CantaNapoli - Il processo
L'abbreviato era la scelta da fare?
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- By Trillo
In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza che ha condannato Antonio Giraudo a tre anni di reclusione per frode sportiva e associazione a delinquere (per quest'ultima colpevole ma non promotore insieme a Moggi, recita il dispositivo), non possiamo esimerci da un primo commento.
Il nostro lavoro, svolto sempre nella massima convinzione che si sia basato e continui a basarsi su dati e situazioni oggettive, continuerà con la massima determinazione.
Considerato il quadro che da sei mesi sta emergendo nel dibattimento di Napoli, oggi più che mai restiamo convinti che la scelta del rito abbreviato concordata da Giraudo con i suoi legali sia stata una scelta strategicamente sbagliata. Detto questo, tuttavia, rispettiamo la sentenza di un tribunale ordinario com'è giusto che sia, a maggior ragione avendo già preannunciato l'avvovato Krogh (uno dei legali di Giraudo, n.d.r.) il ricorso in appello.
La sensazione di aver rinunciato con troppa superficialità alla possibilità di smontare in aula le accuse rivolte dai P.M. alla presunta "Cupola" del calcio rimane comunque forte e suona oggi come una beffa sulla quale sarà inevitabile recriminare, a prescindere dall'esito finale che la posizione di Giraudo assumerà sul piano giudiziario.
L'unico augurio che ci sentiamo di fare all'ex A.D. della Juventus è di poter ripercorrere le stesse tappe del tristemente noto processo doping, quando alla condanna del giudice Casalbore (allora inflitta al dottor Agricola, non a Giraudo) seguì l'assoluzione piena della corte d'Appello di Torino.
Come detto all'inizio, le ragioni per auspicarlo non mancano. E sono molte, moltissime di più di una semplice speranza da tifosi.
AD COLORANDUM: Trefoloni e Morganti
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- By Dominiobianconero
“Vabbè, Avvocato, sono dichiarazioni ad colorandum”.
Teresa Casoria, Presidente del Collegio giudicante al Processo Calciopoli pone fine con questa frase al controesame del teste Emidio Morganti. E, in effetti, Matteo Trefoloni ed Emidio Morganti, nel corso delle loro deposizioni del 13 novembre 2009, hanno aggiunto al dibattimento poco più che qualche nota di colore. Due deposizioni assolutamente “soporifere”, prive di spunti epocali, soprattutto quella di Morganti, che si ravviva solo verso la fine, praticamente a teste già congedato, allorché l’avv. Catalanotti, difensore della parte civile Brescia Calcio, si sveglia dal torpore e attacca:
Catalanotti: «Le designazioni erano condizionate dalla volontà delle società più importanti..Juventus, Milan, Inter.. ?».
Morganti: «Non Le so rispondere».
L’avvocato Catalanotti lo incalza, ricordandogli che nel corso dell’interrogatorio sostenuto presso i Carabinieri di Roma del maggio del 2006 aveva risposto affermativamente. Il Presidente Casoria allora si incuriosisce:
Pres. Casoria: «E vediamo.. perché oggi ha detto “non so rispondere” e prima sì?».
Morganti: «E' la mia opinione, quindi alla fine è una mia considerazione ..».
Pres. Casoria: “Vabbè, Avvocato, sono dichiarazioni ad colorandum”.
L’avvocato Catalanotti si zittisce e ripiomba nel suo torpore. In fondo in questo passaggio c’è tutta Calciopoli. Un'inchiesta nata e proliferata sulle opinioni, sul “sentito dire”, sui commenti delle Gazzette, sui Processi televisivi. Da quando è cominciata la sfilata dei testimoni chiamati dai PM Narducci e Capuano, l’aula del Tribunale di Napoli ha cominciato a “colorarsi” di sensazioni, stupore, indignazione, rammarico, sospetto, rabbia, ripicche e rancori. Ognuno dei testimoni ha dato la sua pennellata di colore a questo quadro astratto presentato dalla Procura di Napoli. D’altronde, parlando di calcio, ed essendo in Italia, spesso confondiamo il confine tra fatto e opinione. Peccato che per questa dimenticanza ci siano persone che rischiano una condanna per associazione a delinquere.
Tornando all’udienza del 13 novembre, il testimone Matteo Trefoloni appare molto tranquillo. Il passo saliente della sua deposizione è quando definisce Maria Grazia Fazi, segretaria della CAN (Commissione Arbitri Nazionale n.d.r.) un “supporto” anche psicologico per gli arbitri.
«Ci parlava, cercava di capire il nostro stato di serenità, le nostre condizioni del momento (problemi personali o arbitrali), verificava se erano state smaltite problematiche anche a livello mediatico».
Sottolinea inoltre che al suo arrivo era considerato una specie di mascotte, proprio perché molto giovane e per questo motivo aveva sviluppato un rapporto di confidenza con la Fazi stessa. Trefoloni riferisce che la Fazi ci rimase molto male quando Carraro telefonò a Bergamo per farla allontanare dalla segreteria e spiega il fatto di essersi rivolta a Moggi per cercare di evitare il trasferimento con la circostanza che lo riteneva una persona di carisma in ambito federale, pur non ricoprendo alcun ruolo ufficiale. A tale proposito, dall’analisi del materiale audio in nostro possesso e relativo ai fatti narrati, Moggi appare tra quelli particolamente “preoccupati” dell’attività e dell’ascendente della Fazi sugli arbitri, e in particolare sui designatori. Un uccellino aveva infatti riportato all’ex Direttore Generale bianconero che la signora in questione non aveva propriamente in simpatia la Juventus.
Molto lucida anche la descrizione del rapporto con Bergamo e Pairetto da parte di Trefoloni:
PM: «Nel rapporto diretto con Bergamo, Le dava mai consigli?».
Trefoloni: «Dava molti consigli..prodigo…su tutta la sfera, dalle cose più futili come l’abbigliamento fino ad una visione legata alla gestione arbitrale. Quello che lui intendeva per arbitrare bene - una prerogativa - quella di immaginare un arbitro forte.. che non doveva permettere ciò che non era corretto ma allo stesso tempo «trasparente».
PM: «Le stesse cose glieLe diceva anche Pairetto?».
Trefoloni: «A livello tecnico più da Bergamo che da Pairetto.....”
Trefoloni chiarisce infine il famoso episodio che lo portò a chiedere di non essere inserito nella griglia per la partita Roma-Juventus (1-2 arbitro Racalbuto); spiega infatti che, afflitto dai sintomi di una sindrome influenzale causata da un impegno con gli sponsor a Genova in una giornata gelida, fu costretto a dare forfait e che ne fu contento, in quanto oltretutto stava attraversando un periodo di cattiva forma fisica.
