CantaNapoli - Il processo
Sensazionale! Dal Cin: erano solo sensazioni
- Dettagli
- By inunmondoche
Francesco Dal Cin è semplicemente l'uomo che ha fatto partire Calciopoli. Specularmente a quanto avvenne più tardi con Armando Carbone, le sue dichiarazioni, rese davanti agli inquirenti il 5 giugno 2004, consentirono agli stessi di ottenere l'autorizzazione a intercettare Luciano Moggi e altri protagonisti di Calciopoli.
Calciopoli parte da lì: da un Messina-Venezia, finito sotto l'occhio degli investigatori per una questione di calcioscommesse, per cui Dal Cin è chiamato dai Carabinieri a offrire informazioni. Lui racconta le sue "sensazioni", così le definisce a mezzo stampa in quegli stessi giorni, e l'inchiesta vira di 360 gradi. Parte la caccia grossa a Moggi.
Lo ritroviamo oggi come teste al Processo di Napoli: una testimonianza che offre qualche passo indietro e molte conferme rispetto al verbale del 5 giugno. Sì, conferme: ribadisce, a più riprese, quasi un refrain, che si trattava di dicerie, sensazioni, convinzioni maturate non si sa bene come. Opinioni, insomma. Senza riscontro, ammette con tranquillità.
Si qualifica come libero professionista, con 40 anni di carriera nel calcio alle spalle. Direttore sportivo dell'Udinese ai tempi di "O Zico o Austria", direttore generale dell'Inter di Fraizzoli, poi nella Reggiana sponsorizzata Giglio, ossia Tanzi, e infine nel Venezia, affidatogli da Zamparini. 5 anni di inibizione per illecito sportivo e 4 mesi di pena in tribunale per frode sportiva contestatagli per un famoso Genoa-Venezia. Un uomo che ne ha viste tante. Ma non quelle attribuitegli dal Carbone, nella precedente udienza, tiene a precisare. Insomma, uno dei due testi è inattendibile, fate voi. E comunque sia ha convinto un GIP.
La deposizione verte, per indirizzo del Pm Beatrice, proprio sulla partita Messina-Venezia, il turning point dell'inchiesta. Dal Cin conferma di avere ricevuto, prima della partita, le telefonate dei colleghi Cellino, Zamparini, Spinelli e Ruggeri, volte ad avvertirlo che il Venezia avrebbe sicuramente perso, per volontà dell'arbitro Palanca, designato per la partita.
Confermerà anche, come del resto palese, che i colleghi avevano certo un qualche interesse nella partita: tutti e 4 lottavano infatti per conquistare la serie A in concorrenza con il Messina.
Ma quali erano i riscontri, in base a cosa si congetturava sulla direzione di Palanca e si cantava il requiem per il Venezia?
"Era nell'aria..." "C'era un'organizzazione che funzionava a favore di qualcuno..." "I giocatori sono prevenuti..."
E' difficile da illustrare e da affermare, spiega. E' una sensazione che è indimostrabile, aggiunge. "Io di concreto non avevo niente...neanche i miei colleghi...erano delle convinzioni!".
Sulle origini di queste convinzioni, però, è il mistero. Quanto alla sostanza "il convincimento è insufficiente" si rende conto, "era sul si dice", niente di più.
Veniamo alle sue dichiarazioni più ficcanti, tra quelle rese a verbale. Molti passi indietro.
La combriccola romana, ad esempio. Mostra di non ricordarsi che ci fosse un'organizzazione soprannominata in questo modo, esclude che il radicamento territoriale a Roma fosse il fondamento di una qualsiasi attività di arbitri corrotti, addirittura non ricorda nemmeno il nome di De Santis.
Il rapporto tra Fabiani e Moggi. Gli si fa notare che aveva deposto, indicando il Fabiani come "uomo consigliato al presidente del Messina dallo stesso Moggi." Riconosce di avere sbagliato nell'affermare questo e che tutto quello che sa è che tra Moggi e Fabiani c'era un'amicizia professionale, che aveva fatto nascere il dubbio di un'organizzazione volta a favorire il Messina, come società amica della Juventus.
Riscontri? No, nessuno.
Prioreschi, difensore di Moggi, chiede con veemenza di separare i fatti dalle opinioni. Il giudice Casoria comprende e rileva che tali dichiarazioni "valgono quello che valgono a livello di codice". Dal Cin ribadisce: "Non ho notizie, ho trasmesso sensazioni."
La GEA che, a verbale, sembrava la diretta beneficiaria dell'opera degli arbitri della "combriccola romana"? Una società di procuratori. Oggi non direbbe più la stessa cosa, ammette Dal Cin, ribadendo che si trattava di una sensazione, ma che poi l'accertamento dei fatti successivo lo ha escluso. Insomma sono sensazioni, e spesso fallaci.
Beatrice ritorna su Messina-Venezia. La convinzione che Bergamo e Pairetto, con i quali il Dal Cin aveva, per sua voce, ottimi rapporti, fossero legati a Moggi gli deriva dalla loro difesa dell'operato di Palanca, nella gara. Un'altra sensazione.
Nessuno rileva in aula che esistono anche i fatti. E uno è incontrovertibile.
Palanca non è accusato di nulla, è stato prosciolto da ogni addebito nella fase inquirente, non è mai stato rinviato a giudizio e mai condannato, nemmeno dalla giustizia sportiva. Insomma, l'arbitro di quella partita, ispiratrice di tante sensazioni, è un uomo onesto, che mai ha taroccato una partita, secondo gli stessi inquirenti.
Pertanto, il banco di prova di quelle sensazioni è sotto gli occhi di tutti. Messina-Venezia non è una partita sotto inchiesta. Palanca non è un arbitro corrotto. Quelle sensazioni, per la giustizia italiana, sono sbagliate.
L'avvocato Prioreschi non perde molto tempo per il controesame, il teste ha già qualificato le sue dichiarazioni da solo, relegandole al rango di convinzioni senza riscontro. Magari, che ne sai, la voce si sparge perchè in tanti leggono "Il Romanista"...e si convincono!
Insomma è facile passare dalle sensazioni ai sensazionalismi.
Che è proprio quello che non ci si attende da un giudice. Il GIP ha acconsentito alla spesa di migliaia di euro in intercettazioni, assecondando il sesto senso di Dal Cin. Probabilmente, come già detto l'altra volta, qualcuno deve una spiegazione.
Il mio nome è Bond, Danilo Bond
- Dettagli
- By Mario Incandenza
Qualche mese fa ti chiedevo un po' scherzando un po' sul serio come mai non riuscivamo ad avere un arbitro amico,
tanto da sentirci almeno una volta protetti, e tu, con uno sguardo fra il dolce e il severo, mi rispondesti che questa cosa
non potevo chiedertela, non ne eri capace.
