C'eravamo tanto amati

Moratti Tronchetti"F.C. Internazionale ha comunicato al signor Roberto Mancini il suo esonero dall'incarico di allenatore responsabile della prima squadra, in particolare in ragione delle dichiarazioni rese dal tecnico all'esito dell'incontro Inter-Liverpool dello scorso 11 marzo 2008, di quanto ne è seguito, sino ai fatti più recentemente emersi nelle cronache giornalistiche."

Ora è davvero ufficiale, è proprio finita.
Una passione che ha radici profonde, stasera si conclude con un divorzio traumatico.
Era nell’aria, se ne parlava da tempo, ma nessuno aveva il coraggio di fare il primo passo, di fare la figura del fedifrago.
Alla fine tocca a colui che per anni ha recitato la parte del disperato corteggiatore deluso scoprire che l’amato e desiderato alla fine altro non era che un capriccio.
Gradevole, stuzzicante, di bell’aspetto e raffinato look, ma pur sempre un capriccio.
Una storia iniziata con l’ingresso del petroliere ecologista nel mondo nel quale il padre aveva costruito la propria immagine pubblica, quando l’allora neopresidente interista sbandierava ai quattro venti i nomi dei papabili degni di far parte del progetto Inter, nelle intenzioni una corazzata stellare destinata a dominare l’Universo calcistico.
Erano gli ultimi anni doriani del Mancio che mandava in sollucchero il presidentissimo nerazzurro con dichiarazioni di stima rivolte ai modi gentili, onesti e garbati che trasmetteva naturalmente una così nobile persona.
E Moratti ricambiava cercando di acquistare Robertino che però preferì l’offerta di Cragnotti e una Lazio poi rivelatasi la più vincente della storia,al deprimente oblio nerazzurro.
Ma il destino, si sa, tesse strane trame.
E fu così che Il Mancio, smessi i panni da calciatore, si sedette sulla panchina della Fiorentina di Cecchi Gori pur senza possederne i requisiti. Non aveva il patentino da allenatore il Mancio, ma cosa volete che potesse contare, con le amicizie giuste ogni deroga è possibile. E a Roma si diceva che il Mancio fosse nelle grazie di Geronzi.
Sappiamo come finì la Fiorentina del buon Vittorio, pur vincendo la Coppa Italia, riserva di caccia privilegiato per Mancini, un trofeo considerrato minore ma che l’innamorato Massimo non aveva mai vinto, fino a quel momento, nonostante la grandeur manifestata a parole e a colpi di portafoglio.
E la stima rimaneva, nonostante gli intrallazzi di Robertino con quella presunta organizzazione di malaffare che era la GEA, intrallazzi che lo portarono dritto alla panchina della Lazio dell’ancora per poco presidente Sergio Cragnotti.
E dopo l’ennesima Coppa Italia (vinta contro il nemico storico di entrambi, la Juventus), una serie di "consigli", per altri incriminanti, per lui assolutamente leciti (Stam: "Mancini voleva spingermi all’Inter invece che al Milan"), finalmente l’amore trionfa.
Robertino approda a Milano, sponda nerazzurra, non da protagonista in campo ma come leader in panchina. Peccato lo faccia nonostante il presidente Facchetti confermi a più riprese l’allora tecnico Zaccheroni.
E’ Moratti a seguire il cuore e a portare l’amato alla sua corte.
Un film già visto in questi giorni con i protagonisti a ruoli invertiti ma anche in un meno recente passato.
Si ricorderà quando la Juve gestita da quei brutti e cattivi della Triade diede il benservito ad Ancelotti, reo di aver perso due scudetti consecutivi (gli anni dell’acquitrino di Perugia e del Nakata formato "liberi tutti!") a favore del ritorno di Lippi.
Si scatenarono le faide dei moralisti secondo le quali era riprovevole la decisione presa dalla società bianconera, visto che Ancelotti era in possesso di regolare contratto, appena rinnovato.
