Da Barcellona un messaggio all'"Itaglia"

barcellonaE adesso andateglielo a dire a quel tizio capriccioso che gioca di sponda col palazzinaro madrileno, giusto per elemosinare un milioncino in più. Un milioncino da aggiungere ad un già imbarazzante stipendio. Dite a quel tizio che non serve riempire di stronzate le pagine dei giornali e gli schermi televisivi solo per il gusto di apparire figo e superiore. Quello che è necessario è raggiungere gli obiettivi per i quali si è stati chiamati ad assumere un ruolo. E se c’è qualcuno che non è soggetto a “prostituzione intellettuale”, faccia il piacere di ricordargli che lui, arrivato come novello Re Mida, di questi obiettivi ne ha centrato miseramente uno solo, riuscendo a far peggio del suo predecessore, quello che per il popolino era un incapace. Il resto, sono solo chiacchiere. Ditelo chiaramente anche a quel ricco petroliere viziato, quello che il milioncino in più lo sgancia per paura di perdere il suo prezioso chiacchierone, da lui venerato come un semidio. Andate da quei due, e raccontategli che ci sono persone serie, discrete, preparate ed educate, che scelgono il basso profilo e parlano con i fatti.
Persone che lavorano sodo e in modo concreto, mica maniaci del look mutevole quasi fossero divi del cinema.
Parliamo di gente che in un anno si è liberata di pesanti, costosissime zavorre e ha trasformato il proprio ambiente, ridotto tipo un cimitero degli elefanti, in una specie di giardino dell’Eden, il tutto affidandosi a scommesse che in realtà erano tali solo all’apparenza, perché figlie di competenza e buon senso.
Gente che gestisce un club che, per quel popolo, non è solo un club, e lo amministra separando totalmente la parte finanziaria da quella tecnica, dove l’uomo di calcio è sovrano, e l’amministratore è al suo servizio.
E i risultati sono evidenti, un mese di maggio passato a festeggiare una vittoria dietro l’altra, a suggellare un’annata forse irripetibile ma vissuta al massimo, una vera libidine, unendo il bello al redditizio, mentre altrove si resta a bocca aperta e ci si azzuffa come galline, preoccupandosi solo di difendere il proprio pollaio.
Quando vivremo dalle nostre parti stagioni del genere?
Noi siamo diventati la fiera dei sogni minori, la fiera degli scarti e degli imbolsiti.
La fiera dei Ronaldinho, dei Tiago (che siano Mendes, Motta o Silva non importa, con la “h” o meno), dei Poulsen, dei Milito e dei Quaresma.
Una pletora di falliti che nel nostro scalcinato panorama "itagliano" hanno trovato posto, chi con fortuna, chi meno.
E che vengono osannati come fossero divinità.
Ma che, appena mettono il naso fuori confine, ricevono schiaffi senza ritegno da gruppi di ragazzini irriverenti.
Cosa siamo diventati? Un cimitero degli elefanti, come la NASL americana degli anni ’70, dove bidoni e vecchi ronzini si tuffavano per raccattare l’ultimo milione, quello per il quale oggi quel tizio di prima fa i capricci.
Chissà cosa avrà pensato, davanti alla tv, Mister Z., il vero valore aggiunto del capriccioso, quello che magari deciderà di rinunciare a qualche milione per approdare in un posto dove si possa fare sul serio.
Perché Mister Z. e il suo dirimpettaio sudamericano dalle nostre parti sono come gli ultimi mammuth. Gli ultimi grandi esemplari di quella categoria.
Mister Z., in particolare, è l’ultimo arrivato, guarda caso portato da noi per merito di chi era avanti anni luce rispetto alla mediocrità imperante, e che per questo doveva essere fatto fuori. Com’è avvenuto.
Chissà cosa avrà pensato, Mister Z., tra un lancio di Xavi, una serpentina di Iniesta e una magia di Maradonino Messi.
Chissà se avrà pensato; “se non fosse successo quello che è successo 3 anni fa, in questo momento sarei lì con loro, o contro di loro”. Immaginiamo che stasera a casa di Mister Z. abbia regnato il silenzio, magari interrotto da qualche telefonata ad uno con la faccia da pizzaiolo e dall’accento napolandese. E che la richiesta sia stata una sola: “fammi giocare con quelli che fanno vedere alla tv stasera”.
Immaginiamo che, nella stessa città, in un'altra casa, quella del dirimpettaio sudamericano, qualcuno abbia avuto gli stessi pensieri, anzi li abbia da tempo, tanto che quest’anno il suo rendimento li ha resi evidenti, palpabili, tanto costui ha dispensato il proprio talento in maniera svogliata, quasi con presunzione e insofferenza.
E che quelli del sudamericano siano più che semplici pensieri lo dimostra il fatto che qualcuno stia pensando di sostituirlo con un cavallino di ritorno, decisivo nel torneo più inutile del Continente. E’ il segno dei tempi.
Intanto, in un’altra casa, in una città a poco più di un centinaio di chilometri di distanza, la città dove ha sede una squadra che fino a qualche anno fa lavorava seriamente e vinceva, speriamo che i televisori siano stati accesi e sintonizzati sulla partita e non sul Roland Garros. E, magari, speriamo che questa partita, ma soprattutto il dopo partita, siano stati registrati. Perché sentire l’avvocato Laporta prostrarsi letteralmente ai piedi del suo direttore sportivo “Txiki”, è una cosa che andrebbe vista e rivista mille volte, per imparare a capire quanto una figura di quel genere sia indispensabile. A maggior ragione dove c’è tanta gente che ha molto, se non tutto, da farsi perdonare. Tanto è il rancore, per quello che è uno strappo che non sarà mai ricucito, una ferita che fa tanto male ogni giorno e non guarirà mai.
Tanta è stata la rabbia provata nel guardare una finale giocata dal meglio che oggi l’Europa può offrire, pensando a quel film interrotto mentre ci si apprestava a snobbare, come meritava, la brutta compagnia del Paese, per vedersela solo con i grandi d’Europa. Così come fa rabbia aver perso gli ultimi tre anni con un gruppo di lavoro incompetente, dal primo all’ultimo, addirittura affidandosi, negli ultimi due, a chi complica le cose per definizione, a chi ha paura di attraversare il ruscello per paura di bagnarsi i piedi e allora bivacca sul letamaio, quando la lezione di questi giorni sancisce il trionfo della semplicità e del non accontentarsi di vincere e basta. Non importano i nomi, non importano i curriculum.
Importa crederci ed essere speciali. Ma per davvero però, non a parole come quel tipo dal capriccio milionario.


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