Fantastico.
Non ne era capace la tua grande dignità, non ne era capace la tua naturale onestà,
la sportività intatta dal primo giorno che entrasti nell'Inter
Danilo Nucini, ex fischietto bergamasco attivo in serie A e B dalla seconda metà degli anni ’90 alla stagione 2004-05, si è presentato in aula, l’altro ieri (26 maggio), per raccontare l'ostracismo a lui riservato dall'intero mondo arbitrale, tanto da privarlo dalla possibilità di fare carriera ad alti livelli. Si è ripetutamente definito uno spirito libero, un uomo senza padroni, ma la storia che ha raccontato ha molte falle, e nel raccontarla è incorso in numerose imprecisioni e contraddizioni, reagendo con spocchia e nervosismo a chi glielo faceva notare.
Molta specie ha fatto il racconto della sua assidua frequentazione, mentre era un arbitro in attività, con un massimo dirigente dell’Inter, il compianto Giacinto Facchetti, che ha descritto come un punto di riferimento costante a cui si rivolgeva per trarre conforto dai suoi problemi di carriera.
Senza contare le numerose inesattezze e bizzarrie che costellano la storia degli incontri con Fabiani e Moggi e la faccenda della SIM italiana con relativa omessa denuncia. Ma andiamo per ordine.
L'OSTRACISMO DEL MONDO ARBITRALE
Nucini accusa la Commissione Arbitrale Nazionale di aver sempre gestito con logiche clientelari le carriere, senza criteri meritocratici, ripetutamente dichiarandosi vittima del sistema.
Significativa però l’ammissione di aver avuto problemi con tutti i commissari che si sono succeduti alla guida della CAN, nessuno escluso, da Casarin, a Baldas/Mattei, a Pairetto e Bergamo. Nucini racconta candidamente di aver litigato con tutti. Inoltre, ammette di non aver mai legato nemmeno con i colleghi, di essersi sempre tenuto isolato dagli altri. A suo dire, il problema non era lui, ma resta il fatto che chiunque si trovasse attorno non gli andava bene. Insomma, il classico piantagrane. Tranne il primo anno, con la CAN commissariata, momento di emergenza che portò alla cooptazione di molti arbitri dalle serie inferiori, permettendogli di accedere al livello più alto, arbitrare in serie A e B, traguardo che in caso contrario difficilmente avrebbe potuto raggiungere.
Per cercare di dare sostanza alle sue accuse contro il mondo arbitrale, cita la vecchia storia del giornalista Di Tommaso di Tuttosport, che nella famigerata stagione 1997-98, secondo un’inchiesta dalla concorrente (!) Gazzetta, venne accusato di aver tenuto rapporti inopportuni con alcuni arbitri, i quali però, una volta sottoposti a procedimento disciplinare, vennero scagionati. Non sarà questa l’unica volta in cui Nucini userà argomentazioni legate non tanto a fatti, ma a campagne di stampa e a opinioni vicine alle ragioni dell’Inter (l'affare Di Tommaso scoppiò in corrispondenza delle polemiche sul famigerato rigore di Ronaldo e conseguenti piagnistei).
JUVENTUS BOLOGNA 1-0 del 14/01/01
Nucini racconta di essere stato ostracizzato dai designatori Bergamo e Pairetto dopo aver concesso un rigore contro la Juve, nel match interno contro il Bologna del 14 gennaio 2001. Attribuisce a quell'episodio una sospensione di 40 giorni che subì. Poi però ammette di aver anche risposto male a Pairetto il quale, al successivo raduno settimanale a Coverciano, gli aveva fatto notare l’errore. Ma il rigore c’era? Prima parla di un'intervista nella quale, secondo un racconto telefonico della moglie immediatamente successivo alla partita, Iuliano, l'autore del fallo, gli avrebbe dato ragione; poi è costretto ad ammettere di aver subito unanimi critiche da tutti gli organi di stampa, e non solo per il rigore; un arbitraggio disastroso, a parere di tutti.
Invito il lettore a leggere L'articolo del Corriere su quella partita, eloquente fin dal sottotitolo: “L'arbitro Nucini il peggiore in campo”. Ma leggetelo tutto, ne vale la pena. I cronisti Padovan e Franchetti dedicano due terzi dello spazio che hanno a disposizione al commento degli errori dell’arbitro, cosa più unica che rara, tale da oscurare la prestazione dei giocatori. Per altro, la sua direzione viene definita sfacciatamente pro-Juve fino a pochi minuti dalla fine (ha la nomea di arbitro casalingo), allorché l'arbitro assegna un rigore molto dubbio al Bologna, sotto per 1-0 (rigore poi sbagliato da Cruz).
Siamo sicuri che i designatori lo criticarono solo per quel rigore? Addirittura, il teste racconta di aver fatto resistenza all’invito di Bergamo a chiedere scusa a Pairetto per la reazione a Coverciano. Dunque, Nucini arbitrava male e rispondeva male ai rilievi dei designatori. Di più: lamenta la mancata solidarietà dei colleghi, a suo avviso troppo competitivi con le nuove leve.
Gli si chiede se dopo la partita i dirigenti bianconeri andarono a protestare, ma la risposta è no. Per dare una parvenza di sostanza alle sue “sensazioni”, si attacca a un gadget post-partita, di quelli che i club ospitanti danno sempre agli arbitri e che, nel caso della Juve, era costituito da uno zainetto contenente una maglia e la videocassetta del match: in quel caso, Nucini vi trovò una casacca bianconera con un quadrato nero invece del nome del giocatore. In pratica, descrive l'episodio come si trattasse una ritorsione da thriller, manca solo il sangue.
Dunque, da quella gara, da quel rigore contro la Juve, a suo dire l’avrebbero ostracizzato. Peggio: dall’anno successivo gli avrebbero fatto arbitrare solo partite di serie B. Vero? No, falso. Basta controllare: Lecce - Parma, 18° giornata, 14 gennaio 2002, e Verona - Fiorentina, 25° giornata, 3 marzo 2002 (e altre 3 nel 2002-03). In realtà arbitrò partite di serie A fino all’ultimo anno di carriera, il 2004-05, quando ad esempio diresse un contestatissimo Fiorentina – Messina.
Insomma, su questo il teste mente.
Non solo, sempre nel 2000-01, dopo quel Juve-Bologna diresse altre 4 gare di serie A, di cui una della Juve stessa (Juve-Reggina, vittoria della Juve) e, quando gli avvocati difensori glielo fanno notare, si rifugia nell'evocazione di una fantomatica strategia dei designatori per dismetterlo senza destare sospetti. Delirante.