La scarsa significatività della deposizione è testimoniata anche dal fatto che l’Avv. Prioreschi, difensore di Moggi, rinuncia al controesame, lasciando a Trofino l’onere di sottolineare che, nel maggio 2006, a fronte di circa sei ore di interrogatorio i carabinieri verbalizzarono per Matteo Trefoloni solo tre paginette. Un po' poco. Anche secondo noi.
La deposizione di Morganti, a parte la coda di cui abbiamo detto in apertura, fila via ancora più pallida. Si parla di pioggia e campi bagnati, di drenaggi, di Alessio Secco che consegna delle magliette alla terna arbitrale (e dopo qualche settimana si trova a fare il DS della squadra più importante d’Italia), del fatto che ogni tanto gli arbitri venivano normalmente tenuti a riposo per un turno.
Normale amministrazione, che capita in tutti gli ambienti di lavoro. Ma che i PM tentano di far passare come atteggiamento vessatorio della presunta “cupola” nei confronti del povero Morganti. Prioreschi prende la parola e nel controesame con date, partite e pazienza smonta l’ennesimo teorema di cartapesta, concludendo con una costante: l’invito al Tribunale a prendere atto che per tutti i testimoni interrogati dai carabinieri esiste una chiara sproporzione tra il tempo trascorso in caserma e il materiale verbalizzato e controfirmato.
In definitiva, il ritardo con il quale pubblichiamo il resoconto di queste due deposizioni si spiega con il fatto che in questi giorni c'erano cose più importanti di cui parlare e abbiamo ritenuto privilegiare l'attualità (bianco)nera rispetto agli “effetti speciali” e ai colori ultravivaci di Trefoloni e Morganti.
Baraldi, Marocchi, Bocchini: l'ennesimo buco nell'acqua
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- By Redazione
Baraldi su Lazio-Parma
Luca Baraldi era, all'epoca dei fatti oggetto d'indagine, amministratore delegato del Parma calcio, che si trovava in amministrazione controllata (faceva parte del gruppo Parmalat coinvolto nel tristemente famoso scandalo finanziario). Il Pm Capuano lo sente inizialmente in relazione all’incontro Lazio-Parma del 27 febbraio '05, gara che non riguarda tanto le accuse mosse agli ex dirigenti juventini, quanto le pressioni federali per far salvare la Lazio, e quindi gli imputati Lotito, Bergamo e Pairetto, partita che si presta piuttosto bene a raccontare le contraddizioni degli inquirenti.
L'impianto accusatorio nei confronti della cosiddetta "Cupola" è incentrato infatti anche sui favori che la stessa procurerebbe alle società "affiliate". Il do ut des immaginato: la Cupola chiede voti in appoggio ai suoi presunti candidati politici (Carraro e Galliani, che stranamente non sono a processo) e in cambio fornisce "assistenza" arbitrale. Gli arbitri verrebbero usati, come nel caso della Fiorentina, per fiaccare le resistenze, o, come nel caso laziale, per ottenere l'appoggio politico. Eh già. Perché, secondo gli inquirenti, Mazzini, Pairetto e Bergamo, non prendono alcuna decisione che non sia nell'interesse del sodalizio guidato da Moggi.
Ebbene, per aiutare, come si suppone, la Lazio contro il Parma, viene mandato Messina, l'arbitro che si sentiva al telefono con Leonardo Meani, chiamando i dirigenti juventini "veri mafiosi", che quando perdono non lo vanno a salutare (eh già, altro che minacce). Insomma un avversario della Cupola.
Come abbiamo già visto nel caso degli scontri-salvezza, i designatori scelgono arbitri certo non vicini alla Juve, per partite particolarmente delicate, quale questo Parma-Lazio, preceduto e seguito dalle telefonate tra il presidente Lotito e Mazzini che, dopo il match, gli grida: "Ti arrestano!".
Baraldi ricorda che la gestione della partita da parte dell'arbitro Messina destò in lui forti perplessità, perché gli sembrò a senso unico, anche se la Lazio nel primo tempo fu superiore tecnicamente al Parma. Due episodi lo colpirono particolarmente:
- un'azione in area della Lazio, a suo dire viziata da ben due falli nettissimi da rigore non sanzionati;
- le recriminazioni, nel post-partita, di alcuni calciatori del Parma, secondo i quali l'arbitro in occasione dei calci d'angolo si avvicinava ai calciatori laziali avvisandoli di non fare falli, altrimenti sarebbe stato costretto a fischiare il rigore. Evento non consueto secondo Baraldi, e quindi sospetto.
Certo è consuetudine vedere in ogni partita gli arbitri sbracciarsi durante i calci d'angolo tentando di richiamare al rispetto del regolamento; è vero anche che questo in genere succede per ambo le squadre. Attendiamo conferme in merito dai giocatori, comunque.
I sospetti rientrati su Lecce - Parma
Il Pm chiede al teste cosa ricordi dell’incontro Lecce-Parma del 29 maggio '05, sul quale già ha testimoniato l'ex allenatore parmense Pietro Carmignani, il 20 novembre scorso.
