Effetti collaterali

agnelli vaderetroNon è il momento di parlare di crisi, perché esprimere ancora pareri su questa indefinibile Juve sarebbe come sparare all’ambulanza che va a soccorrere l’ambulanza uscita di strada mentre andava a salvare una terza ambulanza, caduta in burrone. Inutili anche ulteriori anatemi contro il lungodegente Blanc, cui manca ormai qualche anno di età e un cappello da gendarme per completare la mutazione comica in Louis De Funès. Il “progetto”, in fin dei conti, parla da sé e, in un’estrema e surreale analisi, lo si potrebbe paragonare a quella facezia sull’omino che cade da un grattacielo e che, a metà del suo volo, dice tra sé e sé: “Beh, fin qui tutto bene”.

Il negazionismo e il recente silenzio dei vertici societari lasciano però intendere la vera natura del fallimento attuale. Con ogni probabilità, era stato messo in preventivo l’ennesimo anno sabbatico, con Ferrara a caronteggiare la barchetta verso la riva di Sua Permalosità Lippi.

Nel frattempo si sarebbe navigato al piccolo cabotaggio, stordendo l’auditorio con interviste ridondanti e guardandosi bene dal disturbare il piano, quello sì autentico, del recupero scudetti della Milano interista che, con il titolo di quest’anno, avrebbe raggiunto il break even point con i cugini milanisti.

Alla fine di questo programma quinquennale, il ritorno all’antico, a quell’allenatore che fu uomo della Triade ed emblema di vittorie. Insomma, una dichiarazione di incapacità mascherata da gran furbata. Con l’aggravante di non aver raggiunto praticamente nessuno degli obiettivi fissati.

Infatti se Ferrara, facendo peggio del previsto, sta mettendo in discussione l’acquisizione di quello primario (qualificazione alla Champions), il management bianconero ha imbarcato acqua per quanto riguarda tutti quelli “secondari”: l’operazione simpatia è miseramente fallita, insieme con la presunzione di poter attenuare la voglia di certi curiosi dall’indagare sui perché dei fattacci di tre estati orsono.
Non è solo questione di target mancati, ma di tutta una serie di circostanze assolutamente impreviste, effetti collaterali diretti dell’insipienza del gruppo dirigenziale. Ne citiamo due, sperando di stimolare proficue riflessioni.

La prima è la più evidente: la Juventus gioca come una provinciale. Con Capello le piccole squadre le si lasciava sfogare, salvo poi asfaltarle in corso di partita. L’atteggiamento, pur sfondando in una certa sicumera pagata cara in Europa, era quello degli uomini dabbene, convinti dei propri mezzi e sagaci nello sfoggiarli al momento opportuno. Ora, invece, ci si pone sul piano degli altri e, fin dal primo minuto, i nostri in campo sembrano frenetici cagnolini dietro a una pallina di gomma, patetici cavalieri di un tremendismo senza ronzino e alabarda.

La seconda, invece, è la più inquietante: nessuno ha più paura di incontrare la Juventus. Qualsiasi squadra, e in particolar modo quelle di minor pregio, giocano con tranquillità e padronanza (vedi Bologna, Chievo, Catania, Bari, ecc…), in alcune casi addirittura con spavalderia (Napoli, Bari), consapevoli di avere ottime possibilità di centrare un risultato positivo. Ad andare in affanno siamo sistematicamente noi, prigionieri di carneadi che si improvvisano fenomeni.

Ma se per il primo aspetto il responsabile è quasi esclusivamente Ciro Ferrara, per quanto riguarda il secondo dobbiamo ancora una volta dirigere lo sguardo ai piani massimi della società. Aver svenduto la propria storia per puntare ad uno pseudo rinnovamento etico, così come coprirsi di ridicolo con dichiarazioni tragicomiche e ammissioni di colpe inesistenti ha reso la Juventus debole, più che sul campo, nelle menti degli avversari. Non reagire mai agli insulti mediatici, chinare il capo di fronte ad ogni polemica e farsi da parte in favore dei veri potenti ha non solo intaccato la storia secolare del club, ma sgravato di ogni importanza quella intima e interiore, collettivamente condivisa da tutti gli appassionati di calcio. Quella per la quale, come ebbe a dire un calciatore di Madama, gli altri se la facevano sotto prima ancora di scendere in campo.