Speciale: Cemeteries of London vol.2

demolizioneProseguiamo la pubblicazione degli sfoghi seguiti alla figuraccia del Craven Cottage.
Ora tocca all'anima ferita dei tifosi, di cui proponiamo due spaccati: il padre di famiglia che segue la Juve alla tv, col piccolo bianconero da consolare, e quelli che non mancano mai col loro calore allo stadio, in curva.


I dolori del giovane... Gianluca

…Dai, dai papà, siediti che sta iniziando la partita della Juve!
Raccolgo l’affettuosa sollecitazione del mio Gianluca che, vestito già con la sua maglia oro da trasferta, m’impone di spaparanzarmi sul divano nella nostra tavernetta, noi due soli, vicini e abbracciati come due tifosi nel loro sky-box dello stadio.
Lo guardo… mentre inizia il match, che siamo costretti, ahimè, a considerare vitale per le sorti della nostra amatissima Juve e anche per noi amanti adulti, oramai irrimediabilmente delusi da tanti, troppi tradimenti!
Lo guardo… con la tenerezza con la quale si guarda un ragazzino ingenuo e pieno di belle speranze, che stravede per la sua Juventus in nome della quale ha già litigato e, pur pacifista convinto, ha già quasi fatto a botte con i suoi amici all’oratorio.
Lo guardo… come l’avevo subito ammirato, commosso, non appena era nato, quando mi era sembrato che il suo primo vagito e il suo prima strillo non fossero stati un banalissimo nguè nguè, ma che, sono arcisicuro ancora adesso, avesse articolato un suono gutturale che mi sembrava coincidesse con…”…frz juv!...”
Ecco, avevo detto tra me e me, era quello che per prima cosa volevo sentire: Un “FORZA JUVE!” chiaro e netto, tanto per non ammettere che avevo sbagliato figlio!
Ora, dopo 14 anni, il mio Gianluca è lì, vicino a me, più juventino che mai.
Era proprio quello che avevo sempre sognato: condividere la mia fede, la mia passione, il mio amore, diviso in parti uguali, tra famiglia, lavoro e Juve, con i miei figli!
L’altro, il maggiore, ormai da juventino già scafato, le partite le vive assieme ai suoi coetanei ventenni, perché così si sfoga meglio e, dice lui, gode di più.
In questi due minuti di riflessioni, succede qualcosa di vecchio, anzi di antico per noi juventini: la nostra amatissima segna subito con il nostro implacabile cecchino Trezegòl.
Mio figlio mi abbraccia, si alza, si agita, gira per la stanza come se avesse segnato proprio lui… è felice, come deve esserlo un ragazzino di 14 anni che sta realizzando i suoi sogni… di juventino vincente!
Lo guardo… mentre passano altri minuti, non tanti, appena appena sette, e la squadretta del Craven Cottage pareggia!
Gianluca è lì, ammutolito, ma si rianima subito: ”Tanto, papà, il Fulham ne deve fare ancora tre, figurati se può segnare tre reti!”
Lo guardo… con la tenerezza mista allo scetticismo che in me covava fin dall’inizio, quando già preconizzavo, ahimè, l’esito infausto.
D’altronde, quarant'anni di differenza tra un padre e un figlio non trascorrono invano.
Io, di occhiali per leggere meglio, ne ho già cambiati tre, lui nemmeno uno.
Lo guardo… mentre sussulta, impreca, sobbalza, ma tiene, fino al quarantesimo minuto, quando un certo Gera (ma chi era costui?) dopo un’azione tambureggiante (ma cosa sono costretto a vedere?) segna il goal del vantaggio.
Guardo il mio Gianluca che quasi cade dal divano, impreca, soffre e mi dice: “ Papà, ma come si può prendere un goal così?”
Lo guardocon una finta incredulità che solo gli adulti rassegnati possono esprimere e…” Vedi Gian, con le squadre inglesi può succedere; sono sempre arrabbiate quando giocano in casa, è il loro modo di giocare.”
Ma non ho il coraggio di dirgli che è così che si gioca quando vuoi conquistare qualcosa, specie se è qualcosa che sembra impossibile da realizzare ed è proprio così che giocava la Juve di qualche anno fa, che lui, ancora bambino, non è riuscito a vedere.
Finisce il primo (amaro) tempo e… come allo stadio, andiamo a prenderci un the caldo io e una cocacola lui.
Inizia il secondo mistero gaudioso, che io già ipotizzo, si trasformerà in mistero doloroso!
E così è.
Il tempo per il mio Gianluca di aggiustarsi la sua divisa da trasferta, che arriva il tocco di mano di Diego, novello epigono del nostro incommensurabile Lapo: è rigore netto!
E ancora Gera (ma chi era costui?) segna dal centrino bianco.
E, finalmente, ora sì che siamo pari!
Lo capisce anche Gianluca che mi dice con gli occhi lucidi: “Ma papà, adesso siamo pari! Quindi….”
Con grande ipocrisia, gli rispondo: “E ora, ora inizia finalmente il vero match. Ora dimostreremo di che pasta siamo fatti!”
E pensare che la mamma di Gianluca, quando fa la sua pasta, tirata a mano in modo mirabile, fa una pasta proprio sublime! Proprio quella che la Juve deve dimostrare stasera!
Non sarà così. Anche alle brave cuoche capita di sbagliare ricetta e… questa cuoca-juve ha da troppo tempo smarrito il senso della grande cuisine!
Ne arriva un altro… di goal, quello fatale, con una palombella nel sette di Dempsey (ma chi era costui?) e che ti saresti invece aspettato dal nostro rimbalzante brasiliano di nome (indegnamente) Diego!
…E’ la fine!
Forse, speriamo, che sia veramente la fine definitiva, come si può augurare a un malato terminale, per non farlo soffrire più!
Il mio Gianluca è impietrito, non proferisce più parola.
Finisce l’agonia e guardo Gianluca.
Lo guardo… mentre è immobile, con le braccia conserte, come un adulto educato… piange… piange senza sussultare, con le lacrime che gli cadono in gocce cadenzate e precise.
E’ lì, composto e piange in modo dignitoso, come quando, già da ragazzini si è costretti a imparare che cos’è la dignità.
E allora, guardando il mio Gianluca con il suo dolore misto a frustrazione, mi sfiora il ricordo di un eroe romantico di un libro che avevo letto da ragazzo,“I dolori del giovane Werther”, nel quale il protagonista, che aveva l’animo di un bambino ed era uno spirito libero, innocente, era in cerca di un amore che poteva regalargli la felicità. Ma per essere felice, aveva bisogno che la fanciulla Charlotte lo amasse. La sua felicità era legata alle decisioni della fanciulla amata che, non volendo ricambiare, lo fece precipitare, al contrario, in uno stato di frustrazione e di completo dolore.
E così il mio Gianluca, in attesa che la sua amata Juve ricambi il suo amore e gli regali la felicità che merita, è precipitato questa sera in uno stato di frustrazione e di dolore, giovanile, ma vero!
Il giovane Werther non regge al dolore, ma al mio Gianluca darò forza e speranza in una Juve presto ancora vincente e imbattibile.
Spero che quelli di Corso Galileo Ferraris, quando varcheranno definitivamente l’uscita, si ricordino, tra le altre cose, anche di aver provocato, in modo crudele, le lacrime sincere di questa sera!
Vittorio De Simone/architetto bianconero


