Doping
Farmacia Juve: facciamo chiarezza/3
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- By Davide Fumagalli
Tornando ora alla vicenda sportiva (se così si può definire), al di là del giudizio sull'operato medico, ci si deve soffermare su di un ennesimo spunto di riflessione: quali giocatori, compresi i detrattori di Moggi e della dirigenza juventina nel complesso, una volta andati via da Torino, hanno accusato la Juve di pratiche illecite o sospette? Possibile che nessun giocatore "onesto" e pulito abbia giocato con la maglia bianconera negli anni '90? Mi vengono in mente un paio di possibilità: forse erano assenti condotte tali da essere considerate "strane", se non illecite, dagli atleti stessi; o forse perché vi erano le medesime pratiche in uso presso altri club... chi lo può dire?
Beh, forse qualcuno, in realtà, ha già provato a raccontare qualcosa. Il 21 marzo 2006, l'ex giocatore dell'Inter Grigoris Georgatos affermò di aver "visto alcune cose ed ho capito cosa stava accadendo". Secondo il greco, "(l'Inter, ndr) non c'entrava nulla. C'erano gruppi di persone che rifornivano i giocatori". E poi: "Chi gioca per tanti anni ad alti livelli non ha bisogno di ricorrere agli anabolizzanti... chi gioca pochi anni e poi sparisce, invece...".
Sempre in casa Inter, si ricorda il caso Kallon, risultato positivo al Nandrolone nell'ottobre 2003. Venne poi squalificato per sei mesi. Analoga sorte, qualche anno prima (2000-2001), per Shalimov, Bucchi, Monaco, Couto, Stam, Davids, Gillet e Guardiola, e Blasi, sempre nel 2003. Nessuna indagine, naturalmente, venne avviata sulle società di club, né sulle Nazionali (da cui sembravano provenire alcuni casi, come l'Olanda).
Diverso il caso di Marco Borriello, che all'epoca militava nel Milan, positivo a due diversi corticosteroidi nel dicembre 2006 (diede la colpa alla pomata vaginale della fidanzata, versione poi smentita dagli ambienti antidoping del CONI). Per lui tre mesi di squalifica.
Come dimenticare il caso Cannavaro? Il famoso filmato della flebo, girato ai tempi in cui il giocatore militava nel Parma, trasmesso in TV (Rai) ovviamente mentre il difensore era già approdato a Torino? Bene, anche in quell’occasione la Juventus paradossalmente fu costretta a difendersi mediaticamente da attacchi provenienti non solo dal mondo del pallone. Ci si poteva chiedere, invece, perché la società Parma non fosse stata indagata. Non era doping, ma perché l'abuso di farmaci doveva configurarsi solo per la società bianconera?
In seguito, Cannavaro, entrato ormai nel “giro” dei presunti dopati, venne trovato positivo dopo l’assunzione di farmaci steroidei in seguito alla puntura di una vespa, come regolarmente notificato dai medici sociali juventini. Il tribunale antidoping propose una squalifica per comportamento superficiale da parte dello staff sanitario bianconero, che si rivolse subito al Tas di Losanna; il Tas, che ha accolto il ricorso, in data 3 settembre 2010 ha assolto i due medici e ha obbligato il CONI a risarcirli.
Senza andare a scomodare gli anni '60 e le recenti rivelazioni di Ferruccio Mazzola riguardanti l'Inter ai tempi Helenio Herrera, tralasciando persino le morti ed i casi di malattie tumorali o degenerative, rare nella popolazione generale, ma assai frequenti tra i calciatori di determinate squadre degli anni '60-'70, possiamo citare comunque episodi incresciosi avvenuti in tempi molto più recenti. Nel marzo 2005, 15 calciatori, tra cui ben 5 milanisti, tra cui Seedorf e Gattuso, rifiutarono di sottoporsi ai controlli incrociati, voluti, tra gli altri, da Galliani stesso e introdotti un anno prima. Le loro giustificazioni ("non sussistevano condizioni igieniche adeguate") vennero completamente sconfessate dai responsabili dei laboratori antidoping: in un comunicato ufficiale, il presidente della Federmedici sportivi, Maurizio Casasco, sconfessò le giustificazioni addotte dai rossoneri: "Gattuso non è mai entrato nel locale del prelievo ematico, ma solo nel locale predisposto per la raccolta del campione di urina. […] I medici sportivi non trattano gli atleti come 'animali', ma esercitano il loro ruolo con sensibilità e serietà professionale. Pertanto non è giustificabile che per giustificare una decisione, peraltro legittima, si facciano affermazioni prive di verità e se ne attribuisca la colpa al comportamento dei medici".
