, e non certamente perché è il suo difensore d’ufficio. Non lo nomina perché focalizza la sua analisi sul conflitto di interessi, sulle contraddizioni interne alla FIGC, sulle lotte di potere, sui punti deboli del sistema federale e della Lega.
Tutta roba che non fa “sentimento popolare” e che non serve a eliminare nemici scomodi e sfortunatamente molto bravi.
Come nella migliore tradizione, mentre tutti guardano il dito, Dario Galati guarda alla luna, e lucidamente ci aiuta a capire.
Reggina - Juventus Reloaded
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- By Inunmondoche
6 novembre 2004 Reggina-Juventus 2-1, una partita ormai famosa come una finale di Coppa del Mondo.
La raccontano davanti al Tribunale di Napoli i due assistenti di quella gara, il salernitano Aniello Di Mauro e il mantovano Cristiano Copelli.
Partiamo da quello che non viene detto, anzi da quello che non viene nemmeno chiesto. Il sequestro di persona, la chiusura negli spogliatoi, la prova principe a livello mediatico della mafiosità di Moggi. Anche il Pm ha abbandonato: non si preoccupa di acquisire riscontri dai due ufficiali di gara, presenti nello spogliatoio. Questione chiusa.
Di Mauro racconta la sua versione di una questione controversa: l'annullamento della rete del pareggio di Kapo al 95'.
Paparesta aveva convalidato il goal e il Di Mauro, a suo dire accortosi del fuorigioco, aveva cercato di segnalare l'irregolarità, attraverso il segnale elettronico di cui è dotata la bandierina, all'arbitro barese.
Convinto che il segnale non fosse stato recepito per malfunzionamento del meccanismo, Di Mauro rimase fermo nella sua posizione, anziché recarsi a centrocampo, come previsto dal regolamento nel caso di goal regolare. Abbassò però la bandierina, anziché mantenerla alta come previsto dalle disposizioni AIA in caso di segnalazione di fuorigioco.
Si originò pertanto il dubbio che il Di Mauro avesse segnalato un fallo di mano inesistente, che i giocatori della Reggina segnalavano veementemente. Il guardalinee tiene a sottolineare di avere da subito segnalato la motivazione effettiva all'arbitro, a Camoranesi, che glielo chiedeva, e successivamente a Tancredi e Capello.
Il fatto però che non avesse tenuto in alto la bandierina e che l'avesse agitata (sostiene il Di Mauro nel tentativo di innescare il meccanismo di segnalazione), aveva innescato più di un dubbio tra gli spettatori. Dubbi motivati dal comportamento formalmente errato.
Questo gli imputano Moggi e Giraudo negli spogliatoi, che gli raccontano di aver rivisto rivisto l'azione in tv; e con loro ha una discussione piuttosto concitata. Il Di Mauro sostiene la sua tesi senza problemi e non rileva alcuna minaccia dei dirigenti juventini che, come atto di protervia massimo, si consentono di ricordargli un precedente episodio in cui l'assistente aveva danneggiato la Juventus.
Rileva la presenza dell'osservatore Ingargiola, imputato, alla scena accaduta; l'ingresso negli spogliatoi di Lillo Foti, presidente della Reggina, per complimentarsi con lui; il fatto che Moggi e Giraudo se ne vadano sbattendo la porta, senza alcun riferimento a serrature che fanno clic.
Infine, attribuisce al Paparesta, il solo che ne aveva la potestà, la scelta di non mettere a referto l'animata discussione avuta con i dirigenti della Juve.
Il Pm gli fa quindi ascoltare una telefonata, assai poco conosciuta, ma importante per comprendere la situazione.
Il giovedì successivo alla partita Di Mauro chiama Bergamo per chiarire il proprio comportamento, avendo saputo da Mazzei che il designatore livornese è particolarmente arrabbiato con lui. Nella telefonata il Di Mauro, molto composto e preciso nell'esprimersi in aula, si mette a piangere, infila una serie micidiale di teste su cui giurare, tra cui non mancano - naturale - i figli, abbandonandosi a dichiarazioni d'affetto incondizionato nei confronti di Bergamo, mescolate a contestuali terribili attacchi di sconforto.
Messa così, sembra che un errore contro la Juve sia imperdonabile.
Invece ascoltiamo Bergamo rassicurare il guardalinee, spiegandogli che è un errore formale che verrà giudicato come tale (lo sarà, 1 solo turno di stop, procedura rituale come ammette senza problemi Di Mauro), che "si sbaglia tutti... e sono arrabbiato zero", addirittura mette in chiaro che la Juventus è come il Canicattì in questo caso, non è assolutamente questo il discorso.
Gli consiglia l'atteggiamento da tenere a Coverciano quando l'errore, come rituale, sarà mostrato a scopo didattico.