Ma quale fu la prima partita di A che diresse dopo quel Juve-Bologna?
INTER – UDINESE 2-1 del 25/02/01
Questo è il vero momento chiave, molto più del rigore dato contro la Juve. Infatti, in seguito a una mancata ammonizione all’interista Di Biagio, Nucini viene redarguito negli spogliatoi dal commissario arbitrale, e poi telefonicamente da Bergamo. Come negli altri casi, l’arbitro non accetta la critica, ribatte a muso duro al commissario, e Facchetti, che assiste alla scena, il giorno dopo lo chiama.
Un dirigente interista che telefona a un arbitro, per altro dopo un errore arbitrale in suo favore. Gli avvocati vanno a nozze: “E’ normale questo? Era consentito dal regolamento?” No, ammette, ma Bergamo è una città piccola e la conoscenza con Facchetti risaliva già al '98, no, al '99, no, al '97. Ci si incontrava, si beveva un caffè (come Baldini e Auricchio a Roma?). Gli chiedono perché non ha segnalato all’Ufficio Indagini la telefonata del dirigente interista, tanto più che in precedenza il teste aveva detto di aver segnalato ai designatori la presenza di Moggi negli spogliatoio dopo un Napoli-Ancona arbitrato da lui (che lo aveva semplicemente, e cortesemente, salutato, ammette), senza che la sua “denuncia” avesse seguito; “eh, ma per la telefonata dipende dal contenuto”; “eh, ma Moggi a Napoli non doveva starci”. Gli si fa notare che all’inizio si era lamentato del comportamento di arbitri accusati (poi assolti) di aver frequentato un giornalista, che dunque predica bene e razzola male. E’ costretto a convenire.
Poi il dossier. L'ex arbitro parla di un dossier, compilato da lui, sugli errori arbitrali pro-Juve (diretti e indiretti), relativo alla stagione del 5 maggio, il 2001-2002, e su come i designatori, a suo avviso, li valutassero in ottica filo-juve. L'idea sarebbe nata dall’indignazione per un rigore concesso da Bolognino in un Juve-Chievo del 15 settembre 2001. Il documento viene acquisito agli atti. Nel dossier c'è un Parma-Juve, in cui a dire del teste ci fu un rigore non concesso ai padroni di casa da Racalbuto; interviene il legale di Racalbuto che gli fa notare che in realtà quella partita fu vinta dal Parma e che anche la Juve reclamò per la mancata espulsione di Almeyda. Risposta. "Io scrivevo quello che interessava a me". L'avvocato va oltre: "Sa qual è la sospensione più lunga comminata a un arbitro? 8 mesi, che vennero inflitti a Racalbuto per un rigore dubbio concesso alla Juve contro la Roma". Nucini abbozza.
Gli si chiede se con Facchetti si cominciarono a vedere dopo quell’episodio, ma lui ammette che si frequentavano già prima, al bar, anche nell’ufficio di Facchetti a Bergamo, dove faceva l’assicuratore. Parlavano di “impressioni verbali, sensazioni, episodi e poi l'elenco delle partite”. Con che frequenza si vedevano? Frequentemente, anche settimanalmente.
Poi la questione Fabiani, e il racconto di Nucini si trasforma in una spy-story.
IL MIO NOME E' BOND, DANILO BOND
Fu Facchetti, secondo il racconto dell’ex arbitro, ad avere l’idea. Nucini, dopo il "tragico" 5 maggio, aveva presentato al suo amico il dossier sulla Juve, a suo dire convincendolo a fatica (in effetti mai gli interisti avevano recriminato prima di allora…) del presunto marcio nel calcio (durante il controesame dei difensori, il teste ammette ripetutamente che si trattava solo di sue “sensazioni” non suffragate da prove). Facchetti gli avrebbe consigliato di diventare “amico” degli arbitri, in particolare di De Santis (dossierato Telecom). E a una cena di Natale (2002?), sempre Facchetti gli avrebbe poi detto: “Informati su chi è Fabiani” (singolare: anche lui dossierato Telecom).
Durante una cena, Nucini avrebbe così chiesto ai colleghi chi fosse questo Fabiani, recependo del nervosismo (?) da parte di Racalbuto. E il giorno dopo, De Santis, col pretesto di uno strappo sull'auto di Nucini al campo di allenamento di Linate, gli avrebbe chiesto perché fosse interessato al soggetto, confidandogli di conoscerlo per essergli stato collega presso un carcere minorile, prima di nuovamente rimproverarlo per il rigore dato contro la Juve ormai più di un anno prima (remember l’articolo del Corriere "Nucini il peggiore in campo"!).
In seguito, dopo un Cosenza - Triestina (di cui Fabiani era DS) arbitrata il 16 marzo 2003 dallo stesso Nucini, in aeroporto sarebbe avvenuto il primo incontro, durante il quale il DS gli avrebbe dato i suoi numeri di telefono. L’avvocato di Fabiani, nel controesame, ha contestato la presenza del suo assistito quel giorno in aeroporto, producendo i documenti di viaggio predisposti dalla Triestina per quella trasferta, che non prevedevano il volo di ritorno per lui. Inoltre, davanti al pm Nucini racconta di un Fabiani che promette di fargli avere un buon voto dal commissario arbitrale, ma al controesame dell’avvocato innesta la retromarcia, in realtà si sarebbe trattato solo un breve e amichevole saluto.
Dopo quell'episodio, Nucini sarebbe stato chiamato da Fabiani che lo avrebbe invitato al bar dell’hotel Cristallo a Bergamo, dove l’avrebbe rassicurato che ci avrebbe pensato lui a fargli tornare ad arbitrare la serie A. Tramite "il suo uomo". Peccato che, come già detto, nel 2002-03 Nucini la serie A l'aveva già fatta: Piacenza – Empoli del 26 ottobre 2002, Piacenza – Como del 2 marzo 2003 (quindi solo 14 giorni prima della partita di Cosenza) e Como – Perugia del 12 aprile.
