Ho perso la mia maglia e la mia Juve

ferrara di livioUno dei giorni che ricordo con più piacere nella mia vita è il 3 marzo 1983, il giorno del mio quattordicesimo compleanno. Ricevetti in regalo una maglia a strisce bianconere; non aveva numeri, non aveva sponsor, non aveva nessun nome di giocatore stampato dietro, ma per me quella era la maglia della Juve. La mettevo spesso nelle partite a pallone con i miei amici, cercando di imitare le gesta di Scirea, Tardelli, Gentile, Platini… e mi ricordo che la misi anche due mesi dopo, la sera della sfortunata finale di Coppa dei Campioni persa ad Atene con l'Amburgo. Piansi quella notte e le lacrime bagnarono quella maglia che, nonostante la sconfitta, volli indossare il giorno dopo per andare a scuola e manifestare con orgoglio a tutti la mia fede juventina.

Sono passati quasi ventisette anni da quel periodo e l'ho vista indosso a fior di campioni. Ricordo con affetto e nostalgia Laudrup, Kohler, Baggio, Peruzzi, Conte, Davids, Zidane, Montero. Ho visto anche diversi allenatori sedersi sulla panchina della mia amata, da Trapattoni a Marchesi, dal mitico Zoff a Maifredi, da Lippi ad Ancelotti e Capello fino ad arrivare ai giorni nostri, quando abbiamo avuto cinque allenatori in quattro stagioni. Ci sono stati anche cambi nei vertici societari. Boniperti per me era il Presidente, poi, forse considerato troppo vecchio per un calcio in evoluzione, è stato sostituito da Montezemolo (pessima scelta dell’Avvocato); è tornato per un paio di stagioni, fino ad essere rimpiazzato nel 1994 dalla Triade (Moggi, Giraudo e Bettega), che ha regalato a tutti i tifosi bianconeri dodici anni di vittorie e soddisfazioni, al termine dei quali è stata defenestrata nel giugno del 2006 da quelli che saranno ricordati come i peggiori dirigenti della storia bianconera.

Il 2006 è stato l’anno della svolta del mio essere juventino. L’anno di Calciopoli, o Farsopoli, come voglio chiamarla io. Fino ad allora mi godevo le vittorie e mi bruciavano le sconfitte. Ricordo che il giorno del ventinovesimo scudetto vedevo la squadra a Bari festeggiare in campo, ed era deprimente vedere piazza Castello a Torino stranamente vuota. L’effetto della campagna mediatica che si stava scatenando nei confronti della mia squadra stava producendo i primi effetti. Anche l’erede dell’Avvocato aveva già condannato la dirigenza protagonista di tante vittorie. Quel giorno mandai ad una carissima amica di fede romanista un sms in cui le dicevo che festeggiare quello scudetto era come fare festa con un morto in casa. Lei mi rispose che quello era un titolo pienamente meritato, però non riuscivo comunque ad essere felice. Ero molto disorientato da ciò che veniva pubblicato quotidianamente in prima pagina da tutti i giornali. Non festeggiai. Da quei giorni la mia juventinità è stata in continua evoluzione. Se prima seguivo solo la squadra con i suoi risultati, pian piano la mia attenzione è andata rivolgendosi maggiormente ai processi che si svolgevano nelle aule dei vari tribunali.

Sabato 23 gennaio ho partecipato alla manifestazione in ricordo dell’Avvocato Agnelli, organizzata da Orgoglio Gobbo. Dopo la marcia ho visto la partita contro la Roma in un bar vicino allo stadio Olimpico insieme a diversi amici. Vedevo che loro si entusiasmavano durante la partita, hanno goduto al gol di Del Piero, come hanno imprecato in seguito alla sconfitta. Io non ho provato nessuna emozione, e con un po’ di imbarazzo l’ho fatto presente ad un paio di amici, mentre li accompagnavo a riprendere le loro autovetture. La storia e l’onore della mia squadra valgono molto più di eventuali successi (sic) attuali e futuri. La gloria di quella maglia ricevuta come regalo il giorno del mio quattordicesimo compleanno vale molto di più. Da molti anni non trovo più quella maglia, da quasi quattro ho perso la mia Juve. Grazie John.