Un Trillo da Corso Agnelli/15

stadioL'ennesimo pomeriggio di un giorno da (El)cani comincia con lo speaker dello stadio che annuncia l'ordine di arrivo del Gran Premio di Formula 1. L'ovazione è "bicamerale", ovviamente, dalla nord alla sud, così come i fischi per Schumacher arrivato sesto. Tradimento: non sia mai. Viva le rosse di Montezemolo, invece, che il tradimento, lui sì, non sa manco dove stia di casa.
Non c'è verso. Al tifoso juventino non basta nemmeno essere arrivato per la prima volta in cent'anni nella condizione di non avere un futuro, per riuscire a discernere tra "un" passato e "il" passato. Questo in sede lo sanno, eccome se lo sanno, e ci scommetto un incisivo di Grygera che non è un caso che lo speaker dello stadio sia diventato - maledizione a loro, maledizione a noi - la brutta copia di Carlo Zampa. "Per la Juventus ha segnato il suo gol numero trecento... il Nostro Capitano!" eccetera eccetera.
Il mio non è bastiancontrarismo. E' solo che relegare il passato di Alessandro Del Piero - grandissimo, sia chiaro - insieme a quello di tanti altri, e non al rango di Storia della Juventus, dovrebbe essere normale.
Del Piero è una mattone, non la casa. E l'essenza di ciò che scrivo sta tutta in quel pallone che, sul 3-2 e con la squadra in evidente calo fisico, non diventa il più facile degli assist per Trezeguet che probabilmente avrebbe chiuso la partita. No, il Capitano si incaponisce a cercare il gol numero trecentodue, puntando e sbattendo contro a un difensore dell'ultima in classifica come Fantozzi e Filini nella mitica sfida tra scapoli e ammogliati.
Forse sarebbe facile, e anche comodo, puntare il dito contro il terzino destro "che tutto il mondo ci invidia" (sms di un un carissimo amico dopo il primo gol del Siena), e magari anche contro chi lo manda in campo, per spiegare l'ennesima figura di merda di questa ennesima stagione di merda. Ma non ho perso ore e ore di sonno a cercare di capire chi e cosa ci abbiano portati fin qui per giungere alla conclusione che la Juventus dei fuoriclasse, del lavoro, della mentalità vincente, e soprattutto dell'"ognuno stia al proprio posto", la mia Juventus insomma, tutto ciò l'abbia smarrito solo per colpa di qualche mezzo giocatore e dei suoi orrori.
Al limite, giusto per continuare a scomodare i santi, faccio notare una cosa. Quel terzino ceco che tutto il mondo ci invidia venne consigliato alla Triade, poco meno di una decina di anni fa, da un certo Pavel Nedved. Ora, senza volere infierire sul fatto che una dirigenza seria un simile bidone non l'avesse manco preso in considerazione, la domanda è: come ve lo spiegate voi? Tutto scemo, il Drago di Cheb? O mica che Raiola, o chi per lui, ci covasse?
Tant'è che, filosofeggiamenti a parte, alla sostituzione di Del Piero si sfiora la rissa tra juventini seduti nel mio settore. "Non ci dà più". "Che cazzo dici, ne ha fatti due!". Interviene un terzo incomodo, seduto un po' più in là, e ovviamente si rivolge al primo: "Hai già detto abbastanza cazzate, sarà meglio che stai zitto". Fine delle trasmissioni.
Siamo talmente ancorati a certi eroi del recente passato da non riuscire a vedere le ombre lunghissime dentro le quali si sta incamminando il nostro futuro. Tutto questo mentre a Manchester, dopo un 4-0 rifilato al Milan dei Meravigliosi in Champions League e un giusto, giustissimo, ma intenso quanto breve tributo all'ex David Beckham sul prato verde di Old Trafford, sventolano le sciarpe giallo-verdi del Newton Heath per alzare un mulinello di vento e vergogna che possa portarsi via i neo-proprietari americani tutti in Red (in banca) e manco un po' Devils (nel cuore).
Da noi, a Torino, sono tornati gli striscioni, e di petardi in curva nemmeno l'ombra. Bene, anzi benissimo. Si festeggiano i trecentouno gol di Del Piero. Si festeggia il tabellone quando il Palermo va sotto a Udine. Si aspira al quarto posto discettando di tradimenti e samurai.

E di cori contro la dirigenza nemmeno l'ombra. Ecco, questo è male. Anzi malissimo.