L’"uomo di Fabiani", ovviamente, sarebbe Moggi, che in quell’occasione sarebbe stato contattato al cellulare, per farlo parlare direttamente con Nucini. Davanti al pm, il teste rievoca un ambiguo invito di Moggi: “Fai quello che dice lui” (ma poi al controesame, al solito, parzialmente ritratta, parlando di uno semplice scambio di frasi di cortesia), e di uno show di Fabiani che, una volta chiusa la chiamata con Moggi, si sarebbe vantato di poter designare gli arbitri. Così il pm gli chiede cosa accadde dopo quell’incontro, e il teste risponde che in effetti andò finalmente a fare una partita di A. Peccato che in aula citi proprio quel Piacenza – Como, una gara che si era svolta due settimane prima di Cosenza – Triestina, e cioè ben prima del primo incontro al bar. Si arriva alla stagione 2003-2004. Nucini si aspetta di partire dalla A, ma lo mandano in B per Palermo – Cagliari. La sua direzione viene contestata dall’osservatore Ingargiola, ma Fabiani, a suo dire, l’avrebbe chiamato per rassicurarlo: “Non preoccuparti, non fare casini, ci penso io”. Il teste esegue, a Coverciano non fa casini, ma viene punito comunque: quindi Fabiani è un cazzaro? E poi perché non l'aveva fatto designare per la A?
A quel punto, finalmente, Fabiani si sarebbe deciso a presentargli il “suo uomo”. Appuntamento a Greggio, sulla MI-TO, dove avrebbe caricato in macchina il teste, recandosi in un paesino per fare un bancomat e comprare una ricarica telefonica da un tabaccaio (strampalato e confuso il racconto). Poi di nuovo alle rispettive macchine: a questo punto Fabiani l’avrebbe guidato a Torino, all’hotel Concord, dove in una stanza li avrebbe raggiunti Moggi in persona, che dopo i convenevoli avrebbe fatto un paio di chiamate dimostrative a entrambi i designatori, trattandoli male, perorando la causa di Nucini e invitandoli a valorizzarlo (e guarda caso, almanacchi alla mano, l'unico campionato in cui Nucini non arbitrò manco una partita di A fu proprio quello: alla faccia della cupola moggiana!); inoltre, avrebbe ingiunto a Pairetto di non designare Dondarini per la Juve. E dove andò il Donda a fare danni quella domenica, secondo il teste? Ovvio, a Udine, a punire l’Inter, la grande vittima dei soprusi moggiani (e guarda caso, cronache alla mano, nell'intervallo di quella partità - a proposito: nell'intervallo?! - l'amico interista di Nucini si rese protagonista di una visita di protesta nel camerino degli arbitri che, per quanto "ufficiale", sul Corriere venne definita "inopportuna").
Quando Moggi si dilegua, Fabiani avrebbe consegnato a Nucini una SIM italiana.
Dunque, non straniera? No, italiana. Bah.
Esilarante, infine, la ricostruzione delle istruzioni che gli avrebbe impartito Fabiani: "Mi spiegava che le cellule si dividono... le cellule di qui... le cellule di là...". Forse voleva dire "celle", comunque è un capolavoro di nonsense.
LA SIM MAI USATA, ANZI SI’; MAI DENUNCIATA, ANZI SI’; ANZI, NO; NON VOGLIO DIRLO
Dunque, la Sim di Fabiani. Italiana. Qua tutto si fa ancora più confuso e grottesco.
Nucini racconta di aver subito chiamato Facchetti in autostrada, di ritorno dall'incontro all'Hotel Concord, per raccontargli della Sim. Tempo dopo, a casa di Facchetti, gli avrebbe poi fatto un resoconto più dettagliato. “Ecco, è questo il problema”, avrebbero concluso i due. Dovremmo essere ormai verso la fine del 2003, ed è interessante verificare quando, secondo alcuni articoli di stampa del 2006, iniziarono le attività di Tavaroli per l'Inter, perché ci sono curiose incongruenze (del tipo che il famoso "dossier Ladroni" sarebbe in realtà già di un anno prima).
Ma la Sim? Nucini la usò? No. Anzi, sì. Forse un paio di volte. Il teste continua a contraddirsi. D’altronde, come gli fanno poi notare gli avvocati, agli inquirenti aveva raccontato di essersi segnato il numero (comunicato solo a Facchetti) e di averla buttata subito. No, ora ricorda meglio, non subito, prima ci sarebbero state un paio di chiamate di Fabiani.
Ma Facchetti e Nucini non decisero di sporgere denuncia? A quel punto avrebbero in mano una bella bomba: la sim. Qualcuno vicino all’Inter consiglia di mandarlo dalla Boccassini, alla procura di Milano. Lui ci va, ma la sim l’aveva già buttata. Perché? Non poteva tenerla e dare la possibilità al magistrato di intercettare quel numero? Ma allora che disse al pm milanese? Mistero. Nucini non vuole parlarne. “Parlammo di calcio”. Insomma, un "qui studio a voi stadio" con uno spruzzo di "un giorno in pretura".
E l’ufficio indagini della Figc? Era lì apposta. Macché, lui, Nucini, l'uomo senza briglie, non si fidava di nessuno.
Di nessuno. Anzi, di uno si: “L'ho detto a Giacinto Facchetti, perché era l'unico che poteva smontare tutto! Se io mi fossi rivolto all'ufficio indagini, a chiunque, nessuno mi avrebbe ascoltato, ma mi avrebbero buttato fuori!”.
Gli chiedono se è vero, come riportato da alcuni giornali, che voleva lavorare per l’Inter, magari fare l’addetto agli arbitri. Nucini prima nega decisamente qualsiasi ipotesi di tal genere, poi deve ammettere che Facchetti gli aveva offerto un posto di lavoro. Tiene a specificare che lui avrebbe rifiutato sdegnoso.
Gli avvocati lo incalzano: “Negli incontri con Moggi e Fabiani, non le è venuto in mente di portare un registratore?". Risposta. “Il registratore non è elegante. E poi non faccio l’investigatore.”
E per finire questo prolisso resoconto, una piccola chicca: infervorato, sotto i colpi del controesame dei legali che gli contestano le discrepanze tra la testimonianza resa in aula e quelle rese nel 2006 e 2007 agli inquirenti, Danilo Bond si lascia andare: “Sa cos'è? Per venire qua mi sono letto un file di 250 pagine che ho archiviato e allora non l'avevo fatto!”.
I legali si scatenano: “Ah sì? E dove le ha prese queste informazioni? E quando le avrebbe raccolte? Ce l'aveva anche nel 2007 dai Carabinieri, allora? Prima di venire qua in questi giorni ha parlato con qualcuno di questo processo? Si è consultato con qualcuno?".
Un avvocato fa rilevare strane uguaglianze testuali tra due sue precedenti deposizioni agli inquirenti, come se la seconda fosse frutto di copiaincolla della prima. Il giudice cerca di calmare gli animi. Danilo Bond non accetta le insinuazioni su eventuali "suggeritori" nell'ombra:
“No, no, non mi son consultato con nessuno, stia tranquillo, avvocato! Non ho mai avuto nessun padrone, avvocato”. Sarà.