Noi tifosi, unici custodi del passato

Esiste una differenza fondamentale tra l'essere un giocatore della Juventus o da Juventus.
Noi non siamo solo una squadra di calcio, dietro di noi abbiamo una storia importante che solo negli ultimi anni, con la truffa e l'inganno, gli schiavi di sempre hanno cercato di infangare.
La Juventus è un'idea, è fede allo stato puro, è compagna di notti insonni, leggenda scritta sui campi di tutto il mondo da Uomini che hanno incarnato quello spirito combattivo che tutti ci invidiavano.
La Juventus era quella squadra che veramente non mollava mai, composta da UOMINI che sul 3 a 0, in pieno recupero, si mettevano le mani tra i capelli per un gol mangiato.
Milioni di persone si sono innamorate di quella Maglia per come veniva onorata da chi la indossava.
Nel nostro passato non ci sono solo vittorie, anzi, soprattutto in campo europeo, con attenzione particolare alle finali, abbiamo un saldo molto negativo... ma ogni volta, pur vedendo gli avversari alzare la Coppa, il grido "JUVE" si è alzato così forte da sovrastare le urla di chi stava gioendo dall'altra parte. Stavolta no, la sconfitta con l'onesto Fulham ci ha annichilito togliendoci anche quella forza interiore che non ci aveva mai abbandonato. Nel nostro vocabolario esiste il termine sconfitta, ma alla lettera U potevamo trovare Umiltà, Unione, Urla, mai era capitato di leggere UMILIAZIONE. Perché questo è accaduto ieri [giovedì, ndr] a Londra: siamo stati umiliati ed insieme a noi la Storia, gli Uomini che l'hanno scritta, dai ragazzi del Massimo D'Azeglio fino a Moreno Torricelli.
Siamo delusi, arrabbiati, pieni di veleno perché vediamo che in campo nessuno, e ripeto nessuno, ha la forza di spiegare agli altri cosa significhi indossare quella Maglia. In una squadra di Uomini, gente come Melo e Zebina sarebbero stati attaccati al muro, obbligati a fare le valigie e non si sarebbero mai permessi di insultare la Gente che si mette la mano in tasca per seguire un sogno.
In una squadra di Uomini, qualcuno si sarebbe preso la briga di raccontare il passato per far capire che c'è modo e modo di perdere, l'importante è lottare fino a quando il cuore può battere.
Una volta, Boniperti a giocatori che chiedevano un aumento di stipendio, faceva vedere le foto della squadra che aveva vinto lo scudetto l'anno precedente e diceva: "Gli altri hanno festeggiato e tu hai il coraggio di volere più soldi?". Firmavano tutti senza fiatare. Oggi Blanc fa vedere il plastico del nuovo stadio...
Questo è il momento più brutto della nostra vita calcistica: senza memoria storica e tantomeno Uomini che possano tramandarla, senza giocatori, fatte poche eccezioni, che siano degni della Maglia, senza dirigenza, senza progetto, senza società. Però tra un paio di stagioni avremo lo stadio nuovo con i negozi ed i ristoranti... Siamo rimasti Noi, con quel fuoco che ci arde dentro. E' dalla nostra passione che possiamo ripartire, siamo custodi del nostro passato. Ognuno di noi può fare qualcosa di importante cominciando dal non abbassare la guardia.
Io sono tifoso della Maglia e da ieri sera, anche di ognuno di Voi, almeno di quelli che stamattina, svegliandosi dopo una notte tormentata, si sono guardati allo specchio e si sono visti più Gobbi che mai. Ed un pensiero a chi ieri era al Cottage e si è preso gli insulti degli indegni anche per noi.
Io non mollo perché vivo per Lei.
OG