Ranieri, bambino permaloso

ranieriCi sono persone che crescono con idee chiare e ambiziose, persone di carattere e capacità che non hanno paura di misurarsi con le responsabilità, anzi, le cercano e ne vengono galvanizzati. Ce ne sono altre che vorrebbero assumersi queste responsabilità, ma per tanti motivi faticano a trovare qualcuno che gliele affidi, pur meritando una chance. Infine c’è una terza categoria di persone: quelli che hanno limiti evidenti, ma che in un modo o nell’altro hanno più volte avuto occasioni e responsabilità troppo più grandi di loro. Misteri dell’Universo. Persone che non capiscono la loro fortuna e insistono con il voler fare i fenomeni al cospetto di realtà fuori dalla loro portata. E’ il caso di Claudio Ranieri, l’allenatore della Juventus dello “smile”, la Juventus simpatica e perdente, quella della mediocrità e del declino di una filosofia, di un ideale e di un modo di intendere calcio, fatto di duro lavoro, serietà e discrezione. Claudio Ranieri, consigliato da Tardelli (già questo fugherebbe ogni dubbio sulle capacità del tecnico romano), vive perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, tra il sentirsi primadonna ossessionata dalla figura di Mourinho (uno che il buon Claudio subisce da anni e al quale tenta di somigliare senza averne il carisma) e il non voler ostentare questa condizione per trasmettere l’immagine da bravo e corretto professionista. Salvo perdere le staffe in modo plateale quando gli eventi lo mettono sotto pressione e viene toccato sul vivo. Ricordiamo tutti la sfuriata della scorsa stagione, quando circolarono le voci di una sua possibile sostituzione in favore di Lippi, in seguito alle deludenti prestazioni della squadra, che nel momento di spiccare il volo verso la testa della classifica, franò clamorosamente facendosi sopravanzare da quella Roma che avrebbe conteso lo scudetto all’Inter fino a 20 minuti dal termine della stagione. Una carriera da lavoratore a tempo determinato, sempre con il marchio di precario appiccicato sul viso. E’ la storia di Ranieri a dirlo, dal Napoli post Maradona (che non negò uno scudetto nemmeno a Bigon, figuriamoci…), al Valencia pre-Benitez e al Chelsea pre-“tituli” dell’uomo che prese il posto di Tinkerman quando Abrahmovic decise di far sul serio; tutti coloro i quali si sono affidati al mister testaccino l’hanno fatto in momenti di incertezza (i partenopei, l'attuale Juventus) oppure se ne sono liberati al momento in cui le crescenti ambizioni del club non trovavano adeguato riscontro nelle capacità e nella personalità dell’allenatore. Allenatore che ora siede sulla panchina della Juventus grazie al buon girone di ritorno con il quale salvò il Parma di Giuseppe Rossi; il fattore, questo si, realmente decisivo per la realizzazione dell’impresa gialloblu. Da allora il caro Ranieri si è montato un po’ troppo la testa, dimenticandosi di quanto sarebbe stato per lui utopico sedersi sulla panchina della Juve se non fosse successo quello che è successo tre anni fa. E quella panchina sarebbe stata ancora più lontana per l’ex allenatore del Cagliari se Deschamps, in puro stile Juve (quello per il quale “vincere non è importante, bensì l’unica cosa che conti”: parole del Giampiero Boniperti presidente operativo), non avesse mandato a quel paese l’accozzaglia di figuranti piovuti a tutti i livelli sul Pianeta Juve a seguito di quell’estate maledetta; gente convinta che quella maglia fosse la divisa di una compagnia d’avanspettacolo, ignorando invece di come la maglia della Juve sia una cosa tremendamente seria, non roba per i Tiago, gli Almiròn e i successivi “fenomeni parastatali” che sarebbero arrivati. Deschamps lo sapeva, e ovviamente salutò tutti, lasciando la panchina a “uno che si accontenta”: Ranieri, appunto, presentatosi come l’uomo che avrebbe riportato in auge lo stile della Juventus e che ne avrebbe rinverdito la gloria sportiva. Fummo in molti a storcere il naso, soprattutto quando l’allenatore capitolino fece il fenomeno durante la tournée inglese di due estati orsono, quando apostrofò duramente Chiellini davanti ai microfoni, sputtanando la richiesta del giovane difensore (che, da terzinaccio sinistro, si avviava a diventare il miglior centrale italiano, e non per merito di Tinkerman) di un adeguamento del proprio contratto. Erano gli albori della stagione del ritorno in serie A, scusa che Ranieri e i suoi datori di lavoro chiamano in causa ogni volta in cui si fallisce (puntualmente) un obiettivo fino a qualche ora prima sbandierato ai quattro venti, dimenticandosi dei valori che quella squadra, seppur indebolita dalla Farsa, riesce ancora ad esprimere. La prima stagione con il pasticcione in panchina si è chiusa con un voglio ma non posso, una tendenza imbarazzante a scivolare sull’ultimo gradino, quell’inadeguatezza tipica dei mediocri che quando vengono messi con le spalle al muro, se la fanno addosso. E la seconda sta terminando sulla falsariga della prima, in linea con quella politica delle occasioni perse che stride pesantemente con la storia della Juventus. Che non ha bisogno di essere vilipesa