Processo di Napoli: cosa bolle in pentola?
- Dettagli
- By Clau71
Una giornata durata 10 ore, un processo pesante che probabilmente a molti media non interessa più, tanto da inviare pochi effettivi ad assistervi.
Anzi, a giudicare dalle pubblicazioni sui siti delle più note testate nazionali, e a giudicare dal disinteresse mostrato dalle tv generaliste, sembrerebbe proprio che di inviato ce ne fosse uno solo, incaricato di scrivere per tutti.
Molto probabilmente si tratta dell’inviato dell’ANSA, perché l’agenzia è la fonte alla quale molti siti fanno riferimento, ad avvalorare la tesi del copia/incolla: viva la professionalità dei giornalisti nostrani!
Eppure il delirio di Nucini, un arbitro che le cronache dell’epoca descrivevano come scarso (ma scarso per davvero!), famoso per l’amicizia con Facchetti (cementata da un cartellino rosso risparmiato all'interista Di Biagio in una gara contro l’Udinese) e diventato, in piena attività arbitrale, confidente privilegiato dell’allora presidente nerazzurro, avrebbe meritato un minimo di attenzione e approfondimento.
Non fosse altro che per “salvaguardare la memoria” dello scomparso Presidente nerazzurro al quale Nucini era solito far confidenze durante le loro assidue frequentazioni, e per il quale aveva addirittura redatto un dossier (diario lo chiama), nel quale venivano riportati “i giudizi positivi espressi dai designatori in partite in cui registrava errori a favore della Juve o a svantaggio delle avversarie. Giudizi che, nei casi opposti (errori contro Juve o a favore di rivali), erano invece negativi”.
Un “diario” portato in aula ieri come prova e consegnato ai giudici.
I quotidiani sportivi ignorano la notizia in prima pagina.
Tuttosport si dedica al mercato e alle polemiche sulla stangata disciplinare al Toro, la Gazzetta in taglio alto magnifica la finale di Champions League, ma il titolo centrale riguarda Maldini che polemizza col Milan colpevole di non averlo difeso dalla contestazione degli ultras. Il Corriere dello Sport tratta di Champions League, panchine ballerine, di Figo che prenderà il posto che fu di Facchetti quale “ministro degli esteri nerazzurro” (per quel ruolo è evidentemente necessario uno dalla firma facile: Facchetti con le fidejussioni e l’ex “pesetero” con i contratti), e, per finire, la notiziona della firma di Aquilani che si lega fino al 2013 all’infermeria della “squadra che ama”.
Repubblica, nella versione online, come d’abitudine, presenta la vicenda in modo colpevolista, arrivando addirittura ad omettere le eccezioni degli avvocati della difesa, che, nella versione accreditata all’ANSA, incastrano Nucini su quella che è una menzogna, relativa all’ostracismo che la cosiddetta Cupola gli avrebbe praticato precludendogli ogni possibile direzione in serie A in seguito a quel famoso Juventus-Bologna del 2000/01 in cui fischiò un rigore inesistente a favore dei rossoblù. In realtà, Nucini, non solo arbitrò ancora la Juve nello stesso campionato dopo sole 8 giornate (Juve-Reggina 1-0) ma diresse gare di serie A anche nei campionati successivi, fino al 2004-05. Quindi è totalmente falso quanto sostenuto da Nucini: ”Da allora non ho mai più arbitrato in serie A”, ma a Repubblica non sembra interessare tutto questo, come peraltro non vengono citate le palesi contraddizioni tra le dichiarazioni del teste rilasciate ieri, rispetto a quanto dichiarato dallo stesso Nucini durante le indagini, soprattutto a proposito della famigerata scheda sim, la “pistola fumante” che lui avrebbe gettato una volta venutone in possesso.
Le obiezioni vengono riportate da Tg com e Sportmediaset, fedeli alla pratica del “copia/incolla”, addirittura le stesse frasi e persino gli stessi refusi; in due frasi consecutive l’ex fischietto bergamasco viene chiamato prima “Nucini” e subito dopo “Lucini”.
Passata la nottata, disponibili le edizioni cartacee, sfogliando le pagine ci troviamo davanti ad uno scenario dove regna l’indifferenza, anche se, una volta tanto, qualcuno presenta l’avvenimento in modo quantomeno verosimile.
“Libero” (dalle cui colonne aspettiamo, però, il consueto articolo di Luciano Moggi), “Il Giornale” e soprattutto il “Corriere della Sera” non dedicano una sola riga all’udienza di ieri. Decisamente strano il silenzio del Corriere; certo oggi è il giorno della finale di Champions League, evento che reclama il suo spazio, però c'è un fatto: ieri è stata una giornata particolare per la figura di Facchetti in quanto presidente dell'Inter. Particolare perché è venuto fuori che l'ex terzino nerazzurro aveva al suo "servizio" un arbitro in attività; qualcosa di estremamente grave come ugualmente grave era stata a suo tempo l'indagine condotta dalla giustizia sportiva a suo carico per i famosi pedinamenti (con sentenza di non procedibilità perché defunto nel frattempo). A pensarci bene (o male, fate voi, cari lettori) forse il silenzio del Corriere va ricercato in un motivo che l'alibi della finale di Roma nasconde come la coperta di Linus, soprattutto perché in totale contrapposizione alla linea tenuta dallo stesso quotidiano alcuni giorni fa, quando, da perfetto paladino dell’accusa, il giornale di De Bortoli uscì con un pezzo fuorviante e faziosamente bugiardo. E di sicuro al più presto di questo dovremo riparlare.
Repubblica, fedele all’edizione online comparsa nella serata di ieri, esce con 5 mezze righe del solito tenore: "Udienza a Napoli su Calciopoli. "Se sbagliavi a favore della Juve arbitravi in A, se sbagliavi contro in B" ha detto l'ex arbitro Danilo Nucini. Sentiti anche altri due testimoni, l'ex dirigente Franco Dal Cin e l'ex presidente del Bologna, Giuseppe Gazzoni Frascara".
Quindi, silenzio dai giornali istituzionali: e gli sportivi?
Nessun cenno in prima pagina, come riportato sopra, ma all’interno le sorprese fioccano:
Tuttosport dedica mezza pagina a "Nucini: i buchi dell'accusa" in cui si evidenziano principalmente le contraddizioni dell'accusa, e, mentre si annota che "irrompe Facchetti", c'è dell'ironia quando si riporta la frase di Nucini su Facchetti secondo la quale l’ex presidente nerazzurro fosse “l'unico onesto nel mondo del calcio, ironia che traspare soprattutto dalla chiusura dell’articolo, nella quale è riportata la deposizione di Gazzoni Frascara che accusa (con tanto di virgolette), Facchetti di essere stato con tutta probabilità l'intermediario per la discussa fidejussione che garantì l’iscrizione al campionato della Reggina.