Nonostante i proclami di Galliani e le promesse di Carraro, Gattuso e Pancaro non vennero esclusi dalle convocazioni per la Nazionale. Inoltre, il centrocampista del Milan, che era consigliere dell’Aic (Associazione Italiana Calciatori) sembrò aver dimenticato di essersi battuto per l’introduzione della nuova metodologia di controllo, come conferma l’impegno preso di fronte a Campana. Nessuno indagò sulla vicenda, tanto più perché un tale rifiuto contravviene la norma 2.3 del Codice Mondiale Antidoping, che titola: "Rifiutare o omettere, senza giustificato motivo, di sottoporsi al prelievo dei campioni biologici previa notifica, in conformità con il vigente regolamento antidoping, o sottrarsi in altro modo al prelievo dei campioni biologici". La relativa sanzione è descritta nello stesso codice, all'art. 10.2: "Prima violazione: due anni di squalifica. Seconda violazione: squalifica a vita".
Tutti questi esempi vogliono arrivare ad un punto che non è assolutamente secondario: ipotizzando che ogni azione sia stata compiuta rimanendo nei limiti della legalità, a discriminare tra comportamento corretto o meno si devono necessariamente prendere in considerazione le singole condotte societarie per poter giudicare l'andazzo generale. Troppo facile tacciare di "abusi" o di "illeciti" una sola parte, senza poi verificare quale fosse il comportamento altrui. E non si faccia il paragone con le infrazioni al codice della strada! Lo sfortunato che prende la multa non è mica l'unico che ha infranto le regole, ma è il solo ad essere stato colto sul fatto. Nel calcio si parla di competizione sportiva, i risultati di uno dipendono anche dai risultati degli altri; l'equità degli organi giudicanti, ma anche di chi diffonde notizie, dovrebbe essere sacrosanta. Perché si mosse soltanto la Procura di Torino? E perché, secondo Zeman, solo i calciatori e la società bianconeri erano gli emblemi del dilagare delle "farmacie sportive" italiane?
E sì che proprio i paladini ex giocatori del tecnico boemo, ai tempi della guida della Lazio ('94-'98), dichiararono, in qualità di testimoni al processo doping, di conoscere sostanze e pratiche di comune utilizzo tra i calciatori: Favalli e Negro confermarono l'uso di creatina nel 1995, poi sospesa per aver determinato l'aumento di peso dell'ex capitano biancoceleste. Negro disse:"Con Eriksson non abbiamo mai preso creatina, con Zeman sì".
Durante un'udienza del medesimo processo, i legali della difesa depositarono un verbale con le sostanze dichiarate dai calciatori avversari sottoposti ai test antidoping nelle sole partite giocate contro Juventus e Torino (anche il Torino, infatti, venne indagato: ma se per i bianconeri si prospettava il reato di frode sportiva, il Torino, con gli stessi farmaci, venne accusato "solo" di frode in commercio. L'accusa, comunque, cadde per entrambe). Si sta parlando di farmaci assunti dagli atleti esclusivamente nei giorni precedenti al match: nulla ci impedisce di pensare che le farmacie di tutti club fossero fornite tanto quanto quelle di Torino. Si parla di Samyr, Voltaren, Neoton, Tad 600, Muscoril, Epargriseovit, Rinogutt, Aulin, Feldene, Creatina Complex, Losferron... e praticamente in tutti i club professionistici italiani.
Anche in Nazionale si usava creatina, il giorno prima delle partite. Altre società (per esempio, il Milan) ne sospesero la somministrazione perché non vi era alcun beneficio.
Zeman stesso parlò di eccesso di farmaci o "cocktail" energetici o tonificanti nelle sue squadre (Roma e Lazio), ma nessuno si prese la briga di indagare, né un solo giornale cercò di fare chiarezza. L'allenatore ceco si confrontava con i medici ed il personale societario, ma non denunciò la situazione dall'interno. Lo fece a fine stagione, solo in un secondo momento. Aziendalismo? Convenienza? Non smetterò di ripeterlo: ben vengano personaggi volenterosi di fare pulizia, di ristabilire o rivedere le norme. Ma queste leggi devono valere per tutti, anche nel mondo del calcio.
Giunti al termine di queste considerazioni, alla luce dei fatti e dei dati esposti, ci si chiede: ora il calcio è davvero più pulito? Oppure lo è solo la farmacia juventina?
Se il trend calcistico ricalca quello dell'intero movimento sportivo italiano e internazionale, sempre orientato verso la ricerca di nuovi trucchetti, e inseguito, lentamente e spesso vanamente, dalle istituzioni che cercano di arginare i "furbetti", possiamo stare davvero tranquilli?
Forse non servivano predicatori nel deserto che guardassero solo verso la Mecca, ma organi di giustizia e di comunicazione più attenti e davvero intenzionati a fare chiarezza sull'intero mondo del pallone.
