LA FORMULA MAGICA

Secondo gli inquirenti, i possessori di sim svizzere avrebbero concordato tra di loro una codice segreto per comunicarsi il momento in cui accendere i dispositivi non intercettabili. Tale codice sarebbe stato identificato nella parola “accendi” che Moggi dice a Pairetto in un’intercettazione contenuta nei fascicoli della Procura di Torino. Peccato che tale convenzione sia presente una sola volta, quella appunto, e non compaia mai nelle numerosissime telefonate esaminate dalla Procura di Napoli.

IL CODICE IMEI

Il codice IMEI è quel numero che identifica univocamente il telefono cellulare. Ogni apparecchio, anche se di differenti marche, possiede uno ed un solo codice di quel tipo. Tale codice (in gergo definito “master”) è molto importante dal momento che viene sempre abbinato al numero telefonico (detto “slave”) tenuto sotto controllo. Questa procedura permette di scoprire se il soggetto monitorato inserisce schede diverse sullo stesso appaecchio. Guardando i tabulati è infatti possibile sapere quale IMEI carica quali e quante schede. Ed è ciò che è accaduto alla Procura di Torino dove, proprio grazie a questo tipo di confronto, sono state scoperte altre utenze in possesso di Luciano Moggi. Leggiamo dalla richiesta di archiviazione di Marcello Maddalena:

Altre utenze cellulari in uso al Moggi (più esattamente, attraverso le intercettazioni dei numeri seriali master e slave si rendeva possibile intercettare più schede che il Moggi utilizzava nei suoi cellulari) venivano intercettate (decreto n.659\04 R. Int) a partire dal 12.8.04.

Nonostante questo tipo di controllo, né nel provvedimento torinese, né nelle informative dei Carabinieri di Roma viene mai menzionata l’esistenza di una scheda straniera. Eppure, se anche una sola volta Moggi avesse caricato una scheda su uno degli IMEI sorvegliati, l’abbinamento sarebbe stato immediatamente visibile.
Questo ragionamento conduce ad una conclusione logica: è stato verificato che Moggi era in possesso di almeno 3-4 telefoni cellulari “italiani” e gli viene imputata la detenzione di 5 schede svizzere le quali venivano attivate previa comunicazione in codice. Se aggiungiamo che la prima regola di chi non vuole farsi scoprire è accendere il telefono il meno possibile, non ci resta che pensare a un Moggi a spasso per l’Italia con una valigetta contenente una decina di cellulari sempre e costantemente trillanti Un Moggi che dovrebbe passare la giornata a togliere e mettere schede, ad accendere e spegnere telefoni, sempre attento a non confondere le utenze normali con quelle “segrete”. Insomma, uno scenario decisamente caotico…

SPECCHIETTI SBAGLIATI

Una delle incongruenze più clamorose è contenuta negli specchietti riassuntivi – pubblicati da Repubblica e disponibili nella sezione download del sito - in cui i Carabinieri mostrano il numero di chiamate intercorse tra Moggi, Bergamo, Pairetto, Fabiani e gli arbitri nei giorni che precedono le partite precedentemente elencate. Queste tabelle, una per ogni arbitro sospettato, suddividono le chiamate in periodi quasi sempre settimanali. Ed è proprio in due di questi che è possibile riscontrare evidenti anomalie.

dal 10/01/05 al 17/01/05

Se il periodo considerato e i numeri di telefono coincidono (come in questo caso) non è possibile avere dati differenti: negli specchietti di Racalbuto (pagina 9), Paparesta, Gabriele e Cassarà, Moggi chiama 4 volte Pairetto e riceve da lui 6 telefonate. 3 le chiamate verso Bergamo. Nello specchietto concernente De Santis (pagina 1), invece, risultano 12 comunicazioni in uscita e 18 in entrata con Pairetto, mentre quelle con Bergamo da 4 diventano 7.

Dal 1/02/05 al 07/02/05

Nelle tabelle relative a De Santis e Cassarà, Big Luciano telefona in 5 occasioni a Pairetto, mentre quest’ultimo lo ricambia 4 volte. Nella tabella con Gabriele le chiamate risultano rispettivamente essere 2 e 12.

Difficile pensare ad un errore di battitura o di trascrizione, dal momento che le difformità sono presenti in 12 specchietti e 4 settimane diverse. Attendiamo che i processi forniscano una spiegazione.