Ma il contenuto più succulento è quello della Gazzetta, dal 2006 il braccio mediatico “ufficiale” dell’accusa. Il giornale rosa spara le cartucce col titolo "Premi per sbagli pro-Juve" ma poi nell'articolo è costretto a riportare delle "tante contraddizioni, i difensori incalzano"; quali siano le contraddizioni, la Gazzetta non lo dice… Il punto saliente? "L'ex arbitro ha ricostruito i passaggi che lo portarono a rivolgersi a Giacinto Facchetti per le sue 'vicissitudini''. Quando cominciò questa frequentazione? Cosa raccontò a Facchetti? Cosa fece il dirigente dell'Inter? I difensori lo incalzano. Lui resiste. E parla di un 'memoriale' raccolto in file di circa 250 pagine, sintetizzato in una sorta di elenco, relativo al campionato 2001-02, quello del 5 maggio, nel quale vengono indicati gli errori commessi dai vari arbitri o assistenti e “premiati” o “puniti” a seconda del vantaggio o dello svantaggio prodotto alla Juventus. “Queste diversità di trattamento a fine stagione le feci vedere a Facchetti”. E questi cosa fece? C'è un esposto (ma chi lo aveva presentato?) alla Procura di Milano. Nucini fu convocato dalla pm Ilda Boccassini. Di cosa parlaste? incalzano i difensori. “Del mondo del calcio” gli estorce il presidente Teresa Casoria dopo vari tentativi di non rispondere. Ma perché di queste vicende non parlò mai con l'Ufficio indagini della Figc? “Non mi fidavo”. Racconta anche della scheda telefonica ricevuta da Fabiani. Tante contraddizioni, i difensori incalzano".
In sostanza, la Gazzetta tenta di resistere, molto più di quanto abbia resistito in realtà Nucini, ma non può esimersi dal riconoscere quanto la puzza di imbroglio ormai stia per rendere irrespirabile l’aria.
Gazzoni Frascara: sviste arbitrali, doping amministrativo, mentre Facchetti...
- Dettagli
- By Nick66
“Scusi, ma non è Porta a Porta?”. In un’ora e un quarto di deposizione, fra esame e controesame, per ben tre volte l’ex presidente del Bologna, Giuseppe Gazzoni Frascara, fa riferimento a dichiarazioni rilasciate alla popolare trasmissione televisiva. Dopo aver tuonato per anni sulle malefatte del sistema calcio, l’ex presidente del Bologna oggi è certamente più pacato rispetto a certe comparsate televisive del passato in cui annunciava richieste di 70 milioni di euro in solido alla Federazione, al Coni, alla Reggina, all’Agenzia delle Entrate e ai membri della Covisoc e Coavisoc. Oggi Gazzoni sembra persino in ritirata ed è l'ennesimo teste dell'accusa che non porta di fatto alcun contributo alle tesi dei PM. Incisivo invece è stato l'incalzare della difesa che nella giornata in cui Nucini si immola per la beatificazione di Facchetti, spinge Gazzoni a fare il suo nome quale probabile agente che si occupò delle fideiussioni irregolari che permisero alla Reggina di isciversi al campionato 2005/2006. Ma andiamo con ordine.
Rispondendo alle domande del PM Beatrice, Gazzoni ripercorre inizialmente i tempi della propria amicizia con Umberto Agnelli e di come i rapporti con la Juventus cambiarono con l’avvento di Giraudo e Moggi. "Si irrigidirono – spiega – i rapporti diventarono costanti e normali". Il teste fa riferimento a una trattativa di mercato avuta per un non meglio specificato scambio di giocatori che venne annullata dai vertici bianconeri il giorno dopo. "Questo non succedeva prima" chiosa Gazzoni, che spiega poi di una telefonata fatta a Giraudo per chiedere cosa ne pensasse di un eventuale ingaggio di Zeman come allenatore al Bologna. "Ma è proprio necessario?" fu la risposta dell’ex amministratore delegato juventino che in fin dei conti, visto il ruolino del boemo in quanto a esoneri, non gli diede certo un cattivo consiglio. Spazio poi ad episodi del campionato 2004/2005 ritenuti da Gazzoni Frascara di "significativa irregolarità". Tutto comincia da un Fiorentina-Bologna in cui Cipollini, a cui Gazzoni da primo azionista aveva delegato la presidenza del Bologna, evidenzia a Gazzoni come l’arbitro "abbia distrutto la difesa" facendo riferimento alla partita successiva in cui il Bologna avrebbe affrontato la Juventus. E' la vecchia storia delle ammonizioni mirate tanto caro alle pagine di giornali rosa e non nell'estate del 2006, di cui Ju29ro si è occupato qui e qui
Vinse 1 a 0 la Juventus in quella partita con gol a pochi minuti dalla fine segnato da Nedved su punizione che il teste definisce "inventata". Citazione anche per un Siena-Milan 2-1, arbitrato da Collina, con gol regolare annullato al Milan che avrebbe agevolato la vittoria del Siena (concorrente del Bologna per la salvezza). "Senza quella svista arbitrale ci saremmo salvati" sentenzia Gazzoni che spiega così che "ci furono evidenti errori arbitrali che costrinsero il Bologna alla retrocessione e al successivo fallimento. Non posso parlare di complotto – dichiara – ma la società del Bologna fu colpita".
Non di sole sviste arbitrali si lamenta Gazzoni, che parla di "doping amministrativo" alla base di un alterco avuto con Lotito presso i locali della Lega Calcio. "Dissi che era scandaloso rateizzare un debito fiscale di 140 miliardi in 25 anni." Con quel debito sulle spalle, originato dalla precedente gestione, la Lazio vinse lo scudetto 2000-2001, mentre la Juventus annegava nell’acquitrino di Perugia nella partita che l’arbitro Collina volle far giocare a tutti i costi. "La Roma poi venne a Bologna, segnò 5 gol – ricorda l’ex presidente – io fui quasi accoltellato dai tifosi, mentre la Roma aveva un debito di 50-60 miliardi con l’IRPEF..." Parla di "secondo schiaffo" Gazzoni, ricordando come, riguardo alle iscrizioni per il successivo campionato di serie A, Messina e Reggina non fossero a posto finanziariamente per parteciparvi e, nonostante questo, il Bologna non venne ripescato.
