La bacchetta magica di Andrea

Andrea AgnelliPrima la verità su Calciopoli, poi una squadra di fuoriclasse per tornare a vincere sul campo. Come dire: prima riprendiamoci i due scudetti sottratti dalla giustizia sportiva e poi andiamoci a prendere la terza stella. Il popolo juventino è da sempre esigente perché abituato bene, ma oggi sembra pure travolto da una frenesia da astinenza tipica di chi da troppo tempo non prova un orgasmo da vittoria vera. Da tre mesi c’è stata la tanto auspicata svolta societaria con Andrea Agnelli che ha assunto la presidenza della società, come ogni juventino probabilmente auspicava da quel 7 maggio 2006. Qualcuno se la ricorda questa data? Era il giorno di Juventus-Palermo, penultima di campionato. Nei giorni precedenti alla partita i giornali avevano pubblicato i primi stralci delle intercettazioni che avrebbero travolto la società bianconera e i suoi dirigenti. Non c’era nulla di più di qualche articolo di giornale e un processo sportivo tutto da venire, ma quella fu una giornata a suo modo storica, perché la condanna alla Juventus della Triade arrivò nientepopodimeno che da John Elkann che scaricò la dirigenza nella palude farsopolesca con la tranciante espressione: “Siamo vicini alla squadra e all’allenatore”. Mentre il nipote dell’Avvocato lasciava al proprio destino Moggi, Giraudo e il giocattolo di famiglia, dov’era suo cugino Andrea? Il figlio di Umberto Agnelli era in campo, lui sì vicino alla squadra e all’allenatore, ma soprattutto a quei dirigenti fortissimamente voluti da papà Umberto.

Sono trascorsi quattro anni, in cui la Newventus è ripartita dal basso in ossequio all’harakiri proclamato dal giovane Jaki. Quattro anni per vivacchiare sugli scampoli di qualità offerti dai resti di una squadra fortissima, quattro anni per non costruire nulla se non uno stadio di cui Blanc ha raccolto il testimone, percorrendo gli ultimi passi di un percorso già tracciato da chi lo aveva preceduto. Il progetto tecnico è invece addirittura abortito, consegnando alla Juventus di Andrea Agnelli una squadra, anzi una società, totalmente da rifondare. Una società rasa al suolo dal quinquennale projecto, così fallimentare che probabilmente la svolta societaria ha subito un’accelerazione per evitare che le cose precipitassero ulteriormente. La Juventus sta ripartendo dall’anno zero, si tratta di un’amara constatazione che però non va taciuta davanti a chi sembra dimenticarsene. Nuovi i quadri societari, nuovo il progetto tecnico, nuova la maggior parte dei giocatori. E’ a tutti gli effetti un cantiere aperto che sta ricostruendo in fretta le fondamenta: ecco cos’è la società cui i tifosi chiedono di fare la voce grossa su Calciopoli e acquistare Dzeko al Calciomercato. Ma quali effetti avrebbe fare oggi la voce grossa su Calciopoli in assenza di una sentenza favorevole del processo ordinario che si sta svolgendo a Napoli, se non l’inutile alimentare chiacchiere da spiaggia? Già la società ha richiesto un trattamento equo per chi è stato coinvolto in tempi diversi in intercettazioni disdicevoli. In assenza di risposte concrete dovrebbe arrivare ora un secondo passo più pesante, che la Juventus dovrebbe compiere per chiedere ragione alla FIGC di tanta difformità di giudizio. 



Da qui all’impegno assunto subito da Andrea Agnelli di portare la Juventus sempre più lontana dall’orbita Exor fino a rendersi autonoma. Un obiettivo ambizioso di una presidenza che ha da subito dimostrato di voler portare la società fuori da certe alchimie societarie che certo non hanno giovato alla Juventus nella fatidica estate di Calciopoli. Ma ora la priorità non può che essere quella di ricostruire una squadra con l’handicap decisivo di non poter puntare a un semplice innesto di un paio di fuoriclasse. C’è mezza rosa già arrivata o che sta arrivando per dar vita a una nuova Juventus ripartita dai preliminari di Europa League, in cui una dirigenza profondamente inadeguata l’ha ridotta. Allo stesso tempo c’é da far cambiare aria a giocatori acquistati al prezzo di campioni e svendibili a prezzo di saldo. C’è un grande bisogno di pazienza per ricostruire, anche se l’accelerazione che si è data la società è di fatto notevole, nonostante i lavori siano ancora in corso. Del resto anche la Juventus di un giovanissimo presidente come Umberto Agnelli il primo anno si riorganizzò a livello societario e poi, con gli arrivi di Sivori e Charles, diede vita al ciclo di vittorie che caratterizzò la Juventus. Se la storia mai ci deve insegnare qualcosa, è che la prima vittoria da conseguire è tornare a pensare da Juventus secondo un Dna inopinatamente smarrito in quattro anni di gestione non all’altezza. Si tratta di un passaggio fondamentale per riprendere il filo di una storia interrotta bruscamente quattro anni fa. Un filo che ha bisogno di essere annodato con molta cura e attenzione, senza aspettarsi chissà quali magie, ma serietà, capacità, programmazione e una grande determinazione. Nessuno ha la bacchetta magica ma, se la Juve tornasse ad essere Juve, allora già sarebbe possibile ricominciare a sognare.