Milan: futuro più nero che rosso

GallianiUna squadra costruita per vincere lo scudetto, obiettivo dichiarato della stagione, annunciato trionfalmente (secondo lo stile aziendale) il giorno della presentazione di Ronaldinho e insistentemente ribadito a più riprese dai rappresentanti dell’entourage rossonero. Un proposito che oggi sembra più che anacronistico, come tante, troppe volte in quest’ultimo decennio. Il Milan di Ancelotti, a meno di improbabili, straordinari miracoli (in questo caso, apparentemente fuori portata persino per le note doti taumaturgiche del presidente rossonero), sembra essere giunto al capolinea. La rassegnazione con la quale il tecnico emiliano ha accolto il -11 dall’Inter, conseguente alla sconfitta nel derby, è il naturale sbocco di un periodo di difficoltà ambientale palese, culminato con la resa: “Inutile parlare di scudetto, pensiamo alla Coppa UEFA e a qualificarci per la prossima Champions League”. Il Milan per il terzo anno consecutivo è ancora distante anni luce dall’Inter, e da quando i resti della Juventus che fu sono rientrati in gioco, la squadra bianconera è sempre stata davanti agli ex alleati strategici, usciti sconfitti (sonoramente) due volte su tre nei confronti in campionato, perdendo contro Kakà e soci solo nei tornei estivi. Le voci che danno Ancelotti lontano da Milano si ripetono, ciclicamente, da anni, ma che i media di famiglia e persino la società aprano alla possibilità di un futuro senza l’allievo prediletto del Conte Eiacula in panchina è un dato di fatto. E’ di qualche settimana fa la dichiarazione di Umberto Gandini, direttore organizzativo rossonero, in merito all’eventualità che Ancelotti decida di trasferirsi a Madrid o voglia gettarsi tra le braccia di Abrahmovic, secondo la quale la società non sarebbe contraria ad agevolare la cosa, avendo in Leonardo o Donadoni alternative più che valide. Segnali di questo tipo ricordano molto quelli lanciati lo scorso anno in questo periodo, quando i media del Gruppo iniziarono una campagna contro Gilardino e Dida, con il risultato che, a fine stagione, il centravanti biellese venne dirottato a Firenze, mentre al management rossonero non riuscì il capolavoro di sbarazzarsi del portiere brasiliano. D’altronde, con quell’ingaggio e quel rendimento, ci sarebbe voluto un pazzo sconsiderato per gettare al vento soldi in un momento storico del genere. Il Milan, il grande Milan viene ora criticato anche dal suo presidente: l’uomo che ne sostiene da sempre la “filosofia spettacolare”, il “gusto del bello”, ieri ha commentato la prestazione di Brema con poche, lapidarie parole: “Ho sentito con raccapriccio che il Milan si è fatto raggiungere per l’ennesima volta negli ultimi minuti della gara. Quando una squadra, che ha la possibilità di contare su uomini di classe come il Milan, ha un solo gol di vantaggio, deve nascondere la palla all’avversario ed essere capace di farlo negli ultimi 10’”. Berlusconi, di fatto, scarica l’allenatore che ha guidato il Milan alle due più rocambolesche Champions League della sua storia. Perché, checché ne dicano i tromboni rossoneri, quelle due Coppe vennero vinte in circostanze quantomeno singolari, e ricordiamo tutti quali. In campionato, la realtà dice che il Diavolo non si piazza davanti a tutti dalla stagione 2003/04, l’anno del duello con la Roma che fu oggetto di strane “mediazioni” da parte della “zarina” Fazi (fatti che diedero a Moggi e Giraudo ragioni per sospettare sul duopolio giallorossonero) e, dato non secondario, la stagione in cui le partite che vedevano il Milan in difficoltà duravano fino al 97°, prerogativa che secondo i soliti parrucconi apparteneva alla Juve della Triade.