Nel caso della staffetta Zaccheroni-Mancini, invece, entusiasmo alle stelle: Mancini è l’uomo della svolta.
Nessuno meglio di lui incarnava il tipico piagnisteo nerazzurro: basti per tutte una vecchia frase ai tempi in cui si divertiva a polemizzare con Capello, allenatore della squadra rivale cittadina e coinvolto in quanto rappresentante del consolidato duopolio Juve-Milan : "Gli unici scudetti seri degli ultimi 15 anni sono quelli vinti dalla Samp e dalla Lazio". Dove, guardacaso, giocava lui…
Con simili credenziali, inizia la stagione 2004/05.
Il presidente galantuomo è raggiante, il gioco è spumeggiante e i risultati si vedono subito…
Prima di diventare l”Uomo che vince sempre” Mancini è stato "Mister X": la sua squadra sembra la fotocopia del Perugia imbattuto del 1978/79, non vince praticamente mai e non perde mai.
Semplicemente pareggia. Verso la fine della stagione anche le similitudini con la storica squadra di Castagner terminano: l’Inter perde qualche partita e dall’Europa esce con i cugini, nella sera in cui i tifosi intersiti mostrano miglior mira dei loro attaccanti centrando ripetutamente Dida con un preciso lancio di festosi e amichevoli petardi.
Però l’Inter vince la Coppa Italia e Moratti gongola come un invasato. Godrà ancora di più quando il caro Roberto porterà la sua squadra a vincere in casa della Juventus (il MALE) una Supercoppa arbitrata dall’arbitro "cupolaro" per antonomasia che, evidentemente sbadato, non si accorge di favorire le vittime di sempre.
Ma la vittoria è sacrosanta, DEVE essere riconosciuta come tale. E così accade.
Inizia la nuova stagione, quella del grande riscatto, quella delle frasi sibilline indirizzate al Nemico bianconero che si concluderà con un nulla di fatto sul campo nelle solite due manifestazioni più importanti (schiaffi da Juve e Milan in campionato e perla europea a Villarreal), ma ancora la solita Coppa Italia fa dell’Inter la squadra che ha alzato più trofei in stagione.
Ed è un motivo di gran vanto. Peccato che intanto qualcosa si sia rotto.
Massimo l’Onesto è volubile, focoso, si stufa presto dei suoi amori, li desidera ma quando li raggiunge li consuma in fretta.
E la sua perversione lo porta a flirtare con il timoniere della corazzata nemica, quel Don Fabio che ha stuzzicato in lui appetiti che Mancio ormai non sollecita più.
Ma esplode Calciopoli, Massimo si cuce uno scudetto altrui e Mancio pure. Le "corna" vengono rese di dominio pubblico ma ci si passa sopra sfogandosi sulla carcassa del Nemico, e poi c’è un altro scudetto pronto da cucire, confezionato su misura da circostanze che definire semplicemente favorevoli fa sorridere.
Sembra passata la crisi. Ora il panorama nerazzurro somiglia davvero all’Eden, perché dopo il secondo scudetto cucitosi addosso, Massimo ricopre il suo gioiello (e relativo staff) sotto una montagna di milioni per tanti anni.
Ma c’è un tarlo, qualcosa nel matrimonio non funziona. E’ la cronica riluttanza di Roberto a mostrarsi in abito di gala nelle serate europee. Dove Massimo è costretto a stare in casa o al limite ad uscire da solo mentre gli altri (specie i vicini di casa) si divertono come pazzi.
E questa voglia di uscire a far baldoria lo porta a pensare di essere incompatibile quando (a scudetto quasi conquistato già a febbraio) è costretto a rinunciare anche per quest’anno al galà di fine maggio.
Succede in due serate di tardo inverno, quando gli energumeni di Benitez ("uhm…non molto carino…’sto qui…ma che due palle ha!") asfaltano i sogni di tutto il popolo bauscia, col Mancio che annuncia in conferenza post-gara che "questi prossimi mesi saranno gli ultimi per me alla guida dell’Inter", si dice a causa di una scenata di Massimo nello spogliatoio interista, davanti ai soldatini, ai maggiordomi e ai giardinieri.