Il Di Mauro piange perchè teme di non essere creduto, tende a salvaguardare la sua dignità e il diavolo sa cosa. Ma non accenna minimamente alla Juventus e al timore di punizioni dalla diabolica fonte.
Le rimostranze mossagli dal Bergamo, ammette poi davanti all'avvocato Trofino, non sono affatto pretestuose, ma motivate.
La testimonianza del Copelli, autore invece del grave errore del primo tempo, quando non sanzionò un evidentissimo fallo di mano di Balestri nella propria area, è sostanzialmente in linea con quella del collega. Il pubblico ministero gli chiede se gli sia mai capitato un episodio simile. Il guardalinee lombardo riferisce essere pratica comune quella di venire a lamentarsi negli spogliatoi quando i dirigenti ritengono che la propria squadra abbia subito un torto, semmai distinguendosi l'intervento di Moggi e Giraudo per un eccesso di concitazione, ma non per minacce o intimidazioni.
Dopo quella partita non arbitrerà più la Juve per il resto della stagione, rileva l'accusa, ricevendo l'assenso del teste. Allo stesso modo però, rileverà Prioreschi, l'annullamento di un goal a Gilardino nella stagione successiva, lo vedrà escluso per il resto della stagione dai match del Milan.
L'interrogatorio si concentra quindi sui suoi rapporti con Leonardo Meani, ex collega di bandierina, ma, al tempo dei fatti, collaboratore del Milan. Rapporti di amicizia, tiene a precisare, così come gli risultano essere i rapporti dei colleghi Puglisi, Contini, Babini e dell'arbitro Saccani con il ristoratore lodigiano.
Le domande vertono quasi esclusivamente su un'intercettazione, fatta ascoltare in aula, tra i due, i quali commentano, non troppo in libertà per la verità, i fatti di rilievo del mondo arbitrale.
In breve la conversazione: un commento sul Saccani, evidentemente sentito dal Meani in precedenza, costantemente messo in seconda fascia; un commento sui progressi tecnici o etici del De Santis; il racconto di un colloquio tra Meani e Carraro che se la prendono con Moggi; Meani sostiene di essere il protagonista del rilancio dell'arbitro Messina; si parla delle abilità tecniche e politiche di Rosetti; si allude a un momento politico particolarmente dedicato interno all'AIA dove i giochi si fanno "all'interno e all'esterno".
Il Pm contesta l'assenso di Copelli alle affermazioni sugli ottimi arbitraggi di De Santis, che si sarebbe liberato da certo "servilismo". Il guardalinee sostiene di riferirsi soltanto a questioni tecniche, come peraltro desumibile dall'intercettazione quando risponde all'insinuazione del Meani che l'arbitro laziale ha fatto "un passo di qualità".
Il magistrato ritiene che il Copelli abbia anche assentito alle dichiarazioni di Meani, condivise, a suo dire, con Carraro, su "quello là che vuole comandare il calcio". Copelli riconosce l'identità tra "quello là" e il Moggi ma sostiene che il suo annuire è semplicemente un educato tentativo di dare il lungo alle esagerazioni del Meani, che talvolta parlava in libertà, senza alcun reale convincimento al riguardo.
Il rilancio di Messina, di cui si accredita artefice il Meani, gli sembra dovuto a questioni tecniche, ancora una volta. Come, in generale, il percorso di carriera di ogni arbitro: le capacità tecniche sono quelle che fanno avanzare un arbitro, questa la sua convinzione.
I rapporti con Rosetti e De Santis, i "giochi all'interno e all'esterno", sono motivati con le candidature per gli imminenti Mondiali in Germania, dove entrambi gli arbitri erano in lizza per un posto, e Copelli, avendo arbitrato spesso con entrambi, aspirava a far parte della terna, qualsiasi fosse la composizione. Interesse legittimo.
Interrogato dalla difesa, Copelli spiega che i suoi rapporti con Meani gli apparivano del tutto legittimi, anche perchè la modifica regolamentare dell'AIA che impedisce relazioni con i dirigenti è datata 2007. Sino ad allora, nella sua opinione, ad arbitri e assistenti era consentito parlare con dirigenti di squadre.
L'avvocato Trofino gli rammenta un'ulteriore telefonata con Meani, in cui chiede aiuto dopo essere finito sulla graticola per un errore in Sampdoria-Palermo. Foschi lo ha attaccato pesantemente, e, in conseguenza di ciò, il guardalinee vive una situazione privata difficile che lo spinge addirittura a chiedere il permesso agli organi federali per la querela. Si rivolge anche al Meani, che lo rassicura dicendo che parlerà con Galliani, per difendere quello che definisce "un nostro uomo".
Copelli sostiene invece che l'intervento del Meani era stato da lui richiesto, in quanto lo sapeva essere amico del Foschi, e non per innescare un intervento di Galliani.