Baraldi racconta che a fine partita si arrabbiò moltissimo. A suo dire, la partita venne diretta molto bene, sul piano tecnico, dall'arbitro De Santis. Però ci fu un atteggiamento di forte aggressività nei confronti del Parma, tant'è che dopo venti minuti erano già stati ammoniti tre giocatori. Ricorda che il Parma presentava in quella partita 6 calciatori in diffida, ed i primi tre ammoniti erano tra questi. Almeno due ammonizioni, secondo la sua interpretazione, vennero comminate con eccessiva severità. E gli ammoniti avrebbero poi saltato un eventuale spareggio, precisa Baraldi. Riferisce poi che alcuni membri della panchina gli fecero notare la circostanza curiosa per cui le ammonizioni erano avvenute secondo un rigoroso ordine alfabetico. “Per carità, sarà un fatto casuale” dice Baraldi, ma all'epoca rimase molto perplesso. Ma l'episodio che ritiene più significativo è un altro. Poco dopo il pareggio del Parma, era stato espulso il giocatore Contini. Con il pareggio il Parma non era affatto sicuro di salvarsi, e alla fine dell' incontro non si sapeva ancora se il Parma fosse salvo, retrocesso o avrebbe dovuto disputare lo spareggio. Baraldi notò il giocatore Vignaroli molto agitato che inveiva contro l'arbitro, ma non ci fece molto caso perché si stava recando sotto la curva dei tifosi col Team Manager Minotti e Cardone. Al rientro negli spogliatoi, concesse un'intervista a Sky che si concluse in modo brusco, con il suo abbandono della postazione televisiva dopo un battibecco con Massimo Mauro sulle ammonizioni, a suo dire comminate in modo scientifico. Rientrato nello spogliatoio, per il nervosismo non parlò affatto con Vignaroli. Nei giorni successivi, Baraldi ebbe un colloquio telefonico con Minotti, che si disse molto stupito per la sanzione di una sola giornata di squalifica inflitta al giocatore. Minotti gli raccontò del suo colloquio con Vignaroli, cui aveva detto che doveva ritenersi fortunato vista la squalifica lieve che aveva subito. Vignaroli gli aveva risposto che dopo l'espulsione di Contini si era avvicinato a De Santis chiedendo spiegazioni e l'arbitro gli avrebbe detto: "Sta' zitto, perché la partita non ve la farò mai vincere". Questo il motivo scatenante delle sue reiterate proteste a fine partita. Baraldi decise allora di parlarne con Bondi (commissario straordinario di Parmalat) per pianificare una strategia comune. Ricorda che in precedenza il Parma aveva inviato alla Federazione una videocassetta nella quale erano documentati i torti subiti dal Parma. Era un passo propedeutico alla richiesta di risarcimento danni qualora il Parma fosse retrocesso. Venne inoltre richiesto a Ghirelli di inviare dei commissari inquirenti a cui riferire la vicenda Vignaroli. La Federazione non inviò alcun commissario prima dell'andata dello spareggio, poi perso per 1-0 contro il Bologna. Il giorno successivo Baraldi richiamò Ghirelli e gli disse di inviare i commissari, in caso contrario avrebbe riferito tutto in una conferenza stampa. Ghirelli inviò allora i commissari che interrogarono Baraldi, Minotti e Carmignani i quali riferirono, secondo quanto afferma Baraldi, quanto accaduto a Lecce. Ai commissari Baraldi chiese che la seconda gara di spareggio venisse arbitrata da Collina, e così avvenne. Il Parma vinse la seconda partita di spareggio per 2-0 e rimase in serie A.
Nel controesame, l'avvocato Morescanti mette in evidenza la contraddizione di Baraldi, allorquando ha affermato che De Santis non fece errori tecnici e pur tuttavia riteneva che le ammonizioni fossero sbagliate. Per Baraldi, pur non essendoci errori tecnici, le ammonizioni erano sbagliate. La Morescanti ribadisce che lui aveva affermato non esserci errori tecnici: in assenza di errori tecnici come si poteva parlare di ammonizioni sbagliate? Gli chiede inoltre se un calciatore diffidato possa godere di una particolare benevolenza dell'arbitro. Il teste risponde di no, ma ribadisce che a suo dire quelle ammonizioni furono esagerate. L'avvocato chiede a questo punto se ricordava di aver fatto le stesse affermazioni rese ai microfoni di Sky all'ufficio indagine della FIGC. Baraldi conferma, ma l'avvocato gli cita le dichiarazioni rese all'Ufficio Indagini, nelle quali smentiva le affermazioni che gli erano state attribuite dalla Gazzetta dello Sport del 15/06/2005, che sua volta riprendevano l'intervista a Sky; addirittura, davanti all'Ufficio Indagini aveva dichiarato di aver provveduto ad inviare smentita a tutte le testate giornalistiche. Baraldi nega, la Morescanti legge il documento, il giudice chiede chiarimenti. Baraldi insiste: smentisce la sua smentita. Il pm afferma che si tratta di episodi differenti, la Morescanti chiede a Baraldi se riconosce la sua firma sul documento, Baraldi la riconosce.
Riassumendo: Baraldi fa delle affermazioni di fuoco a caldo su Sky, affermazioni riprese dalla Gazzetta, in seguito sollecita a Ghirelli l'invio di commissari dell'ufficio indagine, ma davanti ai commissari smentisce l'intervista a Sky, negando di fatto di avere dubbi sulla premeditazione delle ammonizioni o su comportamenti illeciti durante quel Lecce-Parma.
Lucianone si lamenta con De Santis, ma al solito dopo la partita
A Baraldi è stato anche chiesto dal Pm se ha avuto modo di constatare che i dirigenti della Juventus accedevano alle stanze degli arbitri. Baraldi riferisce che nella gara Parma-Juventus terminata con il punteggio di 1-1, arbitro De Santis, a fine partita vide i dirigenti della Juventus sulla porta dello spogliatoio (“non erano dentro” precisa) dell'arbitro, intenti a lamentarsi per un presunto torto subito (in quella partita De Santis non concesse un rigore alla Juve - ndr). L'episodio è già noto, in quanto raccontato in un'intercettazione da De Santis allo stesso Bergamo: l'arbitro laziale, in presa diretta, ammette l'errore ai danni della Juve, ma chiarisce che i dirigenti bianconeri, che ha salutato a fine gara, non hanno certo dato in escandescenze, ma interloquito con serenità.
Nel controesame, l'avvocato Prioreschi chiede a Baraldi di ripetergli chi era l'arbitro: “Mi pare di ricordare De Santis” è la risposta.
Marocchi e le ammonizioni non mirate
Giancarlo Marocchi è stato un polivalente centrocampista della Juventus tra il 1988 e il 1996. L'ex-bianconero, attualmente Responsabile del settore giovanile del Bologna Calcio, è stato riascoltato sulla base delle dichiarazione rilasciate agli inquirenti nel 2006, in riferimento alla teoria delle ammonizioni preventive che la presunta cupola Moggiana avrebbe perpetrato sistematicamente.
Il PM, estrapolando dai verbali, pone l'attenzione sulla partita Fiorentina - Bologna (1-0), chiedendo memoria dei fatti. Marocchi dichiara che ebbe un diverbio, sia durante la partita, che nell'immediato dopo partita, negli spogliatoi con l'arbitro De Santis circa le ammonizioni, a suo giudizio, coincidenti con giocatori precedentemente diffidati. A seguito del diverbio in campo, presentatosi negli spogliatoi per compiere le operazioni procedurali (firme e ritiro documenti) Marocchi, ancora contrariato, venne invitato da De Santis a chiarirsi. Marocchi ribadì le coincidenti ammonizioni/diffidati ricevendo negazione da parte dell'arbitro.
Per dovere di cronaca, vennero ammoniti quattro giocatori del Bologna (oltre a due della Fiorentina): Petruzzi, Nastase, Meghni e Gamberini. Di questi quattro, solo due erano diffidati, Nastase e Petruzzi, mentre gli altri furono regolarmente schierati da Mazzone nella partita contro la Juventus. Oltre a questo appunto, va rimarcato che la difesa del Bologna utilizzava a rotazione, come dimostrato dagli schieramenti precedenti e successivi alla partita con la Juventus, altri giocatori: Daino, Gamberini stesso, Juarez, Sussi ed anche Legrottaglie, escludendo per scelta tecnica entrambi i diffidati. Petruzzi, che nel 2004/2005 giocò 17 volte, non poteva di certo essere considerato un pilastro insostituibile nella difesa felsinea, come lo stesso Nastase che, in due stagioni, disputò 34 gare di campionato sulle 76 disponibili.
