Continuiamo la nostra miniserie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.


Apriamo ora la pagina relativa alle due condanne dovute alla messa in pratica delle presunte “ammonizioni preventive “, teorema, ricordiamolo, “richiamante la dottrina di Meani (ex addetto all’arbitro legato al Milan, ndr), espressa per telefono (vedi udienza 23/3/10, controesame avv. Prioreschi) (pag. 111 nelle motivazioni della sentenza), e cui il tribunale ha voluto dare credito nelle due circostanze in cui è stato proposto dalla Pubblica Accusa. Tratteremo subito il capo d’imputazione B, poiché rappresenta un naturale passaggio di consegne con le “telefonate di Biscardi”, che anche in questo caso si rivelano utili a puntellare la condanna. L’altro capo contente le “ammonizioni preventive”, il capo G, invece, verrà analizzato assieme al capo I, poiché legati l'un l'altro.

Il capo B è quello relativo “all’incontro con risultato 1-2 tra Udinese e Brescia, svoltosi a Udine il 26/9/04, incontro della quarta giornata di andata del campionato di calcio di serie A 2004-2005” e accusa l’ex-direttore al tempo della storica vittoria in campionato per 1-6 a San Siro contro il Milan, di ”turbativa generata dal motivo di favorire la Juventus nella prospettiva della partita da giocarsi dalla detta società in Udine nella successiva data del 3/10/04, e conclusasi con il risultato 0-1, vittoria della Juventus”. Nello specifico tale turbativa si sarebbe manifestata tramite “atti fraudolenti, ad opera del Dattilo (l’arbitro della partita, ndr), nella dolosa ammonizione dei calciatori Pinzi, Muntari e Di Michele e nella dolosa espulsione del calciatore Jankulovski, tutti in forza alla squadra dell’Udinese, (...) così che il calciatore Jankulovski veniva, conseguentemente, squalificato dal giudice sportivo per l’incontro dell’Udinese con la Juventus, atti dunque che, sia pur finalizzati ad influire sull’andamento della partita successiva, comunque alteravano l’andamento e la regolarità dell’incontro tra la squadra friulana e quella lombarda, in quanto la gara dell’Udinese risultava condizionata dalle tre ammonizioni e dalla espulsione inflitte dal direttore di gara”.

Come anticipato, oltre agli immancabili contatti su schede telefoniche stranierein un arco di tempo prossimo alla competizione sportiva” (pag. 111), ricostruiti con metodi molto discutibili dal maresciallo Di Laroni, ma giudicati in questo caso “con un grado di probabilità prossimo alla certezza, dal momento che quella stessa scheda risulta essere in contatto con” (pag. 111) la moglie dell’arbitro, vengono in soccorso, appunto, anche una serie di telefonate di Luciano Moggi e Fabio Baldas del Processo televisivo di Biscardi. Prima di elencare le telefonate con l’ex designatore arbitrale, facciamo notare che Dattilo, nel periodo immediatamente antecedente alla gara, non veniva dato dal Di Laroni in possesso di una scheda straniera. Come già evidenziato in un precedente articolo, quando uscì la sentenza dell’abbreviato, il maresciallo attribuisce una scheda al Dattilo soltanto per il periodo dal 12/11/04 al 12/2/05, in cui non arbitrò la Juve, né una partita con una squadra che la gara successiva avrebbe poi affrontato la squadra bianconera. E oltretutto appare piuttosto evidente in questo capo d'accusa il tentativo, a dir la verità piuttosto maldestro, del tribunale di gettare fumo e confondere le acque con queste schede straniere, poiché nelle altre circostanze in cui compaiono le sim i giudici sono molto solerti ad indicare numero telefonico, data e ora delle telefonate, mentre qui abbiamo soltanto un generico riferimento.