"A fine campionato salta fuori una cosa molto strana - spiega Gazzoni - grazie alla denuncia del doping amministrativo, per evitare il ripetersi di fatti di non competizione, ovvero non pagare l’iva, la figc decise una serie di regole: stipendi e contributi da versare entro il 31 marzo, ed entro il 30 giugno si fissava il termine perentorio in cui bisognava non avere debiti con l’erario. In caso di debito, lo stesso doveva essere novato con fideiussione." A negare al Bologna la riammissione in serie A, oltre alle sentenze di TAR e del Consiglio di Stato, vi fu, secondo Gazzoni, anche l’ex presidente della Fgci Franco Carraro, che non avrebbe voluto inserire all’ordine del giorno la questione, negando a Gazzoni, fra l’altro, la possibilità di intervenire in Consiglio federale, sostenendo che la questione stessa dovesse essere risolta in sede Covisoc e Coavisoc e non in Consiglio. Il Bologna rimase quindi in serie B e Gazzoni racconta del suo stupore quando, dopo qualche mese, si scoprì che la Reggina non fosse stata con le carte a posto entro il 30 giugno e che rimase con un debito nei confronti del fisco avendo rilasciato una fideiussione inidonea.
Da chi fu rilasciata quella fideiussione inidonea ?
Avv. Prioreschi: Lei è stato sentito dal pubblico ministero il 13 maggio 2006... torniamo alla vicenda dell'iscrizione della Reggina, Lei ha parlato, se ho capito bene, che c'era una irregolarità nella fidejussione presentata dalla Reggina per l'iscrizione al campionato, è così? Ho capito bene?
Gazzoni Frascara: Avvocato, il debito era reale della Reggina, non è stato novato entro i termini perentori imposti dalla FIGC, vale a dire 30 giugno 2005. Il debito non è novato.
Avv. Prioreschi: La Reggina aveva o non aveva presentato una fidejussione inidonea prestata dalla Sanremo Assicurazioni?
Gazzoni Frascara: Inidonea.
Avv. Prioreschi: Chi era l'agente che aveva fatto questa operazione della Sanremo?
Gazzoni Frascara: Si dice...
Avv. Prioreschi: No si dice...
Gazzoni Frascara: Si dice, si dice...
Avv. Prioreschi: Dica.
Gazzoni Frascara: Si dice che fosse stato Facchetti.
Avv. Prioreschi: Facchetti, Giacinto Facchetti?
Gazzoni Frascara: Sì. Si dice. Io non ho la prova però.
Presidente Casoria: Si dice...
Avv. Prioreschi: No, non è si dice, adesso dice. Sto facendo una contestazione: 13 maggio 2006, "E’ noto che la fideiussione risultata inidonea inizialmente prestata in favore della Reggina è della Sanremo di Genova. Io ho più volte rilasciato dichiarazioni concernenti questa operazione e oggi sono in grado di indicare il nome di Giacinto Facchetti probabile agente assicurativo intermediario della suddetta polizza".
Gazzoni Frascara: Probabile, si dice...
Avv. Prioreschi: Probabile, ma non "si dice". Sulla base di quali elementi ha affermato al pubblico ministero...
Presidente Casoria: Questa probabilità da cosa derivava?
Gazzoni Frascara: Dal bocca a bocca che gira in questo grande mondo del calcio.
Avv. Prioreschi: Ah, ecco. E quindi, per capire, insomma, se la Reggina era società "amica" di Moggi e della Gea, mi pare che Facchetti stesse da tutt'altra parte, Facchetti che fa fornisce la fidejussione alla Reggina?
Gazzoni Frascara: Non centra nulla avvocato, è tutto un melting pot il calcio, sono chi più ha più ne metta, lì per guadagnare quattro lire son tutti nemici e tutti amici.
Avv. Prioreschi: Lei mi ha fatto felice con questa risposta, guardi.
Chissà se il figlio di Facchetti, dopo aver annunciato querela a Moggi, adesso querelerà anche Gazzoni Frascara per quanto detto a proposito della famosa fideiussione.
Maurizio Galdi, sulla Gazzetta, di questa deposizione riporta solo questo: "Si chiude con Giuseppe Gazzoni Frascara e il fallimento del suo Bologna per colpa della retrocessione «immeritata»".
Benvenuti a Farsopoli: da A. Carbone fatti irrilevanti e non pertinenti
- Dettagli
- By inunmondoche
Irrilevanti e non pertinenti. Così il giudice Teresa Casoria, con un certo fastidio, ha bollato le testimonianze rese da Armando Carbone, agente di commercio, incredibilmente trasformatosi in grande accusatore del "sistema Moggi". Un personaggio da noi raccontato in anteprima e voce unica nel panorama informativo nazionale, ai tempi della pubblicazione delle intercettazioni di quella che fu chiamata Calciopoli 2.
Ed è proprio questo il punto. Una deposizione evidentemente contraddittoria e affatto circostanziata, riferita a fatti avvenuti nel lontano 1986, ha consentito ai magistrati napoletani di intercettare, a distanza di più di un anno dalla fine delle indagini, Luciano Moggi e altri indagati del processo: il GIP che ha autorizzato quelle intercettazioni ha di fatto consentito lo spreco di denaro pubblico sulla base di dichiarazioni "irrilevanti e non pertinenti". Questa la notizia del giorno.
Carbone si è dimostrato personaggio da commedia dell'arte, volenteroso nel ricordo ma solo fino a un certo punto, pronto a contraddire le dichiarazioni rese a verbale, mai in grado di circostanziare alcuna delle sue testimonianze. Un personaggio che ha scatenato l'ilarità dell'aula, e l'evidente irritazione del giudice per il suo comportamento.
La sua deposizione è tesa a confermare i fatti raccontati e messi a verbale il 20 maggio 2006 davanti ai magistrati di Napoli.
Si qualifica come agente di commercio, con orgoglio rappresenta le più grandi firme di abbigliamento. Qual era il suo ruolo all'interno del mondo del calcio? "Aiutavo le società a salire di categoria nei vari campionati.", instradato alla singolare attività da tale Geggio Caciotti di Brescia, così racconta. Tiene a chiarire che la vicenda per cui fu implicato e arrestato, il calcioscommesse dell '86, non riguardava affatto le scommesse. Tiene a precisarlo con una certa foga e anche con qualche tecnicismo: "Mai bancato scommesse". Ammette invece con sconcertante candore la sua attività di aggiustatore di partite: arbitri e giocatori a busta paga, per indirizzare le partite come richiesto. Un'attività non spontanea, tiene a chiarire, ma con una forte domanda da parte dei presidenti. Infatti: "Avevo creato un giro che aveva in mano arbitri e calciatori da poter corrompere." Giusto alla bisogna.
