Calciopoli quattro anni dopo/1 - La terza stella

giustiziaQuattro anni incredibili, nel senso che chi mai avrebbe creduto sarebbero potuti esistere? Dalle prime settimane fatte di incredulità, poi di sconcerto, fino alla mitragliata in pieno petto del 31 agosto, quando fu chiaro che la Juve non aveva più nessuno, se non tutti quelli che come me l’amavano e non l’avrebbero mai tradita. Quattro anni di studio matto e disperatissimo, per tentar di capire come e perché fosse accaduto quel che non poteva accadere, inoltrandosi in territori sinora inesplorati, perché
la Juventus era stata sempre qualcosa da amare, per cui gioire o soffrire: e che fosse stata usata per questo e per quello, da questo e da quello, non stava né in cielo né in terra.
E adesso, fermandomi un attimo a chiedermi il senso del mio agire, ho almeno una certezza, basata non più, come quattro anni fa, sulla mia fede incrollabile, ma sugli esiti di tante ‘indagini’, sulla disamina dei fatti concreti, cui ho chiesto di smentire quel sentimento popolare che ha quasi distrutto la Juve.
Ora ho la certezza: la Juve non ha commesso nulla di male, zero illeciti, si è limitata ad essere la Juve, a prevalere sulle avversarie in tornei assolutamente regolari, in cui ha in fondo più subìto che preso; poi un gorgo maledetto l’ha inghiottita, ed è finita in mano a chi ha pensato di poterla usare per finalità che con lo sport nulla avevano a che fare: la faida familiare degli Agnelli, le sorti della Fiat, gli intrecci di potere di un gruppo di amici di merende (e che merende!), l’aspirazione dei media ad ergersi a giudici, usando come metro di giudizio solo l’astio e la frustrazione covati in tanti anni di sterile invidia.
Visto che la sedicente giustizia sportiva non aveva nemmeno provato a sembrare tale, emettendo le sue congrue sentenze preconfezionate da avvocati difensori sì, ma di interessi altri, a prescindere da un corretto esercizio della difesa degli incolpati, toccava al processo penale, quello di Napoli, portar fuori le prove, in un senso o nell’altro. Che ci fosse puzza di bruciato era qualcosa di cui si poteva aver sentore da subito, visto come nessuno dei media avesse inizialmente mostrato il minimo interesse all’evento; e solo pochi gruppi ‘carbonari’, attaccati agli audio di Radio radicale, diffondevano sul web la novella: clamoroso! i testimoni dell’accusa stavano subendo una strana metamorfosi, spesso non riconoscevano quello che compariva nei verbali e ai pm, che cercavano di offrire al giudice Casoria la pistola fumante con la quale ‘finire’ Moggi e la Juve, non portavano in dono che le loro sensazioni: le sensazioni di Nucini, confidate al sodale ‘illegittimo’ Facchetti, quelle dell’ex arbitro Pirrone, quelle di Copelli, quelle, comiche invero, di Manfredi Martino, appese ad un colpo di tosse, poi quelle di Zeman, di Varriale, di Marocchi, di Cellino, del magistrato Cosimo Ferri e di Carletto Ancelotti. Più l’accusa si rivelava un castello di sensazioni, più si consolidava la certezza che tutto non fosse stato altro che un gigantesco inganno, troppo tragicamente assurdo per sembrare vero. Anche perché i fatti, quelli che il colonnello Auricchio sventolava come risultanze del campo, beh, non erano del campo, e neanche, ahimè della tv, ma solo una lettura, talora anche distratta, della gazzetta, con i suoi errori e la partigianeria (chiamamola così…) dei suoi adepti. Per non parlare dei ‘verosimilmente’ che hanno costellato il teorema delle sim svizzere proposto da Di Laroni: di dati certi ed esatti nemmeno l’ombra, tante ipotesi, tanta confusione, la fantasia interpretativa al potere.
E poi la deflagrazione delle nuove intercettazioni, con la loro forza dirompente: prima della grigliata moggiana, frutto solo di un calcolo probabilistico, c’erano state altre grigliate, questa volta miranti ad indirizzare subdolamente la scelta di un arbitro; e all’altro capo del filo spuntavano anche arbitri. Emerge che sui direttori di gara non pesava tanto la rabbia di Moggi alla fine di una partita ‘rubata’, quanto la pressione di Facchetti prima di una gara.
Considerata la situazione sotto questo punto di vista, da una parte l’animo pare autorizzato ad aprirsi alla speranza: bene, se basta una telefonata, si dice, altri dovranno subire molto più di quel che ha subito la Juve, che peraltro di ‘quelle’ chiamate non ne ha, e dunque, crollato il cupolone, dovrà riavere i due scudi, e un congruo risarcimento; e del resto la Juve di Andrea Agnelli ha chiesto il rispetto del principio di equità.
Ma non sarà tutto così semplice. Fin dove si spingerà il suo coraggio? Fin dove lo faranno arrivare, anche? Ha cominciato a far piazza pulita intorno a sé, ma coi poteri forti? E poi nel frattempo c’è una squadra da ricostruire, perché, se Calciopoli ha abbattuto lo squadrone, i suoi epigoni hanno ridotto in briciole quel poco che era rimasto, mettendo al suo posto un castello di carte, destinato a crollare alle prime pallonate. E noi tifosi, si sa, vogliamo vedere la nostra squadra far bene sul campo, farci divertire e gioire, come è nella tradizione della Juventus. Altrimenti, come diavolo li avrebbe mai potuti vincere quei 29 scudetti sul campo???
L’attesa intorno ad Andrea è tanta, il paragone col padre rischia di schiacciarlo, quello era un altro mondo, un mondo in cui i giornalisti facevano i giornalisti e non gli inquirenti, non c’erano i cellulari né la Telecom, c’era il gioco del calcio, con gli arbitri e i loro errori, con giocatori da vendere e comprare.
Ecco, Umberto acquistò Charles e Sivori e portò a casa la Prima Stella.
Ad Andrea chiedo la Terza Stella: se non si lascia fermare e avanza deciso su tutti i fronti, basta vincere un altro scudetto.