L'intervento di Copelli, internazionale ancora in attività, conferisce insomma una certa normalità alle schermaglie Milan-Juventus sui temi arbitrali. L'impressione che si ricava dalle sue parole è quella di una normale attività di lobbying, che non si serve di minacce, né di interventi diretti sugli arbitri.
La sua deposizione su Reggina-Juventus, come quella del Di Mauro, infine riportano alla normalità dei fatti, nient'affatto eccezionali, nè immotivati. Non indicatori di mafiosità e nemmeno di prepotenza, ma di una normale e rituale incazzatura.
Insomma, è giunto il momento di consegnare la partita alla storia.
Ricordiamocela sì, ma come una delle poche partite che una Juve fortissima perse quell'anno, e per quel feroce goal di Ibrahimovic, autore di una prestazione enorme.
Quelli eran tempi.
Le SIM svizzere: un rebus ancora tutto da decifrare
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- By Mario Incandenza
Secondo la testimonianza resa lo scorso 30 giugno da Giancarlo Bertolini, dipendente Juve, Luciano Moggi decise per la prima volta di procurarsi delle schede svizzere nel giugno del 2004, un giorno in cui, nella sede di corso Galfer a Torino, lo chiamò e gli chiese di comprare una decina di SIM dello stesso tipo di una che gli mostrò in quell’occasione e che Bertolini, per non sbagliare, fotocopiò. Moggi specificò solo che non dovevano essere intestate.
La scelta del centro Motorola di Chiasso fu, a detta di Bertolini, casuale. Fu lui a scegliere Chiasso per sua comodità, fermandosi al primo negozio che lo colpì, e cioè il centro di telefonia gestito da Teodosio De Cillis. Da quel giugno 2004, per un anno e mezzo, Bertolini tornò in quel negozio altre 7 o 8 volte, in un caso in compagnia di Moggi, che gli aveva espresso il desiderio di conoscere il venditore, dato che stavano andando a Milano ed erano sulla strada.
Quanto ai dettagli sul come il commerciante di Chiasso risolveva il problema della non intestazione della scheda e su quale fosse il gestore di telefonia, Bertolini non se ne interessava. Ricorda solo che una volta De Cillis gli disse di avvertire Moggi che era cambiato il gestore.
Le spese per queste Sim erano regolarmente pagate dall’amministrazione della Juve (tranne la prima volta, in cui Moggi gli diede i soldi personalmente) e corrispondevano al valore del prodotto, senza sconti o “incentivi”.
Tutto regolare, insomma. D’altronde, come ha ricordato il giudice Casoria, acquistare Sim straniere non è reato.
Sempre il 30 giugno, con la testimonianza dello stesso Teodosio de Cillis si è entrati più nel dettaglio degli acquisti effettuati, anche se il teste ha ripetutamente lamentato l’impossibilità di ricordare, a distanza di tempo, numeri di telefono, date, quantità. Gli avvocati difensori l’hanno molto incalzato per capire in che modo, nel 2006, sull’onda dello scandalo, fu indotto a presentarsi a deporre dai Carabinieri. Ai tempi si era detto che lo fece spontaneamente, in realtà in aula si è capito che venne indotto a farlo dalle pressioni degli inquirenti stessi. La prima deposizione avvenne addirittura alle 22.40 del 27 maggio presso i Carabinieri di Como, dopo che De Cillis venne informato che il nome del padre (intestatario di alcune delle SIM incriminate) e del fratello (gestore di un hotel di Cernobbio noto agli addetti ai lavori del calcio) erano finiti su Internet, e che stava uscendo un articolo su di loro sulla Provincia di Como.
In seguito venne poi sentito anche dai Carabinieri di Via In Selci di Roma, titolari dell'inchiesta. Più volte l'avvocato Prioreschi ha cercato di capire le modalità di questi contatti, ma tra contraddizioni e "non ricordo" sembra che avvennero solo via telefono o fax.
Comunque, a causa delle frequenti difficoltà mnemoniche del teste, dovute al tempo trascorso rispetto ai fatti contestati, non si è ben capito quali fossero le SIM con sicurezza utilizzate da Moggi. Probabilmente saranno più precisi gli inquirenti, la cui deposizione è prevista per il prossimo 10 luglio.
Con certezza si è stabilito che le SIM fatte comprare da Moggi nel periodo 2004-06 erano di due gestori: la Sunrise svizzera e la Ring Mobile del Liechtenstein.