L’ULTIMO SEGMENTO

Un’altra singolare congettura dei pm napoletani contribusice a suscitare ulteriori perplessità sulla validità del quadro accusatorio: secondo la ricostruzione offerta Moggi chiamava designatori e arbitri, il messinese Fabiani chiamava gli arbitri, gli arbitri però non chiamavano mai i designatori. Se assumiamo che fosse l’ex direttore generale bianconero a condizionare in via diretta le giacchette nere, è come implicitamente ammettere l’infondatezza delle imputazioni che l’estate scorsa hanno fornito il pretesto per la retrocessione della Juventus. Nelle teorie rupertiane e sandulliane, infatti, Moggi condizionava indirettamente il settore arbitrale attraverso le sue promiscue relazioni con Bergamo e Pairetto. I due avrebbero successivamente provveduto ad istruire i direttori di gara (o a lasciar loro intendere) su come comportarsi in campo. Il cosiddetto “ultimo segmento”, necessario per il configurarsi dell’illecito sportivo. Ma se non esistono telefonate tra i due designatori e gli arbitri, né sulle utenze italiane, né su quelle straniere, ci si chiede come abbiano potuto Bergamo e Pairetto portare a termine il loro disegno criminoso. Quindi, la mancanza di chiamate sulle utenze svizzere è la prova che i designatori non si sono mai mossi per condizionare alcunché, come invece hanno voluto far credere le sentenze sportive dello scorso anno.

IL MURO DI GOMMA DEI NON PENTITI

Particolare non trascurabile: tutti gli arbitri coinvolti hanno fermamente negato di aver mai posseduto delle schede telefoniche svizzere.
Così spiega Mauro Messeri, avvocato di Bertini (da QN del 6 maggio 2007): «il mio assistito queste schede non le ha mai comprate, possedute e tanto meno gliele ha regalate il signor Moggi […] Juve-Milan fu giocata il 18 dicembre del 2004, appunto, e secondo l’accusa fra Bertini e Moggi ci sarebbero state, alla vigilia della partita, quarantadue telefonate. Siccome le designazioni arbitrali si conoscono il venerdì all’ora di pranzo e siccome Juve-Milan si giocava di sabato, se fra Bertini e Moggi ci fossero state quarantadue telefonate avrebbero trascorso al telefono un giorno intero, quel giorno che intercorre dal venerdì al sabato. Non basta: per eventuali input, ovvero per dire a Bertini che doveva arbitrare a favore della Juve, credo che sarebbe bastata una telefonata o addirittura due soggetti appartenessero a un’associazione che aveva lo scopo, fra gli altri, di favorire la Juve come ipotizza l’accusa. A ciò si aggiunga che Bertini, al termine di quella partita, ottenne dall’organo arbitrale il massimo dei voti. L’anno dopo, peraltro, lo stesso Bertini arbitrò Milan- Juve, unica partita persa dalla squadra bianconera in quella stagione (3-1, ndr). E ci furono polemiche furibonde della dirigenza bianconera nei confronti del mio assistito […] Telefonate che si dice siano agganciate ad Arezzo risulterebbero sia quando Bertini non arbitrava la Juve sia quando non arbitrava alcuna partita».
I giornali parlano della mancanza di un pentito, di qualcuno che abbia finalmente voglia di alleggerirsi la coscienza e sputare il rospo. A nessuno è mai venuto il dubbio che, forse, di pentiti non è il caso di parlare se il fatto non è stato commesso, almeno fino a prova contraria.
E poi, l’unica volta che qualcuno si è deciso dire finalmente la sua – l’arbitro Mazzoleni (ha rivelato di aver ricevuto pressioni per arbitrare in favore della Lazio) – ne è uscito cornuto e mazziato:

Quattro mesi di squalifica per Mario Mazzoleni. La Caf ha sanzionato l'arbitro per violazione dell'articolo 40 del regolamento dell'Aia, oltre all'articolo 3 del codice di giustizia sportiva. Norme che prevedono la lealtà da parte dei fischietti e il divieto di rilasciare dichiarazioni sulle partite dirette. Mazzoleni aveva denunciato a Striscia la notizia di aver ricevuto pressioni dall'allora designatore arbitrale Mattei prima del match Lazio-Cagliari della stagione 2005-2006. (Ansa, 30 maggio 2007)

Se decidi di parlare, parla contro la Juve…

COME MEANI

In sede di conclusione è opportuno proporre un’ultima riflessione. Per comprovare la sussistenza di un’associazione a delinquere non basta dimostrare che le schede svizzere furono effettivamente consegnate agli arbitri. È necessario disporre dei contenuti delle conversazioni. Altrimenti sarebbe come essere accusati di omicidio per il semplice fatto di possedere una pistola. D’altra parte, se dovesse emergere che le conversazioni in oggetto hanno lo stesso tenore di quelle tra Meani, gli arbitri e i guardalinee, allora vi sarebbe la prova dell’erroneità delle sentenze federali. In quel caso, infatti, sarebbe stato giusto punire la Juventus con 8 punti e la partecipazione alla Champions League…