Tornando al processo di Biscardi, le telefonate in "difesa" del direttore di gara sono:
- la 335 del 20/9/04, in cui Moggi chiede al suo interlocutore di “salvare” Bertini, Dattilo e Trefoloni. La gara arbitrata da Dattilo era Livorno-Chievo;
- la 803 del 26/9/04, in cui entrambi discutono sull’interpretazione regolamentare (errata ad avviso dell’ex arbitro ed ex designatore arbitrale, corretta secondo Moggi) data da Dattilo all’episodio con il portiere friulano rimasto a terra infortunato da cui era scaturita la rete del Brescia.
- la 851, interrotta e ripresa nella 853 del 27/9/04, in cui il giorno successivo prosegue la discussione tecnica sull’episodio oggetto della precedente telefonata con la conclusione da parte di Baldas, dispiaciuto, che “questo ragazzo Dattilo” non abbia saputo gestire l’episodio, né il seguito della gara, “poi c’è nella rissa, sai lì fa vedere che poi c’è una mancata espulsione di Bachini. È andato un po’ nel pallone lui. Poi c’è un rigore per il Brescia grande come una casa, dopo alla fine che non ha dato. Cioè lui poverino ha perso la testa” e l’impegno di cercare “quanto meno di giustificare qualcosina, insomma”.
- la 877 del 27/9/04, in cui discutono della trasmissione appena terminata e del trattamento equo ricevuto dall’arbitro Dattilo, favorito dalle considerazioni giustificative di Baldas, e che Moggi ritiene “una cosa giusta, dai su! È meglio fare le cose giuste che le cose sbagliate” con il giudizio su Dattilo valutato come “una cosa equilibrata”.

Fa da corredo alle motivazioni anche una telefonata, la 641 del 26/9/04 relativa a Udinese-Brescia, quella del famoso “se Dattilo è un po’ sveglio, dimezza l’Udinese”, detto dopo la gara dall’allora amministratore delegato della squadra bianconera, Antonio Giraudo, al suo interlocutore Luciano Moggi e a nostro avviso senza valenza alcuna. Nonostante nel capo d’imputazione vi fossero accuse di atti concreti, come le presunte ammonizioni ed espulsioni fraudolenti, i giudici motivano la condanna come sempre in modo piuttosto generico, catalogando, in mancanza di meglio, il reato come reato di tentativo:

sempre premesso che il contenuto delle conversazioni telefoniche deve essere esaminato alla luce della particolarità del reato contestato, nel quale l’intervento repressivo è sganciato dall’esito della gara, e il tentativo è già consumazione, vanno indicate le telefonate che il tribunale ritiene di poter utilizzare per la condanna (le cinque Moggi-Baldas e quella di Giraudo appena elencate, ndr). In esse si intravede un atteggiamento di protezione non disinteressato del Dattilo, che, pur se inserito in un discorso di commento sportivo su diversa e già trascorsa partita, peraltro nel contesto di un esame di più partite indifferenti alla contestazione, può, nella visione del tribunale, essere indicativa di dimestichezza volta a suggerire all’arbitro, comunque pericolosa nell’imminenza della partita, al tempo cioè in cui l’arbitro deve realizzare quella concentrazione e sintonia con gli assistenti, non con altri, di cui hanno riferito tutti indistintamente gli operatori del settore, che sono stati esaminati al dibattimento.” (pag. 112)

Dopo appunto l’elenco delle conversazioni incriminate i giudici concludono che “non vale, quindi, alla difesa di Moggi far valere che i diffidati da Dattilo hanno poi giocato la successiva partita con la Juventus, e che con ragione l’arbitro Dattilo ebbe a prendere la decisione di espellere Jankulowski, poiché aveva tirato un pugno in faccia a un competitore (vedi anche spontanee dichiarazioni di Moggi a udienza 27/4/10), e neppure vale che la decisione fu presa da Dattilo su segnalazione dell’assistente (...), che, esaminato al dibattimento all’udienza del 23/11/10, così si è espresso: sì, ci fu una mia segnalazione per fare espellere un calciatore dell’Udinese, Marek Jankulovski, che si era reso protagonista di un atto violento e rientrava nei miei doveri intervenire per segnalare all’arbitro questa cosa... il regolamento del gioco calcio dice che se l’arbitro non ha potuto controllare l’episodio, è tenuto a fidarsi della segnalazione del suo assistente... sul campo ovviamente la sanzione doveva comportare l’espulsione, altrimenti io da assistente non ero neanche tenuto ad intervenire” (pag. 117).