SIM svizzere Sunrise: E' il gestore utilizzato nel periodo giugno 2004 (primo acquisto di Sunrise) - giugno 2005 (primo acquisto di Ring Mobile). Non si è ben capito quante schede vennero acquistate la prima volta, in quel giugno 2004. De Cillis dice 3 o 4 intestate al padre, perché per la legge svizzera, gli pare di ricordare, una sola persona non se ne potrebbe intestare più di 5. Poi però salta fuori un elenco di 9 SIM (che calzerebbe col racconto di Bertolini), di cui gli avvocati di Moggi faticano a farsi raccontare l'autore, se i Carabinieri o lo stesso De Cillis. Parrebbe quest'ultimo, il quale però non si ricorda nemmeno se vennero vendute tutte insieme o in momenti diversi, e soprattutto se erano state intestate tutte al padre. Quel che è certo è che le Sunrise dovevano essere intestate a una persona e che De Cillis, per accontentare la richiesta di riservatezza del suo cliente, decise di usare i dati anagrafici di suo padre Arturo.
Dopo quel primo acquisto del giugno 2004, secondo il verbale reso ai Carabinieri di via In Selci il 7 giugno 2006 (in aula il commerciante non si ricordava più nulla), De Cillis ne avrebbe vendute a Bertolini altre 5 il 14 gennaio 2005 (ma non ricorda a chi le intestò) e altre 7 l’11 febbraio 2005 (anche qui, non si sa a chi intestate).
SIM del Liechtestein Ring Mobile: La particolarità di queste schede stava, come raccontato da De Cillis, nel fatto che potevano essere vendute senza chiedere i dati anagrafici al cliente, solo con una generica intestazione del negozio. La procedura prevedeva che l’intestazione dell’utente avvenisse entro 14 giorni da parte dell’acquirente, ma in realtà poi nessuno lo faceva e la scheda continuava a funzionare lo stesso. Anche in questo caso, De Cillis non ricorda quante e quando ne vendette a Bertolini. Nel verbale della deposizione che rese ai Carabinieri nel giugno 2006, il commerciante ticinese fornì delle date: 27-6-05, 19-7-05, 29-7-05, 11-11-05, 3-3-06, 13-3-06. Per ogni data, ci sarebbero anche i pezzi venduti a Bertolini, tra Sim e ricariche. Quel che si è capito è che quando a suo tempo sui giornali si parlò di 385 Sim del Liechtenstein sotto indagine, in realtà ci si riferiva al numero totale di SIM della Ring Mobile vendute nel negozio di De Cillis in quel periodo e il cui elenco venne fornito ai Carabinieri. Fra di esse, solo alcune vennero in effetti fatte comprare da Moggi (sarebbero una quarantina nell'arco di un anno).
Quella delle SIM del Liechtestein sembra però una questione ormai poco rilevante, usata per aggiungere colore all'accusa, dato che riguarda un periodo successivo al campionato 2004-05 (il primo acquisto sarebbe della fine giugno del 2005) e, soprattutto, sembra molto difficile individuare a posteriori quali schede vennero fatte acquistare da Moggi, dato che non vennero tracciate dal venditore.
Piuttosto, tirando le somme per quanto riguarda le SIM svizzere, anche dando per scontate le 9 acquistate nel giugno 2004 (numero che sembrerebbe confermato da Bertolini, che ha parlato di una decina di schede, ma non dalla labile memoria di De Cillis), in seguito ne sarebbero state acquistate 5 nel gennaio 2005 e 7 nel febbraio 2005. Dunque, 21 in tutto.
Fa pensare il dato dell'acquisto del febbraio 2005, e cioè allorché Moggi si accorse di aver "bruciato" il suo numero svizzero a causa dell'errore di Bergamo che lo chiamò da casa. Se è vero che questo fatto lo spinse a cambiare i numeri della sua "rete" (evento confermato dalla testimonianza di Romeo Paparesta, che disse che nel febbraio 2005 Moggi gli diede un nuovo telefonino con un nuovo numero), non si può non rilevare che De Cillis abbia testimoniato che di schede nuove, in quel febbraio, a Bertolini ne vendette solo 7. E per arrivare a 7 utenti facciam presto: Moggi, Fabiani, Romeo Paparesta, Bergamo, e siamo già a 4. Ne avanzano solo 3. Ma tutti quegli arbitri di cui si è parlato? Non ne facevano parte anche loro?
Dal controesame dei difensori, sono poi usciti alcuni retroscena molto interessanti sulla clientela di quel negozio di telefonia. Pare che fosse frequentato anche da dirigenti di serie A. In particolare, De Cillis ha fatto il nome di Marco Branca, ds dell’Inter, e anche del fratello di Moratti. I legali della difesa l’hanno così incalzato per approfondire questa singolare coincidenza, facendo anche innervosire il venditore, che è sembrato molto allarmato per il fatto di aver chiamato in causa i dirigenti nerazzurri.