Nonostante le smentite dei giorni successivi, da quel momento è crollo verticale. Di gioco, di risultati,di rapporti tra tutte le componenti. Gli amanti si parlano poco e quando lo fanno gli occhi non luccicano più come un tempo.
Fino alle intercettazioni che coinvolgono il Mancio e alcuni giocatori aventi oggetto rapporti con pregiudicati, "messe in giro in modo vergognoso da gentaglia per screditare l’immagine di una società leale" disse l’amico fedele di Massimo, il virgineo Marco. E Moratti che lascia solo la sua ormai ex passione, offrendo solidarietà ai giocatori coinvolti nella vicenda ma dimenticandosi di Lui. Una dimenticanza lacerante.
Poi lo scudetto del Centenario finalmente arriva, con sofferenza, ma arriva. Arriva la festa, le foto con gli abbracci di rito e le conferme. "Mancini è confermato al 101%" dice Oriali mentre Moratti spende la sua parola d'onore e d'onestà: "Mancini sarà anche per la prossima stagione il tecnico della squadra". Nessuno può osare mettere in dubbio simili conferme date da personaggi onesti e leali. Forse ci crede anche Mancini.
Ma il giorno dopo inizia il gelo. La figura del fascinoso ex "traductor" portoghese Mourinho si staglia alle spalle di Robertino come un avvoltoio su un bisonte agonizzante. Le voci sul tradimento consumato si infittiscono. Roberto non ci vuole credere, Massimo non sa come dirglielo, addirittura glielo anticipa tramite le sue amicizie nel mondo della stampa, su un quotidiano rosa, nel senso di "specializzato in gossip".
E finalmente trova il coraggio e disperato gli confessa il tradimento, perché il nuovo amante preme per trasferirsi a casa sua.
Roberto ci rimane male, Massimo gli dice che ha smesso di amarlo dopo quella sera in cui disse al mondo intero che a fine stagione si sarebbero lasciati ma anche perché lui è troppo perbene per poter rimanere con uno che frequenta pregiudicati.
Allora Mancio, forse, chiama Oriali e Recoba, per capire perchè i pregiudicati si e chi li frequenta no.
Roberto allora fa dire a chi gli rimane vicino che "se si cambia, si sa cosa costa". Non vuole una buonuscita, vuole tutto. Forse non otterrà pienamente quel che desidera. Massimo ha già dimenticato il vecchio ed è già entusiasta del nuovo amore, pende dalle sue labbra e si sta impegnando per fargli trovare una casa arredata con uno sfarzo senza precedenti.
Intanto, agguerrito come mai in passato, ha sguinzagliato i suoi pupilli pedatori nel supportarlo, ma soprattutto i suoi avvocati per limitare gli alimenti al minimo, con argomenti forse un po' farneticanti ma proprio per questo credibili visto l’italico andazzo.
A Mancio, se chinasse la testa, potrebbero restare una ricca liquidazione e una consolazione semplicemente guardandosi alle spalle. Augurandosi per Moratti la fine fatta da due suoi ex datori di lavoro: Vittorio Cecchi Gori e Sergio Cragnotti.
Un'ultima considerazione sulle intercettazioni, che sembrano andare a braccetto con l'Inter. Quelle intercettazioni "messe in giro in modo vergognoso da gentaglia per screditare l’immagine di una società leale" ora tornano "utili" e vengono agitate, nel comunicato/pizzino, contro Mancini, per risparmiare. Dicono che i soldi li butti ma questa volta il petroliere, pur di risparmiare, è disposto ad usare quelle intercettazioni come "stampelle" a cui aggrapparsi.
Quelle intercettazioni che erano utili comunque. Se l'Inter avesse perso lo scudetto sarebbero state un alibi formidabile per giustificare l'insuccesso, se lo avesse vinto, come lo ha vinto, tornano utili per rendere meno oneroso il benservito all'uomo che vince sempre.