Mercato estate 2009 /1

mercatoFinalmente è finito il mercato, almeno fino al 31 gennaio non ci romperanno le scatole con notizie realistiche e frottole mostruose.
Chi si è rafforzato? Bella domanda.
Inter e Juventus hanno certamente fatto la parte del leone, e il fatto che le due squadre fossero giunte ai primi due posti della scorsa edizione del torneo di serie A non fa che aumentare il gap tra bianconeri e nerazzurri e il resto della concorrenza.
L’Inter di Moratti ha costruito tutto sulla cessione di Ibrahimovic.
La cessione dello svedese, e in piccola parte quella di Maxwell, hanno permesso di finanziare tutto il mercato nerazzurro; perché sia gli acquisti di Motta e Milito (Acquafresca, Bonucci, Bolzoni e Meggiorini le contropartite che hanno generato plusvalenze, più 18 milioni cash), avvenuti prima del concretizzarsi del passaggio di Zlatan a Barcellona, che quelli di Eto’o, Lucio e Sneijder sono stati possibili, conti alla mano, solo grazie al ricavato dalla partenza dello spilungone di origine bosniaca.
Quindi non è vero che i conti siano così esageratamente in attivo come da più parti si tende a sbandierare.
Sono stati liberati giocatori con contratti certamente impegnativi (Figo, Cruz, Crespo, Burdisso) e ne sono stati piazzati altri che pesavano meno ma che facevano “numero” in spogliatoio e sul conto economico (Rivas, Obinna, Jimenez), mentre l’operazione contro-pacco avente come oggetto la premiata ditta Quaresma-Mancini non è purtroppo riuscita a Branca e soci, che debbono continuare a mettere a bilancio gli onerosi stipendi dei due esterni di lingua portoghese.
Rimangono in rosa anche Suazo e soprattutto Vieira, un altro dall’ingaggio pesante, inserito nella lista dei partenti, ma poi giovatosi dell’infortunio di Cambiasso che ne ha sancito la conferma.
Quest’Inter è più forte? A prima vista e secondo quelle che son le opinioni dei parrucconi della stampa parrebbe di sì.
Noi aspetteremmo un momento, perché schiantare il Milan di questi tempi è impresa riuscita a diverse squadre, quindi non rappresenta un test attendibile; soprattutto alla luce di quanto accaduto appena una settimana prima, quando il Bari rischiò sì di perdere, ma anche di uscire da San Siro col bottino pieno.
Il Milan, persi Kakà e Ancelotti, riparte da Leonardo-Tassotti e una campagna acquisti al risparmio: Onyewu, Huntelaar (arrivato in extremis dopo le effimere voci su Dzeko e Luis Fabiano), Thiago Silva (a Milanello da gennaio: non sembra un fenomeno) e il rientro dei giovanotti Abate e Di Gennaro rappresentano troppo poco per un ambiente che conferma le impressioni suscitate dalle prime uscite estive, ovvero un senso di impotenza, frustrazione e ridimensionamento, sensazioni inedite negli ultimi 25 anni di storia rossonera.
Il Milan di oggi assomiglia molto alla Juventus del primo anno di Ranieri (fresco neo-allenatore romanista): spazio all’improvvisazione, poca chiarezza e scarsa disciplina; in questo contesto è normale che accadano anche episodi imbarazzanti quali l’episodio riguardante Seedorf nel derby fragorosamente perso.
La scommessa Ronaldinho potrà essere vinta a tratti, in quanto il brasiliano possiede nel suo DNA i geni di chi è stato il migliore al mondo (ed ogni tanto questi geni si ribelleranno al torpore cui li costringe l’indole del “dentone”), ma molto difficilmente l’ex Barça riuscirà ad esprimersi nuovamente ai livelli che obbligarono lo stadio ostile per eccellenza (il “Bernabeu”) a tributargli l’onore più grande: la standing ovation ad uno con la maglia blaugrana.
Il Milan si deve aggrappare a Pato, probabilmente l’attaccante più forte di tutta la serie A, per puntare a rimanere nell’Europa che conta, favorito dalla débâcle di altre piazze che hanno ridimensionato ulteriormente le proprie pretese (Roma su tutte, di cui parleremo fra poco), anche se nuove realtà premono agguerrite alle porte (Genoa, Palermo, Napoli).