Per ora, comunque, la questione delle SIM svizzere resta un rebus ancora tutto da decifrare, e francamente non si è ben capito quali siano le basi della teoria degli inquirenti sulla rete telefonica comprensiva di arbitri che avrebbe condizionato il campionato. L’avvocato Morescanti, legale di Fabiani, ha chiesto a De Cillis di verificare due numeri della Sunrise, per capire se fossero nell’elenco delle utenze intestate al padre, ma il venditore non li ha trovati.
Nelle prossime udienze forse capiremo di più.
Aliberti e Canovi: Testimonianze seppellite dalle sentenze
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- By inunmondoche
Singolare la scelta dei magistrati napoletani di affidarsi, in questa udienza, ai testimoni Aniello Aliberti, ex presidente della Salernitana, e Dario Canovi, avvocato ed ex procuratore sportivo. Singolare non soltanto per l'assoluta irrilevanza delle loro deposizioni nel provare l'associazione a delinquere, delineata dagli inquirenti, ma anche e soprattutto per le sentenze, passate in giudicato, che già hanno sconfessato le accuse formulate in data odierna dai testi. Francamente, data la riduzione della lista dei testimoni, richiesta dal collegio giudicante, i Pm napoletani hanno operato, così ci pare, una scelta improvvida e assai scarsa di risultanze.
Dario Canovi racconta, su impulso dei magistrati, dei suoi esposti alle autorità per la concorrenza e a quelle sportive, contro la GEA e i procuratori Zavaglia e Marronaro.
La storia più importante riguarda però la "prima" GEA, come da Canovi definita, ossia la prima organizzazione riconducibile ai "figli d'arte" Cragnotti, Geronzi e De Mita, in un tempo in cui Alessandro Moggi e Zavaglia non erano ancora associati.
Canovi era il procuratore di Alessandro Nesta, al tempo punto fermo della Lazio, società in cui a vario titolo operavano De Mita Jr e Tommaso Cellini, rappresentanti di quella "prima" GEA, per tacere dell'evidente appartenenza al club biancoceleste dei padri di Cragnotti e Geronzi.
Canovi racconta il passaggio di Nesta alla GEA, come confidatogli dal fratello del difensore, Fernando, per altro impiegato nel suo studio professionale.
Il difensore, oggi al Milan, fu accompagnato con una "limousine nera lunghissima" alla Presidenza della Banca di Roma, dove fu ricevuto da Geronzi che, promettendogli un radioso futuro, si sentì di puntualizzare che "ovviamente tu darai la procura alla GEA".
Questa "prima GEA", i cui protagonisti, come noto, non sono nemmeno arrivati a processo a Roma, avrebbe rappresentato un centro di potere che diramava dalla stessa Federazione. Rammenta Canovi che la figlia di Geronzi era una dipendente di Carraro in Figc, mentre il figlio di Carraro era un dipendente di Geronzi.
Insomma, fatti interessanti, ma in nessun modo attinenti al processo e all'accusa qui ed ora formulata.
Quanto alla "seconda GEA", si pronuncia con sostanziale vaghezza e indeterminatezza. Il cambio di procura di Chiellini fu, per ragioni non meglio specificate, "anomalo". Lamenta poi di essere stato l'ideatore del passaggio di Maresca dalla Juventus al Siviglia, ma poi di essere stato escluso come mediatore, in favore di un agente GEA. Scelta a cui avrebbe naturalmente concorso anche il Siviglia. Scelta che, ad ogni modo, il collegio difensivo nega essere avvenuta.
Infine piccolo scoop di mercato: proprio nella famigerata estate del 2006, racconta di avere trattato con la Juventus l'ingaggio di Antonioli come secondo portiere (era il favorito di Buffon), in veste di suo procuratore. Quale rilevanza per il processo? Pare che, "seppur marginalmente", si trovò a trattare con Mariano Fabiani, che alla Juventus non aveva nessuna carica.
Dettaglio del tutto marginale, per usarne il vocabolario, mentre è tutto sommato divertente constatare come certi personaggi abbiano fatto affari con la Juventus di Moggi sino ad un minuto prima dell'Apocalisse, per poi rivelarsi feroci testimoni di accusa 5 minuti dopo.
La difesa, rappresentata da Prioreschi e Trofino, snocciola con facilità una serie di atti giudiziari definitivi, che ridimensionano le seppur deboli accuse del Canovi: archiviazione da parte dell'Autorità Antitrust che nega l'abuso di posizione dominante, archiviazioni varie dell'Ufficio Indagini della Federcalcio (che ha comunque indagato), sentenza del Processo di Roma che attesta nessuna irregolarità nel caso Chiellini e scagiona la GEA dalle accuse dei magistrati e dei giornali.
L'obiezione, mossa dal Canovi, per cui la giustizia sportiva fosse nella totale disponibilità e controllo dei personaggi oggetto dei suoi esposti, è facilmente smontata quando gli si prospettano casi simili a quelli di Moggi: Pastorello, Fedele, Corvino. Asserisce, infatti, di avere inviato un esposto anche contro Pastorello, anch'esso però finito nel nulla.
