Riflessioni di uno ju29nne

bandieraSono reduce dalla bella finale di Champions League, in questa sua edizione un po' holliwoodiana dal gusto "gladiatorio". Sono reduce dagli applausi a Messi e a tutti quei campioni che ci hanno regalato una serata di calcio vero, giocato come non si vedeva da tempo. Sono ancora riscaldato dall'entusiasmo verso la squadra catalana, a cui devo anche le prime lacrime versate da tifoso bianconero quando ci eliminò dalla Coppa Coppe 1991 a un passo dalla finale. Corsi e ricorsi. Sono felice per questa squadra partita con lo sfavore di tutti quei filosofi del calcio che danno per scontato tutto: che una squadra sia già in affanno a tre giornate dall'inizio del campionato; che un allenatore giovane sia privo dell'esperienza necessaria; che una grande squadra è direttamente proporzionale al portafoglio del suo presidente; che una squadra se vince e sbaraglia gli avversari deve avere per forza arbitri e tresche da melodramma a lavorare dietro le quinte.

E' questo Barcellona che mi offre lo spunto per pensare ad un parallelismo con una Juve-che-era e a una Juve-che-potrebbe-essere, nella misura in cui le scelte della società spagnola sono simili a quelle che sono state della Juventus FC prima di farsopoli. E simili a quelle scelte che a mio avviso potrebbero fare di una squadra un modello di società sportiva vincente e sana. Mi riferisco al fatto che la sera della finale il Barcellona (e a dire il vero anche se in minor misura il Manchester United) aveva in campo per sette undicesimi il suo stesso vivaio. Cresciuto, rinvigorito, curato maniacalmente secondo un modello preciso, un piano a lungo termine che parte da lontano e che porta Messi, Iniesta e Puyol ad essere il prodotto finito di una macchina sfornacampioni. Ecco. Suona molto malinconico e melanconico pensare che a un progetto del genere la Juventus FC stesse approdando negli anni in cui alla guida della Società c'erano delle persone e dei manager capaci e lungimiranti: il progetto di una Juve totale, quello di una società sportiva supportata da una micidiale macchina commerciale. Capace di imporre un marchio, un brand riconoscibile in tutto il mondo. Capace di affrancarsi da certi meccanismi da piccolo cabotaggio per essere la nave ammiraglia di una realtà calcistica dal potenziale infinito. Mi genera una sorta di piacere autoerotico pensare che squadre costruite a suon di milioni di euro grazie a campagne acquisti faraoniche, a pozzi di San Patrizio finanziari di dubbia solidità strutturale, siano rimaste a guardare forse con un po' di invidia questa lezione di calcio e di vita. Alludo ai vari Real Madrid, al Chelsea, e soprattutto alla stessa Internazionale FC, marchiata SARAS SpA: società prontissime a metter mano al portafogli, a riempirsi di campioni come si riempie un bordello ad ogni cambio di stagione... Ma si sa che la storia è un'altra. E davvero mi viene da pensare a cosa sarebbe oggi la Juventus FC - questo brivido bianconero che oggi deve vestire una calzamaglia con la marca di un trattore - se le vicende societarie e umane ci avessero regalato questi tre anni di successi di cui siamo stati derubati impunemente e per cui ci aspettiamo giustizia.

Ma non è solo una questione di progettualità, capacità innata nel manager vero, a farmi pensare a un progetto futuribile che avrebbe potuto essere. E' anche questione di quotidianità, oggi che ci troviamo spettatori della lotteria per la guida tecnica della nostra amatissima squadra. E penso che se Guardiola - altro uomo Barça fino al midollo - da ex giocatore, da giovane allenatore e da bravo tecnico ha portato la squadra ad un tris storico (Liga, Copa del Rey e CL), non vedo perché nel futuro della Juve non ci possa essere una figura che esce da una storia professionale juventina. E mi rammarica non solo vedere che la Juve si abbassa allo sport preferito dal signor Moratti, ossia l'esonero degli allenatori; ma anche mi rammarica immaginare che la guida della squadra sia oggetto di speculazione e opportunità. Niente contro Spalletti. Niente contro Gasperini. Niente contro nessuno. Ma uno ce l'avevamo, un certo Deschamps. Da calciatore ha vinto qualcosina, anche con la nostra divisa addosso, non solo quella blu della sua nazionale. Cacciato via in virtù di non so quale piano mistico e strategico della nostra dirigenza arrembante dopo una stagione vittoriosa (perché anche in B la Juve è capace di vincere). E altri due li abbiamo lì, senza troppo andare distante: Conte, che ha dimostrato di saper portare una squadra in serie A giocando nel peggiore girone infernale dantesco, ossia la serie B italiana; e Ferrara, Ciro il Grande, che alla guida della primavera conosce i giovani leoni che potrebbero essere il nostro domani e che alla corte di Marcello Lippi (uno che di Juve sa qualcosa) ha vinto un mondiale.
Ma temo che questi due campioni siano in continuità troppo netta (lo era forse anche Didier?) con quella cosa meravigliosa che era la Juventus FC e che ora l'operazione "simpatizza e distruggi" di corso Galileo Ferraris vuole cancellare dalla nostra eredità storica. Ma si sa: essere bianconeri è una questione di DNA. E la genetica non tradisce mai...

Con questo vi chiedo scusa se vi ho annoiato con qualche riflessione. Ma vi seguo e leggo con piacere rinnovato ad ogni vostra nuova uscita.
E visto che esco da nove mesi di passione calcistica (quasi fosse un parto) culminati con una festa nerazzurra degna del peggior rococò in cui il ritornello sono i quattro scudetti di fila vinti da una multinazionale in mutande marcate Pirelli, avevo dentro un po' di rabbia anch'io e un po' di magone da sciogliere. E siccome qualche giorno fa di anni ne ho compiuti VENTINOVE, ho deciso di brindare a questo mio amore per la Juventus prendendo la libertà di scrivervi e scomodare la vostra attenzione.

Per qualcuno il calcio è un gioco. Per altri un affare. Per me era, è e sempre sarà una squadra che si chiama Juventus. Alla salute!

Con affetto e stima

Tony de Longhi