In pratica, non si produsse alcun effetto fraudolento concreto su Udinese-Juventus, partita successiva a Udinese-Brescia, poiché gli ammoniti disputarono regolarmente la gara e la decisione presa dall’arbitro sull’espulsione fu corretta. Tuttavia, poiché Moggi “difendeva” Dattilo nelle conversazioni private con un esponente del Processo di Biscardi, acquistano rilevanza gli incroci su schede straniere in prossimità della gara, su cui si può quindi ricamare, non avendo alcuna trascrizione del loro contenuto, che fossero pericolose, poiché avvenute in una fase in cui “l’arbitro deve realizzare quella concentrazione e sintonia con gli assistenti, non con altri, di cui hanno riferito tutti indistintamente gli operatori del settore, che sono stati esaminati al dibattimento”.

Premesso che, come già visto in precedenza, i contatti su schede straniere non sono di per sé sufficienti per condannare, e detto del fatto che, addirittura in palese contraddizione con le motivazioni del tribunale, Di Laroni per il periodo antecedente alla partita, non attribuisce a Dattilo alcuna scheda svizzera, tramite cui farsi turbare “quella concentrazione e sintonia con gli assistenti etc” per Udinese-Brescia, anche in questa circostanza per i giudici è risultata decisiva la stampella “telefonate con Biscardi”. Oltre alle contraddizioni, ciò che lascia veramente molto perplessi è proprio il livello di genericità ed astrazione che raggiunge il reato di pericolo in questo caso e su cui si deve quindi spingere il giudice per poter condannare. Ci si sarebbe eventualmente potuti aspettare, per i parametri di questa sentenza estremamente arbitraria, una condanna seguendo il filo logico del capo M, già traballante di suo, ovvero il tentativo di condizionare il risultato della gara stessa dovuto al binomio schede svizzere-Biscardi (a cui, ricordiamo ancora una volta, manca comunque la parte dei contatti “svizzeri” in prossimità della partita).

Ma poiché Udinese-Brescia in quanto tale non aveva alcun risvolto in funzione della Juventus, si è dovuto “fare la derivata”, ricorrendo alla “dottrina Meani”, per trovare il movente: l’intenzione di favorire la Juventus nella partita successiva. Peccato però che questo vero e proprio castello di carta in aria, sul campo, non produsse assolutamente nulla di concreto, essendo state tutte le decisioni disciplinari dalla quaterna arbitrale prese correttamente. Siamo dunque ad un livello ancora più estremo delle accuse da bar a proposito del “gol di Muntari” oppure del “gol di Bierhoff”, dove almeno le reti da parte degli avversari della squadra bianconera vennero effettivamente segnate ed ingiustamente non convalidate. Continuando il paragone da bar, diciamo che siamo piuttosto a livello del “gò de Turone”, che tanto scandalo suscitò negli anni ‘80, salvo poi essere ampiamente dimostrato essersi trattato di fuorigioco, nonostante moviole artificiali e moviolisti interessati abbiano cercato disperatamente di dimostrare il contrario.

Puntate precedenti:
SPECIALE CALCIOPOLI: A5, Il "salvataggio" della Fiorentina
SPECIALE CALCIOPOLI: Z, La Roma-Juventus dei "traditori"
SPECIALE CALCIOPOLI: O, La partita di Abeijon
SPECIALE CALCIOPOLI: M: Vuoi mettere Kakà