La Juventus ha compiuto un salto di qualità enorme in termini di tecnica.
Perso un pezzo da novanta come Nedved (impressiona non vederlo più in quel gruppo), ha acquisito Diego, che è un giocatore di livello assoluto, l’uomo imprevedibile dal quale possono scaturire quelle intuizioni geniali che tanto mancavano negli scorsi anni. Felipe Melo è costato molto, forse troppo; il giocatore tecnicamente c’è, in più ha un’imponente presenza fisica, un’esuberante personalità (persino eccessiva) e il marchio della Seleçao auriverde stampato sulle spalle.
Purtroppo restano da limare difetti di confidenza troppo frequenti per essere solo casuali, e che il giocatore sia arrivato a 26 anni senza correggerli induce perplessità.
Ferrara ci lavori in fretta.
Il ritorno di Cannavaro è stato contestato a più riprese dalla frangia estrema degli ultras per le note vicende relative alla fuga dell’estate 2006.
Ebbene, tralasciando il nostro pensiero sulla giustezza o meno della decisione presa dal napoletano in quell’estate maledetta, diciamo solo che tre stagioni a Madrid (con due titoli di Liga vinti) hanno lasciato il segno, nel senso che i tifosi madrileni hanno giudicato un errore il rifiuto di Florentino Perez di prolungargli il contratto.
Perché Cannavaro, in una squadra che da lustri viveva la “maldicion del central” (non ne fu immune il tanto decantato Samuel, idolo del popolo giallorosso prima e nerazzurro poi, che a Madrid ricordano con orrore) si è fatto rispettare alla grande ed è tornato a Torino a costo zero, garantendo grande professionalità e, da quel che si è visto dalle prime esibizioni, sicurezza e solidità.
Martin Caceres è una scommessa, il difensore uruguagio scelto come primo acquisto da Guardiola per quello che sarebbe stato il suo Barcellona-pigliatutto è immediatamente regredito in considerazione da parte del tecnico catalano.
La formula (prestito con diritto di riscatto fissato a 11 milioni) è vantaggiosa per poter capire se questo centrale adattabile ad esterno possa essere un’ipotesi futuribile per la Juventus.
Ultimo acquisto, a fil di sirena, Fabio Grosso.
Il terzino campione del Mondo torna a casa dopo due anni di alterne fortune a Lione e per una squadra affamata di cross (Amauri se ne è lamentato pubblicamente dopo la partita col Chievo) e che necessita di allargare il gioco sulle fasce (altrimenti troppo prevedibile e bloccato centralmente) è manna dal cielo.
Visti i colleghi in rosa (l’inguardabile De Ceglie e il modesto Molinaro) c’è di che rallegrarsi.
Alcune operazioni in uscita hanno lasciato l’amaro in bocca, soprattutto per le contropartite.
I casi di Marchionni e Zanetti, praticamente regalati da Alessio Secco a Zio Corvino (che invece non ha scontato un centesimo dalla clausola di Melo) hanno fatto storcere il naso ai tifosi juventini, che avrebbero preferito di gran lunga la cessione di Poulsen, ribattezzato “Signor No” dopo un’estate passata a rifiutare tutte le possibili destinazioni proposte, alcune delle quali vantaggiosissime per giocatore e società. La cessione di Mellberg ha portato una (seppur risicata) plusvalenza, mentre il ritorno al mittente di Knezevic lava un'onta grave: mai un giocatore del genere avrebbe dovuto indossare questa maglia.
Detto di Ekdal, Almiròn e Yago, finiti in prestito, singolare la questione Ariaudo: il giovane proveniente dal vivaio destinato al Cagliari, sempre in prestito, rimarrà in rosa almeno fino a gennaio per colpa dell’apprensione che avrebbe distratto Pessotto e Castagnini (preoccupati dell’arrivo in extremis del fax di conferma sull’affare Grosso) dal certificare l’accordo con il club sardo, che non l’avrebbe presa benissimo…

(continua)


Foto Gallery