Moi non plus, Michel. Cobolli invece no

platini"Ju29rò Je t'aime". Questo è quello che io ho sentito dire da Michel Platini ieri a Sky.
Lui in verità l'ha messa giù così:
"Interverremo sulle nostre competizioni. Faremo un 'Financial Fair Play', perché vogliamo che tutte le squadre spendano i soldi che hanno: per me non sarà più possibile che un Moratti e un Berlusconi diano dei soldi dopo per pareggiare il bilancio...".
Ma io ho sentito la musichetta e i miei pensieri hanno volato: novelli Serge Gainsbourg e Jane Birkin, io e Michel ci sussurravamo parole dolci e calde. "Moi non plus, Michel."
E questo non perché abbia nominato Moratti, come esempio negativo.
Cosa che è riuscita al presidente Uefa, la cui responsabilità istituzionale evidentemente non può sfociare in partigianeria, ma che ancora non è nelle corde dei nostri sabaudi, la cui eventuale faziosità verrebbe ampiamente perdonata.
Eh già. Perché se tu hai un codice etico, vuoi educare i tuoi tifosi all'allevamento di giovani in casa e parametri zero per uscire dal circolo vizioso delle spese folli - legittimo, per carità - , un nemico ideologico ce lo devi avere per forza. Pure Gandhi e Gesù Cristo ce li avevano, i nemici.
Le ragioni sono di immediata comprensione. Anzitutto perché devi vincere. E se tu giochi con delle regole che corrispondono a restrizioni che gli altri bellamente ignorano, vincono gli altri.
Due perché se etico sei, dovresti lavorare affinché il mondo in cui operi diventi altrettanto etico. In caso contrario, sei un vigliacco. Come dice il poeta: "Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono niente, o non vale
niente lui".
Pregiatissima e onestissima era l'Inter, faro di civiltà, e il suo presidente vate del calcio pulito. Peccato che in Lega e Federazione non combattesse alcuna battaglia, ma votasse fedele al fianco di Galliani e Giraudo, di Milan e Juve, le armate del male. Qualcuno, solo dopo Calciopoli, si è accorto di che pasta erano fatti.
Pregiatissima la nuova Juventus, che illumina la via. Quando gli attuali dirigenti dicono che "noi siamo così, siamo la Juve", il paragone lo fanno nei confronti della gestione precedente "che spendeva troppo" (e guadagnava altrettanto, portando il bilancio in pareggio), mai nei confronti di chi, ancora oggi, spende troppo, accumula debiti a 8 zeri e vince i campionati.
Infatti Cobolli, nel commentare le parole di Platini, è risoluto: "
Sono d'accordo, le regole ci vogliono, ma devono far parte del Dna di ogni dirigente di società. In un mondo liberista è impossibile impedire a un proprietario di ricapitalizzare le perdite. (...).
Uno dei signori che ha accettato l'aberrazione del concetto di specificità dello sport in tema di giustizia, un concetto non sancito da alcuna legge, ottenendo in cambio una congrua retrocessione, oggi glissa sulla costituzione di regole che non solo dovrebbero proteggere la sana competizione, ma che aderiscono perfettamente alle ciance, finora senza senso - non c'è senso se alle parole non corrispondono azioni -, proclamate dal nuovo corso.
Quando si dice il coraggio.
Michel invece ci è arrivato e me ne compiaccio. Anche lui, in passato, aveva puntato il dito nella direzione sbagliata, quella dei debiti dei club inglesi. Debiti che, con l'eccezione del Chelsea, non attenevano però affatto alla gestione sportiva ed economica, per molti aspetti virtuosa, ma alla compravendita del club stesso. Debiti dei proprietari, maturati al momento dell'acquisto, e non debiti di gestione. Il club perciò, rimane appetibile da eventuali compratori, che non dovrebbero ripianare abissali perdite.
Insomma, mica come l'Inter.
Cobolli che è furbo - quel genere di furbo che pensa che gli altri siano pirla - ha proseguito così:
"Ma anche senza togliere a un Abramovich la libertà di immettere importi consistenti per rendere ancor più competitiva la sua squadra, si potrebbero condizionare certi contributi a logiche di equilibrio di bilancio."
Ha detto Abramovich. Per non dire Moratti.
Michel invece lo ha detto: Moratti.
E non lo ha detto da juventinovero, lo ha detto da massimo dirigente dell'UEFA. Non lo ha detto in seguito a una vittoria del calcio italiano, ma a una sonora sconfitta. Lasciando comprendere non soltanto come queste politiche di bilancio droghino le competizioni, ma anche come questo sia un fattore di debolezza del sistema italiano.
Cobolli non ha detto, al solito, nulla. L'ultima frase riportata è esemplare. Se qualcuno gli avesse chiesto: "E come?", penso avrebbe perso i sensi.
Ancor più emblematico è il discorso precedente, quello del DNA dirigenziale. Per quali ragioni storiche e culturali dovremmo avere fiducia nella competenza e nella moralità dei dirigenti, anziché in una regolamentazione ben precisa? E' un discorso di ritorno, ciclico in Italia. Poi si trova sempre qualcuno talmente bravo e buono da garantire per tutti. Come Guido Rossi, Abete o Matarrese.
Il sistema però rimane lo stesso.
Il nuovo calcio - che, anche Platini, seppur qualche anno dopo Giraudo, lo ha compreso, non potrà essere una negazione del business collegato, ma una sua valorizzazione - passa da una definizione attenta delle regole di bilancio, da una relazione propria e meditata tra il business e la competizione sportiva.
Per i Moratti posto non ce n'è. Perché il calcio che ha in mente Platini premierà la gestione e le competenze, e non tonnellate di milioni buttati nella spazzatura, milioni sborsati sempre, preferibilmente, dopodomani.
Il calcio di cui ha parlato Platini è quello che piace anche a noi. E' quello che, senza moralismi, immaginava Giraudo. E' il calcio che premia un pazzo che vende Zidane e Inzaghi per comprarsene altri tre, il rischio che solo chi è competente si può permettere.
Platini studia l'NBA. Nel campionato americano, non esistono le cessioni, ma solo gli scambi di giocatori.
Chissà come se la passerebbe chi ha scambiato Pirlo per Guly, Seedorf per Coco, Cannavaro per Carini.
Noi stiamo con Platini.
La nostra dirigenza, dopo tanto ciarlare, invece resta a distanza.
E questo non è perdonabile, perché è la dimostrazione compiuta di quanta poca sostanza stia in questo progetto, mediocre e titubante, in ogni sua manifestazione.
La verità è che non sanno combattere alcuna battaglia.


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