e sottovalutata persino dai propri tesserati, ma ha bisogno di sostegno e sforzi per puntare all’eccellenza. Per questo non serve Ranieri, uno che sminuisce la propria rosa e riconosce ad altri meriti e superiorità, dopo aver parlato di scudetto “che possono perdere solo altri” e di finale di Champions League che è “un obiettivo ma tra noi e il Chelsea speriamo non vinca il migliore”. Un allenatore che infonde timori e paure ai suoi uomini, non c’è che dire. E, mentre segnali incoraggianti (per noi) provengono da Milano, con lo spogliatoio nerazzurro in subbuglio e uno Stankovic che dichiara:”Non buttiamo via anche il campionato, non pensiamo più all’Europa, pensiamo alla Fiorentina”, lasciando intuire quanto la situazione in casa Inter sia delicata, che ti inventa l’allenatore della New Holland FC? La polemica con uno dei giocatori simbolo della vera Juventus, colpevole di aver espresso a mezzo stampa (francese) le sue contrarietà in merito alla sostituzione subìta mercoledì, giudicandola strana rispetto all’atteggiamento che la necessità di fare gol imponeva. Nessun tipo di insulto, una critica civile e molto probabilmente figlia della delusione, considerato che tali dichiarazioni sono state rilasciate il giorno successivo all’uscita dalla Champions League. Posto che i panni sporchi si lavano in famiglia (sempre, e questo vale per giocatori e allenatore) la dichiarazione di Trezeguet avrebbe potuto suggerire una multa e nulla più, alla luce delle dichiarazioni di Cobolli, che in mattinata aveva liquidato la cosa come frutto di uno sfogo, comprensibile per chi di quella Coppa fa da anni la propria ossessione principale. La replica di Ranieri è stata assolutamente fuori luogo, da condannare su tutta la linea. Da bambino permaloso. Il tecnico ha dichiarato di sentirsi “tradito dall’uomo”, di immaginare che “ci sia qualcosa dietro” e soprattutto sminuisce pubblicamente la prestazione del giocatore con il seguente: “dopo l'espulsione di Chiellini non stavamo giocando in 10 contro 11, ma in 9 contro 11. Trezeguet non stava più giocando e avevo bisogno di un giocatore al posto suo…”. E ancora:”Trezeguet aveva toccato 6 palloni nel primo tempo e 6 nel secondo, facendo un bellissimo assist e un colpo di testa… Ho fatto giocare a Trezeguet 80 minuti nella partita più importante della stagione, ho sempre avuto la massima considerazione di lui ma forse lui non l'ha avuta di me”. Che tra i due non corra buon sangue è cosa risaputa da almeno un anno, tanto che fummo in molti a pensare che l’operazione alle ginocchia alla quale il francese fu sottoposto a settembre non avrebbe costituito un problema tale da far perdere il sonno a Ranieri. Tutt’altro, meno problemi di gestione, meno pressioni, frangenti nei quali si distingue un allenatore che fa la differenza. E Ranieri la fa in negativo, quando deve scegliere, scontenta tutti. Questo signore merita la panchina della Juve, secondo voi? A nostro parere, l’unica panchina dove l’allenatore Ranieri meriterebbe di sedersi è quella del giardino di casa. L’uomo Ranieri, invece, che si permette di dare del “bambino viziato” ad un suo giocatore, aggiungendo che “l’anno scorso ha giocato ed è stato vice capocannoniere” fuga in noi i residui dubbi sulla sua dichiarazione post Catania-Juve e sulla sua solidarietà/comunanza con Spalletti, quando in merito alle polemiche arbitrali sbottò: “Se sto zitto, dalle mie parti si dice che si rischia di far la figura del coglione”. Per quello che abbiamo visto, sentito e osservato in campo e fuori in questi due anni, ci permettiamo di dare un consiglio al mister romano: stia tranquillo e continui a tacere, perché aprendo bocca i rischi di far certe figure svaniscono del tutto, lasciando spazio a tristissime certezze. Sinceramente, la misura è colma, di mediocri ne abbiamo piene le scatole. Perchè l’allenatore è lo specchio della società, purtroppo, e se nessuno di noi riesce a fidarsi delle parole e dei volti di signori come Blanc, Cobolli, Secco e Ranieri, volti che trasudano incertezza, inadeguatezza e improvvisazione, è solo perché temiamo l’arrivo di anni più duri di quanto si possa immaginare. I nostri timori non sono legati al presente, in tono minore ma comunque dignitoso rispetto ad altri sodalizi (nonostante i signori di cui sopra): il vero terrore riguarda il futuro, con questa gente al timone della più blasonata società d’Italia, l’eventualità di poter aprire il periodo più buio nella storia della Juventus è concreto.



Postilla: nella conferenza stampa odierna, si è appreso come gli infortunati siano aumentati ancora, portando il numero a circa 60 in stagione, di cui una cinquantina di natura muscolare. Parecchi i recidivi, ma la cosa più drammatica, la fotografia della stagione di questo staff tecnico, risale ad oggi; Amauri a fine allenamento calcia verso la porta e Manninger para: risultato? Distrazione al retto femorale per “il capocannoniere della mia squadra” (parole di Ranieri), che resterà fuori per un mese, e infortunio al polpaccio per Manninger. Non abbiamo più parole.


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