Aniello Aliberti, invece, depone in merito a un episodio, rilevante solo per l'imputato Fabiani. Un Salernitana-Messina, finito 3-0 per i peloritani, arbitrato dall'arbitro Gabriele, imputato nel processo con rito abbreviato. Il Fabiani si sarebbe avvicinato al presidente campano, un'ora prima della partita, per offrirgli 300 milioni di lire (o l'equivalente in euro, la partita è del 2003), al fine di ottenere una vittoria, con il consenso dell'avversario. Aliberti avrebbe rifiutato, fiutando puzza di bruciato. La proposta, improvvida e inopinata, infatti avrebbe nascosto, nella sua opinione, un accordo diretto con l'arbitro. Aliberti infatti non avrebbe avuto tempo per istruire i giocatori e la proposta di Fabiani sarebbe stata formulata al solo fine di preparare il terreno ad un arbitraggio di parte, quale si rivelò, nell'opinione del teste, quello del Gabriele.
Insomma, Mariano Fabiani è un fine psicologo del malaffare: il Kasparov della frode sportiva.
L'avvocato Morescanti, difensore dell'ex dirigente del Messina, produce però due sentenze di archiviazione, dei Tribunali di Messina e Salerno, in merito alla vicenda. Aliberti nega di aver mai sporto denuncia (un'aggravante, a mio avviso) e di avere soltanto rilasciato queste dichiarazioni al quotidiano La Repubblica. In ogni maniera, la macchina giudiziaria si è messa in moto e ha scagionato il Fabiani.
Interrogato dalle difese, offre invece spunti interessanti riguardo alla prassi dei colloqui telefonici e delle visite con i designatori.
Ammette di avere chiamato più volte Bergamo per lamentarsi dei torti arbitrali, a suo dire subiti, e anche un pranzo con entrambi i designatori, alla presenza anche del funzionario federale Ghirelli, in merito agli stessi temi. Comportamenti che riferisce essere non censurati, ma considerati normali e incoraggiati dai vertici federali.
Le difese lo interrogano in particolare sulle sue lamentele verso l'arbitro Nucini, teste in questo processo.
Aliberti mostra di non ricordare particolarmente bene le sue deposizioni a riguardo. Gli avvocati chiedono e ottengono che la sua deposizione all'Ufficio Indagini della Federcalcio, in data 28 giugno 2006, venga allegata agli atti. In essa, le dichiarazioni dell'Aliberti sugli arbitraggi del fischietto bergamasco, quelle dichiarazioni che ora mostra di non rammentare.
Paparesta smentisce i condizionamenti di Moggi e scagiona Bertini
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- By Mario Incandenza
L'altro ieri, in un'aula di tribunale di Napoli, grazie alla deposizione dell’ex arbitro, vittima di Farsopoli, Gianluca Paparesta, per l’ennesima volta sono state fatte a pezzettini le balle del 2006, quando i maggiori media mistificarono alcune conversazioni telefoniche riguardanti la famosa Reggina – Juve 2004-05 per far credere che Moggi condizionasse gli arbitri avvalendosi di fantomatici metodi di intimidazione. Fu davvero un caso di sfacciato capovolgimento della realtà, basti ricordare che stiamo parlando di una partita persa dalla Juve grazie a clamorose sviste arbitrali (un rigore negato e due gol annullati ai bianconeri) e che chi sbagliò quelle valutazioni, danneggiando il cammino in campionato della Juve, oltre, ovviamente, a non subire alcuna ritorsione “fisica” come i pinocchi delle gazzette dell’estate 2006 hanno avuto la spudoratezza di raccontare senza mai fare realmente ammenda una volta smascherati, non subì alcuna conseguenza per la propria carriera, dato che in quella stagione è poi stato uno degli arbitri più e meglio impiegati dell’intera CAN, dirigendo 40 partite, tra serie A, B e coppe europee. Semmai, come ha raccontato ieri ai giudici, la sua carriera è stata stroncata dalla calunniosa campagna giornalistica di Farsopoli, altro che Moggi; infatti, una volta archiviata la sua posizione a Napoli, è stato dismesso proprio sull’onda del clamore del fasullo scandalo.
D’altronde, se uno ascolta l’udienza di ieri per quel che è realmente stata (sempre sia lodata Radio Radicale) e poi si mette a leggere i resoconti delle maggiori testate, non può che avvertire la presenza di qualcosa di patologico nell’ostinazione con cui i fatti che ne scaturiscono vengono deformati. Viene da chiedersi, tanto per dirne una, se è solo per motivi di tempo che mai nessuno riporta quel che produce il controesame dei difensori, limitandosi tutti al riassunto della tesi dei pm. Che resoconto è mai questo? Lo sanno, questi esperti di giudiziaria, che, a differenza della Figc nel 2006, il CSM, almeno per ora, non è commissariato da un tifoso dell’Inter?