Quando Moggi diceva "Ci penso io"
Il Pm chiede conto a Marocchi di una conversazione con Moggi risalente agli anni della sua militanza bianconera. Un vecchio episodio che Marocchi ha riferito in fase di indagine. Prima di una partita con la Fiorentina nella stagione 1994/1995, con la Juventus avviata alla vittoria del campionato stesso (sei punti di vantaggio sul Parma a poche giornate dal termine), il teste avrebbe detto al suo allora Direttore Generale: "Se vinciamo questa partita, mettiamo un'ipoteca allo scudetto" e Moggi avrebbe risposto: "Non preoccuparti, ci penso io". Messa così, la risposta di Moggi lascerebbe intendere chissà quale losco scenario. In realtà, dietro contestazione dell'avvocato di Moggi, Il PM si è dimenticato di riportare un'importante affermazione di Marocchi che stava a monte di questo stralcio: "Non sono in grado di riferire né in relazione al campionato in corso, né in relazione a questo campionato di episodi che mi abbiano indotto sospetti su partite truccate", riferendosi al campionato in corso all'epoca della deposizione (05/06) ed al campionato 94/95.
Il PM quindi non solo ha tentato di sostenere un'improbabile teoria di ammonizioni mirate a favorire le partite a venire della Juventus, ha anche cercato di ascrivere la vittoria dello scudetto 1994/1995 ad una combine del D.G. bianconero. Non fa nulla se al termine della sua deposizione Marocchi, sollecitato dal Giudice Casoria, ha spiegato l'attitudine di Moggi di fare il "bauscia" in qualsiasi situazione: "Lo diceva sempre, per qualsiasi cosa, era il suo slogan, potevo chiedergli un'automobile in prestito e rispondeva ci penso io".
Lo conoscevamo prima e lo riconosciamo tuttora il vezzo di Moggi di millantare, insomma una specie di Direttore Generale tuttofare, tronfio ed orgoglioso del suo lavoro e della sua invidiabile posizione, un'abitudine che lo portava a dire più di quanto facesse. Chiedere a Paparesta, a meno che non sia ancora rinchiuso nello sgabuzzino e nella mente di quei giornalisti che ancora non riescono liberamente a scrivere la verità.
La segretaria della FIGC non rileva prevaricazioni moggiane
Solo cinque minuti. Tanto è durata la testimonianza della signora Fiorella Bocchini, impiegata della FIGC fin dal 2001 con mansioni di addetta alla segreteria di presidenza: ufficio in cui seguiva, e tuttora segue, sia il presidente, sia il direttore generale, nelle persone, al tempo dei fatti, il dottor Carraro e dottor Ghirelli.
L’obiettivo, nelle aspettative, era quello di dimostrare come la piovra moggiana espandesse, tramite Ghirelli, i propri tentacoli sulla giustizia federale e, nella fattispecie, sul presidente della Caf Cesare Martellino.
L’episodio oggetto del contendere era il reclamo della Juventus e il susseguente provvedimento del 13 dicembre 2004 a riguardo dei giocatori Boudianski e Zetulayev.
Alla domanda su cosa ricordasse della vicenda di cui sopra, la testimone rispondeva che trattavasi di una pratica come un’altra, in cui era coinvolta una squadra di serie A. Questo, come nella prassi, comportava una maggiore attenzione nell’iter burocratico rispetto ad altri atti, che coinvolgevano squadre di serie minori; aggiungeva, innocentemente, come facevano i “media”.
Il pm cercava di approfondire la questione, sollecitando la teste a ricordare un contatto tra il dottor Ghirelli e il professor Cesare Martellino prima dell’emissione del provvedimento. Di fronte al “non rammento” dell’interrogata, il dottor Capuano faceva ricorso alle dichiarazioni rilasciate dalla stessa, il 13 giugno 2006, ai pm Narducci e Beatrice; dichiarazioni che non facevano esattamente luce sulla vicenda: anche all’epoca, la signora Bocchini non ricordava con precisione se il contatto fosse stato telefonico o personale, ma era avvenuto comunque in data 13 dicembre, a provvedimento emesso.
Altro elemento degno di attenzione è stato il “diario di bordo”, una sorta di registro in cui venivano annotate le attività svolte e in particolare le telefonate effettuate e ricevute dal signor Ghirelli. Fra queste ne compariva una con tanto di “P” (parlato N.d.R.) a fianco, ma non è dato di sapere se si trattasse di una comunicazione in entrata o in uscita.
L’avvocato Prioreschi, unico a sostenere il controinterrogatorio, ancora una volta puntava l’attenzione su come i carabinieri avessero cercato di indirizzare le dichiarazioni dei testimoni: la teste confermava, infatti, che quando fu chiamata era rimasta sorpresa nell’apprendere che avrebbe dovuto portare con sé i diari di bordo, cartacei, e l’agenda, su supporto digitale, sebbene non rammentasse riferimenti precisi al caso.
Coppola, gli inquirenti e il teorema Juve
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- By Redazione
Ce lo chiediamo anche noi, dovrebbero chiederselo in tanti, ma partiamo dall'inizio della deposizione del teste Rosario Coppola nell'udienza del 4 dicembre nel corso del processo Calciopoli.
Ricordiamo che nel maggio 2006 Borrelli non perdeva occasione, davanti a centinaia di microfoni spianati, di dire che non c'era un "pentito", che "nessuno collabora, c'è omertà nel calcio", ed invitava chi sapeva a collaborare.
Rosario Coppola, ex assistente fino al 2002, ricorda in aula che nel maggio 2006 raccolse il grido di dolore di Borrelli e si presentò spontaneamente dai carabinieri:
"In sostanza io, di mia iniziativa, mi sono messo in contatto con i carabinieri di Roma proprio perché avevo sentito l'appello del giudice Borrelli, che aveva difficoltà a scoprire, ad entrare un attimino nel gruppo degli arbitri, cioè della mentalità degli arbitri. Perché avevo terminato da poco e, in qualche modo, dalla mia piccola e modesta posizione potevo in qualche modo dare uno spaccato di questo ambiente, di come funzionava, di come funzionava la gestione del gruppo".