Racconta di un complotto ordito da Moggi insieme ai giudici Marabotto e Laudi, nella vicenda calcioscommesse, per estromettere la crema dei dirigenti sportivi italiani: Allodi, Corsi, Janich, Dal Cin. Questi ultimi i personaggi che lo hanno introdotto, cotanto professionista, nel mondo del calcio. Il ruolo nel complotto di Moggi? Determinato da sua personale convinzione, senza riscontro alcuno.
Per la contradditorietà di tale testimonianza, vedasi il nostro precedente articolo: Allodi fu assolto e le sentenze statuirono che mai aveva conosciuto il Carbone, nonostante egli si presenti a verbale come suo "uomo occulto" e ne vanti un'intima conoscenza. Il Napoli non fu penalizzato, grazie appunto a questa interpretazione dei fatti. Colmo dei colmi, con una penalizzazione inflitta al Napoli, quell'anno lo scudetto lo avrebbe vinto la Juventus!
Ma andiamo avanti. Marabotto rifiuterebbe di ascoltare la sua deposizione nei confronti di Moggi, accusato di averlo contattato per aggiustare un match di Coppa Uefa, Torino-Hajduk Spalato, nella stagione 1985/86 , attraverso la corruzione dell'arbitro. Carbone non ha intenzione di circostanziare modalità e entità del presunto pagamento, ma aggiunge che la partita terminò in pareggio (1-1), risultato utile al Torino per passare il turno.
Peccato che quella era la partita di andata, e al ritorno in Dalmazia i croati vinsero 3-1, mandando il Toro a casa.
Juventus-Aston Villa 2-1 un'altra partita per cui il Carbone fornì l'arbitro. Dal Cin, cioè l'altro supertestimone di questo processo, cotanto professionista, avrebbe fornito il contatto con la dirigenza juventina, identificata in Morini, salvo poi estromettere dall'affare il Carbone. Naturalmente, nulla sa quanto ad entità e modalità del pagamento.
Ma l'assurdo, per un'aula di tribunale, si tocca poco dopo quando il Carbone accusa il Moggi non di aver compiuto un illecito, ma del rifiuto di compiere un illecito. Moggi non è un uomo d'onore. Con assoluto candore, Carbone rinfaccia a Moggi di non aver ottemperato a un debito nei suoi confronti, contratto dalla precedente gestione del Calcio Napoli, allorchè divenne direttore sportivo del team partenopeo.
E' con malcelato fastidio che racconta di come un vecchio dirigente del Napoli, Pasquale Carbone, gli abbia offerto 200 milioni di lire per ottenere il suo silenzio davanti all'ufficio indagini, e di come Moggi, nel frattempo subentrato, non abbia onorato l'illecito, facendosi negare dal Carbone (Armando), che lo importunava ripetutamente nel garage dove parcheggiava la sua automobile.
Uomini di Moggi sarebbero, secondo lui, Giorgio Perinetti, ora ds del Bari, e Luciano Tarantino, suo vice, pedine occulte ("oscure" nel suo claudicante italiano) del sistema. Il secondo viene indicato come persona che si occupa dei pagamenti in nero. La prova? Un assegno circolare che testimonia di un prestito di 10 milioni di lire effettuato dal Carbone in favore del Tarantino. Che ci azzecca? Niente, appunto.
Il Tarantino gli avrebbe inoltre confidato dell'integrità a un presunto sistema del generale Italo Pappa, ex capo Ufficio Indagini. Naturalmente, come in ogni altra dichiarazione resa, non è in grado di circostanziare con date e luoghi, la confidenza o millanteria di Tarantino, e il motivo della loro conoscenza. Carbone continua ad accennare alla GEA, mostrandone assoluta ignoranza rispetto ai fatti principali, data di fondazione e di attività, giungendo persino ad affermare a mezza bocca che il trasferimento di Ferrara sia stato effettuato dalla GEA, non esistente, all'epoca dei fatti, nemmeno in nuce.
Alla richiesta di conferma da parte dell'avv. Prioreschi, smentisce subito con faciloneria: "Noooo, noooo, non lo so.". E' commedia. E il giudice se ne stanca. Invita teste e pm a concentrarsi su questioni attuali e concernenti al processo.
Le testimonianze del Carbone vanno invece a parare ancora sulle intercettazioni del 1986, atti per altro non appartenenti al processo. Gli avvocati protestano, Beatrice si arrabbia. Il giudice Casoria invita a non agitarsi, dando ad intendere, come spiegherà più tardi, che ha "inquadrato" il soggetto.
Il controesame degli avvocati difensori è spietato. Carbone infila una serie di contraddizioni evidenti rispetto ai verbali del 20 maggio. Quando messo in difficoltà rispetto alla contradditorietà con i fatti realmente accaduti (quelle stesse contraddizioni da noi evidenziate nel nostro precedente articolo) si rifugia continuamente in "non ricordo", che appaiono tanto più comici in un testimone che muove le sue accuse da fatti accaduti nel 1986.
L'incalzare di Prioreschi mina la credibilità del testimone, che offre cambiamenti di versione rispetto al verbale e confusione nei ricordi, ma a piazzare il colpo definitivo è l'avvocato Trofino che ricorda come, in seguito alla sua prima deposizione del 20 maggio, si fosse impegnato a produrre atti e ulteriori testimonianze che circostanziassero e confermassero le sue accuse. Un secondo incontro con i magistrati non ci fu mai, a testimoniare dell'assoluta genericità, gratuità e inconsistenza delle sue prime dichiarazioni, curiosamente rese in modo spontaneo davanti all'autorità giudiziaria.
Gli avvocati chiedono dunque di sentire altri testimoni, tra cui il Tarantino, per testare la credibilità di questa deposizione.
Il giudice Casoria non vede ragione, stante l'irrilevanza e non pertinenza della testimonianza resa.
Insomma, il dossier Carbone ha già incontrato la fine che meritava e che, unici in Italia, avevamo già sottolineato.
Prima vittoria, quindi, delle difese e clamoroso autogoal dell'accusa.
Ma non basta: i Pm napoletani hanno richiesto e ottenuto l'autorizzazione ad intercettare in base a queste inconsistenti dichiarazioni, bocciate come assolutamente irrilevanti, dopo 30 minuti di udienza.
Dichiarazioni assolutamente generiche e mai circostanziate che necessitavano conferme vere e documentali, che non sono mai arrivate.
C'era da ridere ad ascoltare Carbone, e in molti lo hanno fatto.
Noi siamo a chiederci invece con che coraggio il GIP abbia disposto intercettazioni in base alla sua parola. Un clamoroso caso di cattiva gestione della giustizia, che dovrebbe essere di insegnamento a tutti.