La deposizione di Paparesta, guidata nella sua prima parte dalle domande del pm Narducci, inizia con la rievocazione delle sue traversie seguite a Farsopoli: dopo lo scoppio dello scandalo, non è più stato riammesso ad arbitrare. Inizialmente, essendo indagato, le ragioni di opportunità ci stava pure, ma dopo l’archiviazione dell’inizio 2008, è stato dismesso comunque.
LA BUFALA DEL SEQUESTRO
Reggina-Juve del 6 novembre 2004: anche qui, Gianluca conferma quanto già raccontato dal padre. Rievoca le proteste nel post-partita di Moggi e Giraudo, veementi ma prive di insulti, e nega di esser mai stato chiuso nello spogliatoio, d’altronde c’erano altre persone con lui. Nel controesame di Trofino (avvocato di Moggi), ammette che la vistosità della reazione dei dirigenti juventini era proporzionata alla vistosità dei suoi errori, nel senso che nel mondo del calcio è una cosa che, per quanto eticamente sanzionabile, capita eccome, e spesso per motivi meno evidenti.
Sul mancato referto relativo alle proteste juventine, nonostante i tentativi del pm di fargli attribuire la sua decisione alle intimidazioni Juve, nel controesame dell’avvocato Trofino, ammette che se, al posto della Juve, ci fosse stata l’Inter o il Milan, le sue valutazioni sarebbero state le stesse. Sulla sospensione che ebbe dalla CAN per quegli errori, inoltre, ritiene che si sia trattato di normale prassi e non di pressioni bianconere. D’altronde, come fa rilevare l’avvocato di Bergamo, nel 2004-05 Paparesta arbitrò un numero ragguardevole di partite, 40 tra campionati, coppe, tornei, un numero che fa di lui un arbitro di punta, uno che viene valorizzato, non certo penalizzato. Inoltre, dopo quel Reggina – Juve, lo stop che subì fu assolutamente minimo: il 14 novembre, e cioè la settimana dopo, già arbitrava Torino-Venezia. Il 25 novembre, addirittura, una partita internazionale come Benfica – Dinamo Zagabria. Il 28 novembre Messina-Fiorentina di serie A.
IL CELLULARE DI PAPA’
Il teste ha poi ripercorso la storia dei rapporti del padre con Moggi e Fabiani, ribadendo punto per punto quanto già raccontato in prima persona da Romeo, per cui vi rimandiamo al corrispondente resoconto.
Sulla telefonata post Reggina – Juve a Moggi, Paparesta conferma l’uso del cellulare del padre, che l’aveva invitato a farsi sentire con Moggi per reagire agli attacchi dei media e alle accuse di malafede da parte dei dirigenti juventini. Dal controesame degli avvocati di Fabiani e Bergamo, finalmente capiamo che Gianluca Paparesta manco sapeva che quel cellulare provenisse da Moggi, né che contenesse una sim svizzera. La provenienza del cellulare Gianluca la scoprì solo dopo lo scoppio di Farsopoli. Oltre alla telefonata in cui Moggi gli riattacca il telefono, Gianluca, su invito del padre che gli prestò l'apparecchio, usò quell’utenza anche il giorno dopo, a Bagno di Romagna, previo contatto pomeridiano con Fabiani. Il ruolo di Fabiani in quel caso, come evidenziato nel controesame dell’avvocato dell’ex ds messinese, fu solo quello di interessarsi affinché si spegnessero le polemiche scoppiate in quei giorni. La sera, poi, Gianluca ebbe con Moggi un colloquio più pacato, anche se ciascuno restò fermo alle rispettive posizioni.
Altri contatti ipotizzati dall’accusa sono stati smentiti: il 17 gennaio 2005, da Quarto d’Altino, dove l’arbitro si trovava in compagnia del padre, partì una telefonata a Fabiani, ma si trattava di un appuntamento telefonico di papà Romeo, e Gianluca ricorda che il padre aveva il telefono scarico e provò ripetutamente a chiamare dall’albergo.
Per quanto concerne la telefonata tra Moggi e Bergamo del febbraio 2005, quella famosa in cui parlano della griglia del sorteggio arbitrale per l’imminente giornata di campionato, con Moggi che afferma di sapere che Gianluca tornerà il venerdì da una trasferta in Turchia per un torneo giovanile, il teste nega di aver sentito Moggi, ipotizza che l’informazione gli fosse stata data dal padre (che gliel’ha poi confermato), e per altro fa notare che tale informazione era sbagliata, perché in realtà tornò in Italia solo il sabato (come sosteneva il suo commissario Bergamo).