Coppola, interrogato dal pm Narducci descrive un mondo arbitrale nel quale tutti, assistenti e arbitri, andavano avanti con raccomandazioni e segnalazioni tra le più varie (anche di questori e preti), tutto per ottenere più visibilità, per dirigere le partite più importanti. Descrive il potere della coppia Bergamo/Pairetto e parla di pressioni. A questo punto il pm Narducci gli chiede di entrare più nello specifico e Coppola esaudisce la richiesta affermando:
"Nello specifico, io ho portato come esempio una mia esperienza personale che era, anche oggettivamente, in qualche modo, riscontrabile. [...] Avevamo delle pressioni, a me personalmente è capitato di avere delle pressioni. Una volta c'è stato un reclamo da parte della società su quanto era stato riportato sul referto, io sono stato avvisato da uno dei designatori, Gennaro Mazzei, però, assolutamente, metto la mano sul fuoco, non era un'iniziativa sua personale. Proprio per la figura, ripeto, relativamente modesta, non avrebbe mai preso un'iniziativa del genere. Qualcuno gli ha detto di chiamarmi. Mi dice "Guarda da qui a mezz'ora, da qui ad un'ora ti chiameranno da Milano, dove c'è la Commissione Giudicatrice, di Appello, e ti chiederanno se effettivamente quanto riportato sul rapporto risponde a verità, oppure se devi aggiungere qualche correzione. Mi raccomando, questo giocatore ha preso due giornate di squalifica, di conseguenza cerca un attimino di... ".
Il pm Narducci chiede di che partita si trattasse e Coppola risponde: "Era Inter-Venezia, c'era stata una violenza consumata, un cazzotto, da parte di Cordoba. automaticamente gli davano una giornata di squalifica, per il fatto che l'azione era dall'altra parte del campo c'era l'aggravante di un'altra giornata di squalifica, per cui questo giocatore ne aveva avute due. Ebbi questa sollecitazione di intervenire affinché dicessi che non era un cazzotto, si stava svincolando, stava cercando di allentare la presa di Bettarini, era Bettarini l'altro giocatore. Fatto sta che, guarda caso, dopo una mezz'oretta fui chiamato da Milano, registrarono, c'è la registrazione della telefonata, perché funziona in questo modo, e mi fecero questa richiesta "Ma sa, la società dice che c'è stato uno strattonamento, non è proprio una vera violenza...". Io, da arbitro, riconfermai tutto, avevo visto tutto per bene. Ecco, da quel momento, io non ho fatto più la serie A".
Il pm Narducci non si dimostra molto interessato ad approfondire la notizia di reato portata alla luce da Coppola, e prosegue seguendo il suo filo conduttore, con domande su altri imputati che potete leggere nella trascrizione integrale in PDF sul nostro sito (cliccare per leggerla).
Fermiamoci un attimo, perché di quanto ha detto Coppola sui fatti riferibili all'Inter non c'è traccia nel verbale redatto dai carabinieri. Eppure avrebbe dovuto esserci, perché si tratta di una notizia di reato che andava quantomeno trascritta, riportata sul verbale, e sulla quale, come affermato da Coppola, era facile fare delle verifiche.
Se ai carabinieri non interessava, e a Narducci neppure in fase dibattimentale, chi si dimostra addirittura infastidito dalla notizia è l'avvocato Vigoriti. Qui vale la pena riportare la trascrizione integrale del suo controesame:
Avv. Vigoriti: Avvocato Vigoriti delle Amministrazioni Statali costituite parti civili. Solo una precisazione, non ricordo se Lei ha precisato a proposito di quell'episodio della pressione fatta su di Lei per cambiare la sua versione di quel fatto. Lei ha detto che è stato chiamato telefonicamente da Milano... non ricordo se ha detto da chi...
Coppola: Sì, sì, da Gennaro Mazzei che era il nostro referente, che faceva parte della Commissione, sì.
Avv. Vigoriti: Senta ma, come mai di questo episodio non troviamo menzione nelle dichiarazioni che Lei ha reso a suo tempo...
Coppola: Per un motivo molto semplice, ringrazio anche a Lei per avermi fatto questa domanda. Quando incontrai i carabinieri, su mia richiesta d'altronde, questo episodio andava a toccare una società come l'Inter che, non lo so, provai da parte dei carabinieri in modo sbrigativo ma assolutamente, come dire ... l'argomento non gli interessava
Avv. Vigoriti: Non interessava a chi, ai carabinieri?
Coppola: Ai carabinieri. Mi fu detto "A noi non risulta che l'Inter facesse pressioni, non abbiamo registrazioni..."
Avv. Vigoriti: Chi le ha detto questo? I carabinieri?
Coppola: Il capo, ora il nome..
Avv. Vigoriti: No, no, a prescindere dal nome.
Coppola: Sì, sì, i carabinieri. Non trova, addirittura, menzione nel rapporto...
Avv. Vigoriti: Allora mi faccia capire. Lei aveva intenzione di riferirlo e Le è stato impedito?
Coppola: E' stata la prima cosa che io ho riferito, dopodiché la discussione è slittata su altre cose.
Avv. Vigoriti: E' slittata?
Coppola: E' slittata su altre domande, cioè "Lei conosce questo, è possibile che gli assistenti sapessero..."
Presidente Casoria: Avvocato, però ha chiarito che i carabinieri gli hanno detto che siccome non risulta dalle intercettazioni...
Coppola: "Non è un argomento di discussione, non è un argomento di discussione perché non ci interessa"
Presidente Casoria: Lo hanno bloccato, ha spiegato, hanno detto "A noi non ci risulta, non ci interessa"
Avv. Vigoriti: Sì Presidente, però, se non interessava allora non dovrebbe interessare neanche adesso...
Preseidente Casoria: Ho capito ma non è che ...
NOTA: si sente sghignazzare in aula, con un accentuato mormorio e la voce di un Prioreschi alterato.
Avv. Prioreschi: Che vogliamo fare? Le domande che non piacciono le vogliamo cancellare?
Avv. Vigoriti: Io ho fatto semplicemente delle domande...
Presidente Casoria: Devo imbavagliare il teste? Mi dica. Il pubblico ministero gli ha fatto la domanda e lui ha risposto, non ho capito! Questa circostanza è emersa in base a una domanda che ha fatto il pubblico ministero.
Avv. Vigoriti: Invece pare che non fosse interessante nel corso delle indagini preliminari, a giudizio della polizia giudiziaria, questa è la mia perplessità.
NOTA: caciara in aula e toni concitati.
Presidente Casoria: Avvocato, siamo al dibattimento, mo' vale quello che si dice qui, ha più importanza di quel che si è detto. Ha spiegato che cosa gli hanno detto i carabinieri.
Avv. Vigoriti: Sono trent'anni che faccio questo mestiere, quindi lo so bene. Era una mia perplessità.
Presidente Casoria: Ma ha risposto ad una domanda del pubblico ministero, non possiamo cancellare.
Avv. Vigoriti: Ma io non voglio cancellare niente, ho fatto la domanda, mi ha risposto che i carabinieri non l'hanno voluto sentire: adesso, viceversa, è interessante...
