Perdere è come morire

Primi in classifica con 60 punti, 19 vittorie, 3 pareggi, una sconfitta; 6 punti di vantaggio sulla seconda, 13 sulla terza. Pareggio in casa della quinta forza del campionato, per quanto rocambolesco. Normale, no? O almeno: accettabile. No, né normale né accettabile. Non se sei la Juventus, non se l'allenatore è Antonio Conte. Bastava guardarlo in faccia ieri pomeriggio per capire che no, non si poteva accettare. Quando in serata arriva la notizia dell'annullamento del previsto lunedì di riposo mi appare la cosa più normale del mondo. Se avevi visto in faccia Conte, lo sapevi già.
Alcuni hanno trovato eccessiva questa decisione, altri autoassolutoria. La premessa è che i problemi che hanno portato la Juventus a subire 7 goal nelle ultime 5 partite di campionato come fossero 7 fotocopie e con modalità che ricordano molto la prima parte della stagione, non sono scaricabili solo sui giocatori ma chiamano in causa anche il responsabile del gruppo, che evidentemente non è stato in grado di apportare i giusti correttivi (che siano tattici o di richiamo a maggiore attenzione o entrambi) man mano che questi episodi si susseguivano con sconcertante ripetizione. Ciò detto, però, chi si stupisce evidentemente non conosce Antonio Conte. Se la Juventus in questi due anni ha ottenuto questi risultati è perché ha acquisito una mentalità che non prevede né tollera passaggi a vuoto come quelli che si stanno ripetendo da un mese a questa parte e che nelle partite precedenti (Cagliari, Sampdoria, Lazio, Inter) non sono costati il risultato solo grazie alla dabbenaggine degli avversari e a un pizzico di fortuna. Una certa svagatezza palesata quando i risultati si presumono acquisiti, l'incapacità di gestire tranquillamente un risultato favorevole senza staccare del tutto la spina e soprattutto la percentuale vertiginosa di situazioni di pericolo subite in seguito a situazioni di palla inattiva (alcune si tramutano in goal, altre rimangono semplicemente pericoli corsi con frequenza oramai fuori controllo) sono segnali di allarme di fronte ai quali serviva dare una sterzata forte, prima che le cose precipitino e che si possa mettere in pericolo una leadership sinora indiscutibile, ma che non mette al sicuro il risultato finale, data la presenza alle spalle di una squadra che viaggia allo stesso ritmo della Juventus dell'anno scorso.
Quello di ieri non poteva essere un normale pareggio contro la quinta in classifica, per le circostanze nelle quali è maturato. E a nulla vale il vantaggio sulla Roma rimasto inalterato o la consolazione di un cammino che resta comunque straordinario. Al netto del gioco un po' ozioso della distribuzione delle colpe, c'era la necessità di sferzare un ambiente che dimostra troppo spesso la tendenza a sedersi, specchiarsi e dare tutto per scontato, dimenticando che i risultati ottenuti in due anni sono passati dall'acquisizione di quella mentalità che Conte, nel suo libro, ha riassunto nell'efficace slogan "Per me perdere è come morire". Ecco, se domini per un tempo, se hai la partita in mano e commetti errori su errori consentendo all'avversario di raggiungere un insperato pareggio, non può essere una cosa normale, anche se hai fatto 60 punti su 69. Perdere, soprattutto così, è come morire.
Come? Non abbiamo perso? Sì, numericamente sì. Solo numericamente.
 
 
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