Per il resto, oltre ai contatti post-Reggio, non ne ebbe mai altri con Moggi e Fabiani, né su quella svizzera né tramite altre utenze. Paparesta conosceva Fabiani di vista, come un dirigente qualsiasi, che incrociava solo quando arbitrava le partite della sua squadra. E Fabiani mai tentò di contattare Paparesta, nemmeno per il tramite di suo padre.
I RAPPORTI CON BERTINI
C’era poi un’altra ipotesi accusatoria sulla quale si fonda l’attribuzione di una Sim svizzera a un altro arbitro, Paolo Bertini. Ebbene, mai Paparesta ebbe contatti con Bertini su Sim svizzere.
Attenzione: Paparesta ha raccontato che Bertini era, tra gli arbitri, quello a lui più vicino, amico e confidente. I due si sentivano spesso, si facevano coraggio nei momenti difficili delle rispettive carriere. Ebbene, su esplicita domanda del difensore dell’arbitro toscano, Paparesta ha detto che Bertini non gli ha mai parlato di telefonini svizzeri, né ricorda di averlo mai chiamato su utenze straniere.
Questo dato non è certo da poco, perché va a smontare un assunto adottato dalla giustizia sportiva in occasione della cosiddetta "Calciopoli" 2, allorché Bertini venne sanzionato (in primo grado; in seguito fu assolto per il "ne bis in idem") proprio per queste accuse della giustizia ordinaria.
JUVE – LAZIO DI COPPA ITALIA
Prima di Reggina – Juve, si era ipotizzato che la longa manus della fantomatica cupola moggiana avesse iniziato a prendere di mira l’arbitro barese dopo la finale di coppa Italia 2004, nel maggio di quell’anno. Si era detto che Paparesta era stato sottoposto a sospensione della CAN in seguito al malcontento della Juve, che aveva perso la coppa.
In realtà, dal controesame di Trofino, scopriamo che Paparesta aveva subito una sospensione a causa della violazione del precetto disciplinare che impedisce agli arbitri di rilasciare dichiarazioni ai giornalisti dopo il match. Paparesta era stato intervistato dalla Rai, e quindi i designatori l’avevano sanzionato. Inoltre, l’avvocato di Bergamo ha ricordato all’arbitro la dichiarazione, in quel post-partita, del laziale Giannichedda: “Devo ringraziare l’arbitro, è stato buono a non darmi il secondo giallo”. Quindi, ci furono anche degli errori pro-Lazio che spiegano la diffidenza di Moggi nei suoi confronti.
Al di là di tutto, resta il fatto che, come ricorda l’avvocato, la sanzione non fu particolarmente pesante: Bergamo autorizzò Paparesta ad andare ad arbitrare un torneo a Ostuni pochi giorni dopo il match incriminato, e che comunque in giugno arbitrò una partita di B e il 27 luglio venne pure mandato a dirigere un match di intertoto.
I RAPPORTI CON I DESIGNATORI
A Paparesta sono state fatte alcune domande sui rapporti fra gli arbitri e i designatori nel periodo incriminato. L’arbitro barese si descrive come una persona introversa, che non rientrava nel novero degli arbitri con un rapporto di particolare confidenzialità con i designatori. Richiesto di fare dei nomi, descrive Trefoloni come il più vicino a Bergamo e Pairetto, e in secondo luogo De Santis e altri.
Curioso poi che il pm abbia chiesto a Paparesta di rievocare come i designatori valutarono, insieme agli arbitri, due partite molto contestate di quell’anno, e cioè, Lazio-Brescia e Lazio-Fiorentina, dirette rispettivamente da Tombolini e Rosetti. Gianluca si ricorda che a Coverciano ci si soffermò molto su un mancato rigore alla Lazio nella prima, e su un mancato rigore alla Fiorentina nella seconda. Curioso, si diceva, più che altro per il fatto che la stessa domanda non gli è stata posta per Reggina-Juve. Evidentemente, i designatori non sottoposero Paparesta a grandi pressioni, per quegli errori ai danni della Juve.
Richiesto dall’avvocato di Pairetto, Paparesta poi nega di aver mai ricevuto da Pairetto richieste di privilegiare qualche squadra in particolare.
E infine, quando l’avvocato di Bergamo gli chiede un parere sul sistema arbitrale ora in vigore per paragonarlo a quello sotto processo, l'ex fischietto barese non rileva particolari differenze.
A proposito, a questo resoconto manca un dettaglio fondamentale: Gianluca Paparesta è stato chiamato a deporre in quanto testimone dell'accusa, risultando, come si è visto, molto più utile alla difesa. E ciò fa tanta più impressione, se consideriamo che sempre l'altro ieri il grande accusatore di Moggi, Franco Baldini, non si è nemmeno presentato.