Presidente Casoria: Testimone, Lei conferma questo fatto, Lei ha detto, "Inter-Venezia, questo non ci risulta"
Coppola: E' il motivo per cui io sono andato
Presidente Casoria: Ah! Lei è andato proprio per questo. Benissimo, andiamo avanti, ha chiarito
Coppola: Posso spiegare .. io sono andato lì come arbitro, a me non interessava una società o l'altra. Sono andato a portare la mia piccola esperienza che riguardava una società che, del resto, sembra che non c'entrasse nulla. Ad un certo punto mi è stato detto "No, no ci interessa che parli di questo, se vogliamo parliamo di queste altre società", questo mi è stato detto.
Presidente Casoria: Abbiamo chiarito il punto.
Avv. Vigoriti: Sì, sì, molto chiaro.
Coppola: Sulla stessa partita, per esempio, nell'intervallo io ho avuto la visita del presidente Facchetti negli spogliatoi, sempre sullo stesso argomento. Cosa che si parla di altre persone ma non si parla di...
Avv. Vigoriti: Credo di aver capito
Coppola: E' abbastanza chiaro il discorso, mi sono presentato per dire questi fatti, che poi riguardasse l'Inter è un caso, se riguardava un'altra società sarebbe stato lo stesso
E sono tre. Tre gli episodi, di cui siamo a conoscenza, nei quali emerge che Facchetti si recava negli spogliatoi nell'intervallo: Chievo-Inter 2-1 (inibito dal 18 febbraio al 2 marzo 2003), Udinese-Inter del 2003/04 e, per ultimo durante l'intervallo di Inter-Venezia descritto da Coppola. Eppure i giornali italiani raccontano ancora la leggenda metropolitana di Moggi che entrava negli spogliatoi, cosa che faceva, perché lecita, a fine partita e non nell'intervallo.
Lasciando stare i "santi", il controesame di Vigoriti affonda il dito nella piaga: ai carabinieri non interessava che Coppola parlasse di fatti legati all'Inter.
Ma che modo è di condurre un'indagine? Come si fa a non riportare una notizia di reato in un verbale? Eppure di uomini e mezzi per fare una facile verifica ne avevano, erano "I magnifici 12 della squadra Offside", secondo un articolo di Repubblica ripreso in un nostro articolo. Ben dodici carabinieri sulle tracce di Moggi e compagni, roba da far invidia al Capitano Ultimo che indagava su ben altri delinquenti.
Altri particolari vengono portati alla luce dal controesame, sempre per le parti civili, dell'avvocato Catalanotti, che riportiamo integralmente:
Avv. Catalanotti: Avvocato Catalanotti per il Brescia Calcio. Se il teste ricorda chi partecipò all'esame, se ci fosse un ufficiale, un sottufficiale e il nome in particolare.
Coppola: No, erano dei nomi di copertura, questo lo dò per certo perché si presentarono con un nome però, poi, quando firmai il verbale vidi che c'erano dei nomi diversi. Più di questo non so.
Avv. Catalanotti: Lei rilesse il verbale prima di sottoscriverlo?
Coppola: Sì, sì, certo
Avv. Catalanotti: E non fece osservare agli ufficiali di polizia giudiziaria che la circostanza relativa all'Inter non era verbalizzata, e non chiese il perché di questa omissione?
Coppola: E' vero, ci ho pensato dopo, ma dal momento in cui non interessava l'argomento non ebbi motivo di sottolineare la cosa. Dopo un'ora e mezza...
NOTA: Si sente la voce di un difensore, in sottofondo: Un'ora e mezza?
Coppola: Un'ora e mezza, sì.
Avv. Catalanotti: Scusi Presidente, il teste, se ho ben capito, nella premessa, nella introduzione dell'esame testimoniale, ha precisato che si era spontaneamente...
Presidente Casoria: "Motu proprio", sì.
.Avv. Catalanotti: "Motu proprio" presentato accogliendo un invito del dottor Borrelli. Quindi, se ho ben capito, l'accesso del teste all'indagine era in funzione di aprire un riflettore, di far chiarezza... semplicemente, all'obiezione "Ma noi dell'Inter non vogliamo sapere nulla", Lei non ha obiettato dicendo "Ma io sono qui per parlare delle cose che non andavano bene nel calcio, delle malefatte, non soltanto della Juventus"? Scusi eh!
Avv. Prioreschi: Ma la Juventus chi l'ha nominata? Ma che c'entra la Juventus?
Avv. Catalanotti: Vorrei sentire la risposta...
Avv. Prioreschi: Ma Lei gli mette in bocca la Juventus, ma che modi sono?
Avv. Catalanotti: Un'altra squadra qualsiasi coinvolta nel processo, scusate...
NOTA: gran rumore in sottofondo e vibrate proteste di Prioreschi, con voci accavallate.
Presidente Casoria: Comunque ripetiamo, dice "Lei perché poi non ha insistito a dire qua si deve mettere l'Inter..."
Coppola: Ripeto, qui stiamo facendo dei nomi di società, ma io non ero andato lì per accusare l'Inter, ero andato per accusare il sistema creato dai designatori al riguardo, cioè, o tu facevi quello che ti dicevano loro, oppure eri tagliato fuori, portando come esempio mio personale. Sfortuna (o fortuna, non si comprende bene ndr) ha voluto che riguardasse l'Inter.
Presidente Casoria: Quindi Lei non aveva fatti da portare di altre società? O ha portato anche altre società?
Coppola: L'esempio palese è quello che Le ho detto, di aver ricevuto, poi, due giorni dopo, le pressioni affinché io cancellassi qualcosa del referto fatto in campo. La cosa riguardava l'Inter, poteva riguardare il Venezia, la Juventus, o chicchessia. Ho avuto queste pressioni, pressioni che hanno sempre subìto anche gli altri colleghi, e chi ha la possibilità di verificare sui giornali si renderà conto di quante volte ci sono stati questi ravvedimenti miracolosi da parte degli assistenti, degli arbitri, che la domenica vedevano una cosa e, guarda caso, il martedì dopo si ricordavano di aver sbagliato qualcosa, era una prassi.
Presidente Casoria: Va bene, ci sono altre domande?
Coppola: Poi lasciamo stare il discorso... se loro mi hanno detto così, io... erano i primi tempi, probabilmente loro parlavano di, non avevano le intercettazioni, le telefonate .. "ma questo non ci interessa..."
Avv. Catalanotti: 20 maggio 2006.
Presidente Casoria: Lei prima ha detto "Non ci risulta dalle intercettazioni".
Coppola: Sì, sì, mi dissero così.
