La condotta attribuita a Moggi ed al Pairetto attiene alla fraudolenta composizione delle griglie arbitrali: oltre alla provata 'riunione' del 21.09.2009 intercorsa tra i due imputati (oltre a Bergamo) sovvengono la eloquente conversazione fra il Pairetto e l’arbitro Dondarini (n. 841 del 21.09.2004 vol V Perizia Porto sull’utenza 303 in suo al Pairetto), in cui il primo si raccomanda con il secondo 'di avere cinquanta occhi bene aperti' e 'di vedere anche quello che non c’è!', ricevendo l’assenzo del Dondarini e con ciò riferendosi al suo prossimo arbitraggio nella partita di cui all’imputazione” (pag. 155, Sentenza d’appello).
Avendo letto tutte le sentenze emesse dal Tribunale di Napoli relative al processo Calciopoli eravamo abituati ad una certa approssimazione dei giudici rispetto al contenuto delle carte processuali e dei fatti reali sottostanti. E così non ci siamo per nulla stupiti nel riscontrare un paragrafo come quello riportato qui di sopra, estratto dalla sentenza della Corte d’Appello e relativo al capo d’accusa F. In queste poche frasi c’è tutta farsopoli: dati (e date) sbagliati, riferimenti a casaccio, taglia e cuci, logiche sconclusionate, e la parola “condanna”.
Condanna, come quella confermata per la frode relativa alla partita Juventus-Lazio del 5/12/04. Avevamo analizzato questo capo d’accusa in un precedente articolo ("Speciale Calciopoli: F, Juve-Lazio con effetto farfalla", cui rimandiamo per ulteriori dettagli) e già allora lo avevamo considerato uno dei più avventurosi in assoluto tra quelli portati in tribunale contro l’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi. La condanna infatti poggiava su una convinzione cervellotica, e cioè che, a monte, il fatto di includere o meno Dondarini nella griglia dei sorteggi avesse determinato, a valle, la messa in pericolo del corretto e leale svolgimento della partita. A nulla rilevava il fatto che a Dondarini non fosse pervenuto alcun messaggio corruttorio né dai designatori arbitrali né tantomeno da parte Moggi o di chiunque altro.
Per questo capo d’accusa non c’erano schede straniere da spendere né altri elementi di rilevanza e quindi il punto focale della prima condanna era stato rappresentato dal fatto che “i designatori fecero accedere Dondarini al sorteggio per quella griglia inserendo nella relativa valutazione il gradimento di non legittimato a manifestarlo, Moggi, circostanza, questa, che, comunque, nella visione del tribunale, sembra possa ricadere nella previsione della norma penale, potendosi decifrare la sia pur marginale potenzialità a incidere sulla partita, posto che ogni arbitro, con il suo bagaglio di cognizioni, è pur sempre diverso dall’altro, diversa ne è la capacità, che non va confusa con la buona fede, che si presume per tutti, e ciò non solo perché questa è la regola, ma perché, com’è stato ampiamente dimostrato al dibattimento, la dinamica del gioco del calcio aumenta a dismisura il rischio dell’errore. Non importa, dunque, che al dibattimento è emerso, con specifico riferimento a questa partita, che in nessun errore ebbe ad incorrere Dondarini, a danno di questi o quello, se il contenuto delle intercettazioni telefoniche consente di affermare che su quel campo Dondarini avrebbe anche potuto non esserci” (pag. 123 della Sentenza in primo grado).
 
Ebbene, la Corte d’Appello riesce a fare ancora peggio, spostando indietro di quasi tre mesi la cena pre-natalizia, che avvenne con mogli a seguito ad inizio dicembre del 2004, e non come afferma erroneamente la Corte d’Appello il 21/9/09 (tralasciamo l’ulteriore strafalcione sull’anno di riferimento).
Quindi c’è l'interpretazione assolutamente falsa delle frasi sui “cinquanta occhi” per “vedere anche quello che non c’è”, frasi dette 21/9/04 in un preciso contesto in riferimento a Sampdoria-Juventus e non, come assurdamente afferma la Corte, “riferendosi al suo prossimo arbitraggio nella partita di cui all’imputazione (Juventus-Lazio del 5/12/04, quasi tre mesi dopo, ndr)” (pag 155).
A corredo di tutto ciò, i giudici incredibilmente confermano la bufala, già ampiamente smontata (cfr. "Calciopoli e l'uso della logica") secondo la quale Moggi conosceva i nomi dei guardalinee in anticipo (8781 del 3/12/04). Infine viene mantenuta la rilevanza della telefonata tra Baldas e Moggi per il processo di Biscardi, in cui Moggi “difende” come di consueto l’arbitro della partita della sua squadra per evitare di alimentare le solite polemiche arbitrali, fatto che invece per i giudici rappresenta una sorta di pericolo per l’imparzialità di giudizio dell’arbitro.
Per la Corte d’Appello è dunque questa “convergenza di plurimi elementi ovvero di atti conseguenziali con carattere della fraudolenza in quanto 'turbativi' della correttezza ed imparzialità della conduzione di gara che supportano la responsabilità dei due imputati per tale imputazione” (pag 155).
 
Riassumendo, le motivazioni del giudice d’appello per questo capo d'accusa sono, se possibile, ancora più surreali di quelle del tribunale di primo grado, poiché addirittura mischiano e sbagliano cose elementari, usandole scorrettamente a proprio vantaggio per poter condannare Luciano Moggi per il reato di frode sportiva. Viene seriamente il dubbio che questo giudice non abbia capito, oppure non sappia, cosa contengano realmente le telefonate utilizzate per condannare e tantomeno quando e in quali contesti esse siano avvenute. Emettere un giudizio con questi presupposti rappresenterebbe l’ennesima conferma di una farsa chiamata Calciopoli.
 
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