CAMPI MINATI - Lo scaricabandiera

campi minati"Luciano Moggi ha agito travalicando le proprie mansioni, che non prevedevano contatti con gli arbitri e che non gli attribuivano i poteri di rappresentanza". Con questo principio la Juventus, in 34 pagine, ha riaffermato la propria estraneità alle attività illecite portate avanti dell'ex direttore generale bianconero davanti al tribunale di Napoli.

In attesa di avere ulteriori informazioni in merito, oggi voglio raccontare un'altra storia.
Un'altra storia, diversa da quella scritta dai giornalisti, dai giornalai e dalle veline. Un'altra storia che è la mia storia, una parabola, per la quale ho scelto di usare la prima persona, assumendomi ogni responsabilità di quanto state per leggere. Questa è la storia di due capitani: Giacinto Facchetti e Xavier Zanetti.
Da figlio di tifoso interista, ho assistito settimana scorsa alla celebrazione dell'attuale capitano dell'Inter, che con l'ultima partita disputata ha superato Giacinto Facchetti come numero di presenze in maglia nerazzurra.
"Javier Zanetti non è 'una' bandiera, ma 'la' bandiera dell'Inter. Sono onoratissimo di essere qui, in una giornata in cui ricordiamo il grande Giacinto e abbiamo con noi non una bandiera, ma la nostra bandiera, anche la mia personale, perché lui è stato il primo giocatore ad arrivare all'Inter quando sono diventato presidente". Questa la frase di Massimo Moratti, seduto accanto a Zanetti e al figlio di Facchetti, professione attore sconosciuto.
Da tifoso Juventino, ho assistito all'espressione sul volto di mio padre e mi è bastato per capire. Paragonare Facchetti a Zanetti è, nell'immaginario mio e di mio padre, come paragonare Scirea a Birindelli.
Nessuno dice che il secondo sia scarso, solo che se la storia si può riscrivere, i piedi e i ricordi no, non si possono cambiare.
Xavier Zanetti nasceva 37 anni fa, nell'anno in cui Facchetti e l'Inter disputavano la loro ultima finale di Coppa dei Campioni. Con la maglia dell'Argentina ha disputato 5 finali: Olimpiadi di Atlanta (secondo), Copa America 2004 (secondo), 2007 (secondo), Confederations Cup 1995 (secondo), 2005 (secondo). Con la maglia dell'Inter il nulla o quasi, prima dell'arrivo di Guido Rossi.
Riassumere i risultati ottenuti dal Facchetti calciatore impiegherebbe troppe righe.
Nell'entusiasmo, per altro giustificabile dalla necessità di riuscire, almeno una volta, a superare il passato, quarant'anni di carriera in nerazzurro sono stati cancellati, per onorare il presente glorioso di chi vede gli anni pre calciopoli come un'incubo, non tanto per lo spauracchio Moggi, quanto per lo scomodo paragone tra i risultati ottenuti rispetto a quelli del padre.
"Qualche mese fa ti chiedevo un po’ scherzando un po’ sul serio come mai non riuscivamo ad avere un arbitro amico, tanto da sentirci almeno una volta protetti, e tu, con uno sguardo fra il dolce e il severo, mi rispondesti che questa cosa non potevo chiedertela, non ne eri capace. Fantastico. Non ne era capace la tua grande dignità, non ne era capace la tua naturale onestà, la sportività intatta dal primo giorno che entrasti nell’Inter".
Così lo salutava Massimo Moratti nel giorno del suo funerale, dimenticandosi di tante cose, forse troppe. Dicendo anche tante cose, forse troppe.
Ognuno può legarsi a quello che crede, avere il suo ricordo personale. Ma quando si tratta di riscrivere la storia, si cerchi almeno un po' di rispetto.
Le bandiere si vedono quando le cose vanno male, non quando si viene fuori con frasi ad effetto per aizzare i tifosi. Le bandiere ci sono sempre e sempre mettono la faccia, anche nei momenti peggiori, e con calciopoli l'abbiamo visto.
Le bandiere non si scaricano con la frase riportata ad inizio articolo, tanto per dire.
Ho avuto la fortuna di conoscere gente come Scirea, Furino, Bettega, Del Piero, Boniperti: non mi serve ispirarmi ai valori di Facchetti. Spero che un giorno, chi a Torino invece fa ancora confusione, si ricordi che certe cose non si possono cambiare, che altre si devono cambiare, che la propria storia e i propri ricordi vanno difesi, così come i giocatori e i dirigenti che hanno fatto grande la Juventus. Altrimenti si fa la fine di quel Bergomi scaricato da Massimo Moratti, che guida la classifica delle presenze in maglia nerazzurra, ma che nessuno ha mai ricordato. Questa è roba da interisti, da bandiere da ammainare e sventolare a seconda dell'opportunità, una volta ogni 15 anni, magari con l'aiuto di Guido Rossi. Noi siamo la Juventus, e le nostre bandiere dobbiamo sempre tenerle alte. Altrimenti un giorno qualcuno paragonerà Cobolli Gigli a Boniperti, o Alessio Secco a Luciano Moggi, Poulsen a Nedved o Floccari a Trezeguet. Altrimenti ci si dimentica di rivendicare i propri scudetti e si cerca di scaricare la colpa su chi non c'è, ma in fondo è ancora nei cuori di chi ama la Juventus.
Il tempo passa, i ricordi no, la storia qualcuno può riuscire a riscriverla, ma gli uomini, quelli veri, vanno sempre rispettati.