L'avvocato Catalanotti poteva fare il nome di qualsiasi altra squadra però, guarda caso, infila nella domanda solo la Juventus. Sarà scattato lo stesso meccanismo anche nella mente dei carabinieri che ascoltarono Coppola? Dalle risultanze dell'udienza sembrerebbe proprio di sì. E tocca all'avvocato di Moggi difendere la Juventus, oltre ad affermare che, secondo lui, questa è la conferma che le indagini si svolsero a senso unico, che furono verbalizzate "sensazioni ed impressioni", cosa che non doveva essere fatta. (guarda il video).
Chi erano i carabinieri che verbalizzarono la testimonianza di Coppola? Ne chiede conferma l'avvocato Prioreschi:
Avv. Prioreschi: Sono l'avvocato Prioreschi, difesa Moggi. Era solo per avere conferma: Lei è stato, risulta dal suo verbale, che è stato sentito dal maggiore dei carabinieri Attilio Auricchio e dal maresciallo capo Di Laroni Michele. Si ricorda che erano due le persone che l'hanno...
Coppola: forse erano tre però due assistettero, sì l'altro era fuori... però i nomi...
Avv. Prioreschi: No vabbè, risultano dal verbale, grazie.
Chiudiamo riportando alcuni passi di un articolo di Oliviero Beha per www.ilfattoquotidiano.it:
"A Napoli nel processo collegato allo scandalo spunta l’Inter. [...] Ma, udite udite, i carabinieri gli spiegarono che "non essendoci intercettazioni che riguardassero l’Inter", non avrebbero neppure verbalizzato. E infatti non verbalizzarono. Ora la cosa più interessante sembra proprio questa, essendo ovviamente prescritto tutto quanto dopo 8 anni dalla giustizia ordinaria e a maggior ragione dalla frizzante e istantanea giustizia sportiva. Per Coppola, niente verbalizzazione con una motivazione almeno inquietante. Un mese fa circa per Manfredi Martino, segretario della Commissione Arbitri Nazionale (Can), un’altra deposizione a Napoli in cui non tornava quello che diceva in aula con le dichiarazioni rese ai carabinieri nel 2006. Allora, secondo il teste, "forse non verbalizzarono", non ricordava bene perché. E un altro teste, di nuovo un segnalinee come Coppola, ma più recente, dei giorni nostri, tal Babini in stretto contatto telefonico intercettato con Meani uomo di Galliani, parlando di chi entrava negli spogliatoi come Moggi, e la Sensi e una pletora di dirigenti, pessimocostumeepperògeneralizzato, in un’udienza di qualche tempo fa di nuovo si riferì a sue dichiarazioni ai carabinieri non verbalizzate. Mi sbaglierò, ma se il fatto si ripete così spesso forse qualche gatta ci cova, e di colore diverso dal bianconero. Anche perché, rivelazione delle rivelazioni, quello che i media non riportano, o comunque non sottolineano minimamente, è che questi tre testi, come tutti gli altri finora, sono testi chiamati dall’accusa, dai pubblici ministeri, tesi a dimostrare la grande truffa di Moggi e company in Calciopoli (dopo il proscioglimento dei soli Carraro e Ghirelli nel plotone di rinviati a giudizio). A sì, testi dell’accusa? E per di più con dichiarazioni non verbalizzate dai carabinieri o almeno da "quei" carabinieri? Parrebbe una vicenda orientata in partenza, con una "discarica" di rifiuti cui conferire tutto il marcio del pallone italiota, ovverosia la discarica-Moggi."
Video delle dichiarazioni di Beha al TG3 del 6 dicembre 2009: clicca per vedere.
La coesistenza competitiva: racconta Babini
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- By inunmondoche
L'interrogatorio di Fabrizio Babini, l'ex guardalinee romagnolo coinvolto nel processo sportivo di Calciopoli per i suoi rapporti con l'addetto agli arbitri rossonero Leonardo Meani, e qui nei panni del testimone, ripete uno schema già osservato durante l'interrogatorio dell'assistente Copelli, altro guardalinee della "batteria" degli amici di Meani.
Il pubblico ministero interroga il testimone per comprendere se le chiacchiere scambiate con l'amico Meani, in cui spesso e volentieri si maligna sul potere della Juventus e del suo manager Luciano Moggi, abbiano reale fondamento oppure, come già per Copelli, siano da derubricarsi a "sparate" tra amici.
Il compito di interrogare il testimone sulle possibili implicazioni del legame con il Meani spetta invece ai legali di Moggi, intenti a dimostrare la liceità e la diffusione di molti dei comportamenti ascritti all'ex direttore sportivo della Juventus, oltre al carattere fortemente competitivo dell'ambiente in cui i dirigenti sportivi e gli arbitri operavano.
Babini è personaggio loquace e innegabilmente simpatico che, senza tentennamenti, racconta le meccaniche della propria associazione, secondo il suo punto di vista.
Uno sbadiglio di troppo
L'amicizia con Leonardo Meani è rivendicata come ventennale e cementata dai pasti consumati al ristorante lodigiano del Leo durante le trasferte lombarde.
Sei anni da internazionale, undici in CAN A e B, raccontano una carriera tutto sommato coronata da buon successo. Con un neo: dal novembre 1999 (Juventus-Milan 3-1) mai più gli toccò in sorte la Juventus in campionato. Il guardalinee forlivese, però, ammette di essere stato designato addirittura per una finale dei bianconeri, quella di Coppa Italia del 2002 contro il Parma.
Durante il suo ultimo anno di carriera, la stagione oggetto di indagini, decide, secondo le sue parole, di togliersi la curiosità e domandare al responsabile degli assistenti Gennaro Mazzei il motivo della sua esclusione dalle partite della Juventus. La risposta di Mazzei è, nella sua opinione, secca e precisa: "Per la Juventus devi chiedere a Pairetto".
Interessante il fatto che Mazzei considerasse Pairetto il referente della Juventus, nonostante, come desumibile da molte telefonate, e in particolare dai resoconti dell'incontro al Divino Amore tra la Fazi e Bergamo, la fiducia dei dirigenti juventini nell'amicizia di Pairetto fosse decisamente malriposta.
Babini riteneva, al tempo, la vicinanza di Pairetto alla Juve equivoca, in quanto in occasione delle partite di Champions League della Juventus, era solito andare a vedere la partita con la famiglia in tribuna d'onore. Insomma, al riparo dagli sguardi indiscreti, con centinaia di telecamere a riprenderlo.
Babini mostra un certo rancore nei confronti del designatore piemontese, allorché ricorda la sua esposizione al pubblico ludibrio, durante una delle consuete riunioni professionali, per essere stato ripreso dalle telecamere a sbadigliare durante un posticipo. Un affronto insopportabile e irrispettoso della sua lunga carriera da parte di Pairetto, secondo il romagnolo, e che portò anche a un'esclusione per 4 turni.