In assoluto, gli scudetti finiti a Milanello nell’ultimo decennio sono 2, conteggiando il titolo risalente alla stagione 1998/99, vinto (in maniera rocambolesca anche quello) dal “comunista” Zaccheroni con una squadra farcita di mezze figure (Guglielminpietro su tutti). Ma le due vittorie europee nella Coppa più importante, un paio di Supercoppe continentali e il Mondiale Club hanno foraggiato la facile retorica della macchina mediatica rossonera, a fronte di annate in cui a metà stagione era usuale alzare bandiera bianca e rinfoderare i propositi bellicosi. Ma il Milan rimaneva per i suoi "cantori" comunque bello, spettacolare, “stellare”, per usare un termine abusato in questi anni dai più accaniti “lisciapelo” del clan rossonero. Ora, la manfrina Kakà, probabilmente un mezzo per rafforzare l’immagine attuale del club (e allo stesso tempo un po’ di propaganda al presidente milanista non guasta affatto…) decadente e usurata, potrebbe in realtà nascondere un disagio nei confronti dell’ingombrante dirimpettaio Mourinho, che mediaticamente sta sottraendo spazio a chi per decenni ha spadroneggiato in questo campo. In questa veste si può inquadrare anche l’ingaggio di un trentaquattrenne dalla tecnica e dall’intelligenza indiscutibili, ma in vacanza agonistica da due anni. Beckham porta attenzione planetaria, porta addirittura qualità, ma questa è un’aggravante sulla rosa del Milan, imperfetta e carente: una squadra che alla bulimia offensiva contrappone una pochezza disarmante in difesa, dove siamo a livello di zona retrocessione con gli attuali Kaladze, Jankulovski e Maldini, e che senza Gattuso a centrocampo è nulla sul piano dinamico. Pirlo è il ricordo del giocatore che fu, Flamini vantava una sola stagione da titolare in passato, l’ultima a Londra; è stato strapagato in termini di ingaggio (soffiato alla Juve) e rappresenta per il Milan quello che per la Juve è ad oggi Poulsen. Cioè un investimento deficitario, com'era parzialmente prevedibile. E se trovi posto a Ronaldinho, giunto dalla Catalunya per fare del Milan qualcosa più del “club più titolato del mondo”, non puoi pensare di farlo coesistere con Kakà, che le partite migliori della stagione le ha disputate con il dentone in panchina. Non si scappa, o uno o l’altro. E intanto il Barcellona, che si è liberato del testimonial de “l’alégria”, viaggia a ritmi che nella sua storia non ha mai toccato… Meno male che davanti c’è il fenomenale Pato, perché l’inevitabile declino del sempre generoso Inzaghi e il fragoroso fallimento dell’operazione Shevchenko (ma c’era da aspettarselo), lasciavano al solo Borriello il compito di frequentare assiduamente l’area di rigore: la sfortuna ci ha messo del suo, ma il salto nella grande squadra il centravanti napoletano l’aveva patito. Ancelotti ha colpe, ma se chiedi un grande difensore e ti comprano Ronaldinho, cosa puoi sperare? Che Beckham ti sembri più prezioso di quanto in realtà sia. Perché gli altri sono peggio. Le notizie dal fronte Mediaset sembrano confermare un irrigidimento della proprietà (prevalentemente da parte dei figli più influenti del presidente) nei confronti del club, che è invitato ad andare avanti con le proprie gambe senza ricorrere ad assegni staccati dalla casa madre. Più o meno ciò che avviene a Torino, con la differenza che alla Juve queste cose riuscivano benissimo anche prima di Calciopoli, nonostante qualcuno continui a negare l’evidenza. Se il Milan sia di fronte ad un cambio epocale, lo vedremo presto; di fatto l’attuale dirigenza ha sempre chiesto alla proprietà sacrifici economici e nell’eventualità di questa sterzata Galliani & C. dovranno organizzarsi, perché il colore della passione (il rosso), non venga irrimediabilmente sopraffatto da un mesto e lugubre nero.


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