Lettera ad Allegra Agnelli

Allegra

11 marzo - Gent.ma Signora Agnelli,
come avrà visto, ieri sera lo Stadio Comunale indossava il vestito della festa, delle grandi occasioni, con i vecchi gradoni di cemento, coperti attualmente da poltroncine colorate, frementi ed emozionati di ospitare nuovamente un incontro decisivo di Champions League. Una volta si chiamava Coppa dei Campioni, e noi, come Juve, abbiamo faticato a vincerla con le formazioni più forti del mondo, quelle che annoveravano tra le loro file Platini, Rossi, Tardelli, Bettega, Boniek, Zidane, Ibra, Emerson e tanti altri assi bianconeri. Figuriamoci se potevamo vincerla con Brazzo,Tiago e Grygera!
Lo stadio era un urlo continuo, completo in ogni ordine di posto.
Così almeno poteva apparire agli occhi di tutti. In realtà il Comunale era vuoto, come sempre lo è da quando nessun Agnelli si va ad accomodare su quelle poltrone. Tutto quel pathos, che sommergeva lo stadio al ritorno in un match fondamentale per la coppa che conta, spingendo la squadra verso una difficile vittoria, era orfano dei veri padri della Juve, dei due grandi condottieri che, ogni volta, guidavano undici leoni vestiti di bianconero verso traguardi meravigliosi. Amavo definire suo marito Umberto e l’Avvocato il dodicesimo e il tredicesimo giocatore in campo, talmente era pesante e carismatica la loro presenza lassù, in piccionaia. Noi tifosi potevamo scorgerli, addirittura, all’interno dell’area avversaria o nel cerchio del centrocampo, impegnati in un contrasto feroce o in un colpo di testa magistrale. Sono certo che l’Avvocato avrebbe lasciato con gioia la fascia di capitano a suo marito Umberto, certamente il meno romantico tra i due ma molto più concreto e pragmatico. Sì, loro due erano sempre sul campo a sudare e combattere con i giocatori: in realtà si potevano avvistare seduti vicino, nel settore che spettava rigorosamente ai big. Ecco che lo sguardo di ogni tifoso volava avidamente verso quel settore, alla ricerca dei due fratelli. Qualcuno, addirittura, si faceva aiutare da un binocolo: “Papà, ho visto l’Avvocato ed Umberto”, gridava l’entusiasta fanciullo al padre accanto a lui. Ecco che quel bambino era certo che la Juve avrebbe vinto, perché in tribuna erano seduti i fratelli Agnelli. Quel bambino si sentiva più forte, sicuro che se non riusciva a segnare lo Zidane o l’Inzaghi di turno, avrebbe riparato Gianni o Capitan Umberto con un tiro da fuori area. Tutti i tifosi si sentivano invincibili, come gli Apache che pregavano di fronte ai loro totem, prima di andare incontro al “viso pallido”, spietato conquistatore delle loro antiche terre. E anche Lei, cara Signora, fedele compagna di Umberto, non si perdeva una gara della nostra “Goeba”, soffrendo insieme a tutti noi, con la sua Juve nel cuore, con l’amore che suo marito le ha trasmesso, senza tanta fatica, molto naturalmente.
Ieri sera la Juve ha pareggiato con il Chelsea, venendo eliminata con dignità, ha scritto qualcuno.
Cara Signora Allegra, cosa ce ne facciamo noi tifosi juventini, abituati ultimamente a conquistare il mondo, della dignità? La dignità, è bene ricordarlo, l’abbiamo persa il giorno che due sprovveduti decisero di ritirare il ricorso al Tar, non volendo difendere quello che suo marito Umberto aveva costruito con tanto amore, accettando una serie B assurda, voluta da tutta il mondo antijuventino. Lei, insieme a suo figlio Andrea, certamente conoscerà la verità di quella retrocessione e spero che un giorno ce la potrà svelare.
Il 26 maggio 2007 il professor Bertinetti e Gianni Volpi, rispettivamente critico letterario e cinematografico di fama, si recarono a deporre 29 rose sulla tomba di Gianni ed Umberto. Il professor Bertinetti e Volpi sono due soci fondatori dell’Associazione Amici della Juve, di cui sono orgoglioso di far parte, e quelle 29 rose rappresentavano i nostri 29 scudetti vinti sul campo.
Quel giorno, insieme a Paolo e Gianni, eravamo presenti tutti noi: tredici milioni di tifosi bianconeri innamorati di un sogno, orfani dei loro veri padri, che ci mancano tanto.

Con affetto,
Riccardo Gambelli