"Capitava l'esatto opposto"
Sul metodo di selezione, tiene a precisare che, insieme a Contini, Puglisi e qualche altro - nomi corrispondenti casualmente ai guardalinee amici del Leo -, si riteneva assistente dall'ottimo rendimento e benvoluto da molte squadre, ma non dalla Juve, spesso impiegato per delicate sfide salvezza e altre partite "difficili", insomma, ma che non coinvolgevano i bianconeri. Riteneva invece graditi alla Juventus Consolo, Mitro, Griselli e Calcagno, tutti guardalinee di cui è però costretto ad ammettere l'assoluta bravura e professionalità.
Controinterrogato dall'avvocato Trofino, finirà per ammettere che, data la per lui inesplicabile esclusione dai match della Juve, in lui sorse una certa antijuventinità ("uno lo diventa anche se non lo è"), viva quindi nella stagione oggetto delle indagini. Ammette con sincerità anche che i designatori ne erano probabilmente al corrente, giustificando indirettamente la loro scelta di escluderlo nelle partite della stagione 2004/2005.
Dossieraggio? No, curiosità
Ingressi dei dirigenti negli spogliatoi: nulla di strano, saluti e cordialità, c'è chi lo faceva prima come Moratti, scaramantico, chi dopo come Sensi, che si lamentava sempre quando perdeva. Lo faceva, negli stessi termini, anche Moggi, accompagnato da un uomo identificato come "Il Fornaio" e così noto, secondo il Babini, nell'ambiente.
Viene fatta ascoltare quindi una telefonata tra Meani e Babini, in cui, per l'appunto, si maligna su colleghi vicini alla Juventus. Meani, inoltre, chiede il suo aiuto per mettere in relazione arbitri e ammonizioni preventive: in evidenza si mette il comportamento di Bertini, definito diabolico.
Dossieraggio? No, dice il Babini, reperivo questi dati su internet, pubblici per tutti; era una sua curiosità, sostiene, e non una statistica per un dirigente. Nega la relazione tra alcuni arbitri ritenuti "juventini" e ammonizioni preventive: dallo studio effettuato da lui, a volte capitava l'esatto opposto.
Ridimensiona, inoltre, con sicurezza le maldicenze su Bertini: non voleva intendere nulla di male.
"Se uno viene tagliato fuori, rimane poco a galleggiare"
Così riassume mirabilmente le meccaniche interne all'AIA, dove in molti cercano un riferimento esterno, nei dirigenti delle società, per indirizzare al meglio la propria carriera e proteggersi dai molti nemici. E' un mondo, quello arbitrale, dove la concorrenza è spietata, la delazione un metodo diffuso di screditamento e si deve stare attenti ad ogni parola e davanti a chi la si dice.
E' un mondo, si desume, dove accuse e maldicenze spesso sono inventate per carrierismo e un vaso di terracotta non si vuol trovar costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro.
Prioreschi incalza il testimone: risponde Babini che i rapporti con gli ufficiali di gara erano consentiti e in quel mondo del calcio assolutamente normali. Ma non si faceva niente di male, aggiunge.
Consolo, Mitro e Griselli erano vicini alla Juve? No, precisa, la facevano spesso, tutto qua.
E gli assistenti graditi al Milan? Il Milan gradiva gli assistenti bravi. Ma anche Consolo, Mitro e Griselli lo erano? Certo... Poi tende a correggersi: Meani preferiva Stagnoli, Puglisi (che, sì, era un tifoso del Milan) e lo stesso Babini, anche per i rapporti amichevoli e le guasconate che combinavano insieme. Figurarsi, dice Babini, che una volta abbiamo rinchiuso Gattuso nel bagno mentre sosteneva l'esame antidoping... Goliardia, insomma.
Ed è credibile, ci mancherebbe. Ma come mai allora delle presuntissime telefonate, di cui mai si conoscerà il contenuto, dovrebbero fornire la base per un'accusa di associazione a delinquere?
Milan-Chievo
Breve passaggio su Milan-Chievo, partita che costò una squalifica sportiva per 3 mesi al Babini, per omessa denuncia, e fu considerata un illecito dalla giustizia sportiva. La famosa partita in cui Meani consiglia di stare su da una parte e rimaner giù dall'altra. Babini non ci sta, mentre Puglisi, secondo la giustizia sportiva, sì. Prioreschi contesta al Babini, che ha appena sostenuto che "arbitrare il Milan è sempre un piacere", il grave disagio e imbarazzo provato quella volta, come risulta dalle intercettazioni.
Effettivamente, rileggendo le intercettazioni, mentre il Meani si compiaceva di avere ottenuto designazioni a lui gradite (Paparesta arbitro - Babini e Puglisi assistenti), il Babini dice che "bisognerebbe rifiutarla quella partita lì", mostrando tutto il suo imbarazzo per la spiacevole situazione, secondo lui di pubblico dominio. Babini ha infatti arbitrato la sua ultima partita proprio con il Chievo (contro l'Atalanta) e il fatto che ritorni ancora contro la squadra scaligera, e per di più in compagnia del Puglisi, noto per le sue simpatie, gli sembra un oltraggio al pudore.
Ricorda però di aver arbitrato con correttezza, sbandierando un fuorigioco contestatissimo a Crespo, non ricevendo alcuna rampogna del Meani.
Il tavolo di Collina
Interrogato dall'avvocato di Meani, ricorda alcune delle amicizie del ristoratore lodigiano, tra cui l'attuale designatore Collina e, in genere, gli arbitri che gravitavano attorno a lui.
C'era molta confidenza - non una setta, tiene a spiegare - tra gli assistenti facenti parte del cosiddetto "tavolo di Collina" a Sportilia. Allo stesso desco, utile se non altro per capire le attuali simpatie del designatore, stavano, nel tempo, Collina, Treossi, Tombolini, Morganti, Puglisi, Contini, Babini, Galvani, Bazzoli, e il celebre Ceccarini.
Ricorda anche l'ottimo rapporto tra Meani e l'ex presidente dell'Inter Giacinto Facchetti, un'amicizia coltivata assiduamente, tanto che i due giocavano a tennis ogni settimana, una volta anche alla sua presenza. Cita una statistica, sua passione evidentemente, relativa alla stagione 2003/2004, che per la verità non appare molto significativa. Ventotto i guardalinee con più di 10 presenze: 17 di questi arbitrano la Juve, 22 il Milan e 24 l'Inter. Una distanza certo non siderale.
Conclude un po' amaro e risentito verso il niet della Juve, che ha per altro ampiamente giustificato nel controesame, ma appassionato nel ricordare i bei giorni in cui arbitrava.
Una testimonianza utile che, ancora una volta, e anticipando la clamorosa svolta di Coppola, racconta l'ambiente arbitrale per quello che era: non certo asservito a una Cupola, ma ricettivo a tanti stimoli quante le squadre di potere erano.