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Farmacia Juve: facciamo chiarezza/1
Farmacia Juve: facciamo chiarezza/2
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Iniziamo con l'Epo, o eritropoietina umana ricombinante. Ricordiamo che la Juventus è stata assolta fino al terzo grado di giudizio, per non aver commesso il fatto, in merito all'uso di Epo o di pratiche trasfusionali. Crediamo, altresì, che per completezza d'informazione sia importante inserirne un breve riferimento, soltanto per rendere questo breve "prontuario" farmaceutico un po' più completo.
L'eritropoietina è un ormone endogeno secreto dal rene per aumentare la massa eritrocitaria (globuli rossi), quindi in grado di aumentare il trasporto di ossigeno ai tessuti. Esiste già, nel nostro organismo, in condizioni fisiologiche e patologiche. Perché somministrare Epo dall'esterno? Naturalmente il motivo sta nell'indurre un miglioramento del potenziale muscolare durante l'esercizio aerobico (cioè nell'attività fisica che richiede ossigeno: per intenderci, la corsa, il ciclismo... non i 100 metri o il tiro al piattello!), attraverso l'aumento "artificiale" dei globuli rossi (che trasportano ossigeno grazie all'emoglobina: più emoglobina = più ossigeno ai tessuti muscolari). In realtà si potrebbe forzare l'aumento di eritropoietina endogena attraverso esercizio fisico in alta quota, poiché la riduzione della tensione d'ossigeno atmosferico viene compensata dal nostro organismo con un aumento di globuli rossi circolanti, per avere più chances di "agganciare" il poco ossigeno che c'è nell'aria respirata. Il problema è che l'aumento della massa eritrocitaria, che si accompagna, agli esami di laboratorio, con un aumento del valore di ematocrito (Ht), porta con sè il rischio concreto dell'aumento della viscosità ematica e, di conseguenza, un aumentato rischio di occlusioni vascolari, embolie e trombi, a loro volta cause di ipertensione, ictus, aplasia midollare, infarto miocardico acuto, morte improvvisa.
Liposom forte. Si tratta di un farmaco a base di fosfolipidi ipotalamici, componenti delle membrane delle cellule nervose. Il suo utilizzo clinico è giustificato quando si somministra come coadiuvante nella terapia delle alterazioni metaboliche cerebrali conseguenti a turbe neuroendocrine, generalmente al dosaggio di 1 fiala (2 ml) al giorno per via intramuscolare o endovenosa. Il farmaco non richiede particolari avvertenze e precauzioni per l'uso. La somministrazione del prodotto può essere effettuata contemporaneamente a terapia con altri farmaci. Può essere somministrato anche in gravidanza e durante l'allattamento sotto il diretto controllo del medico, non interferisce sulla capacità di guidare; i test preclinici hanno dimostrato che il farmaco è privo di tossicità, di potere mutageno ed è dotato di ottima tollerabilità. Il farmaco contiene, tra gli eccipienti, una minima dose di mannitolo, un diuretico osmotico che risulta incluso dal CIO nella Classe D “Diuretici”, vietata indipendentemente dal dosaggio, comunque insignificante nel produrre qualsiasi effetto diuretico.
Analogamente, i fosfolipidi ipotalamici costituiscono il principio attivo del Tricortin 1000, il quale è indicato per stati ipossidotico-dismetabolici del SNC: traumi cranici, sindromi commozionali e stati post-commotivi, encefalomielopatie aterosclerotiche, cefalee vasospastiche o tossiche, intossicazioni endogene ed esogene, sindromi polialgico-neurosiche: polineuriti tossiche alcoliche, poliradicoloneuriti artrosiche, paralisi periferiche del VII, stati polialgiconeurosici senza base organica obbiettivabile. Anche in questo caso, farmaco sicuro e privo di effetti collaterali noti ai dosaggi terapeutici. Tuttavia, il Tricortin 1000 contiene l'anestetico locale lidocaina che è incluso nelle liste del CIO fra le sostanze con uso a restrizione e necessità di certificazione medica comprovante il diagnostico, che deve essere trasmesso alle autorità sportive competenti a mezzo di notifica.
La lidocaina (o xilocaina) è un anestetico locale, utilizzato spesso durante infusione di prodotti per via endovenosa o intramuscolare per ridurre il dolore locale: è la stessa sostanza che si utilizza per piccoli interventi chirurgici, oppure nelle preparazioni dermatologiche ad uso topico su cute e mucose (pomate per emorroidi o lubrificanti, soluzioni per lesioni orali, ecc...).
Corticosteroidi: il cosiddetto "cortisone". In realtà ne esistono moltissime specialità farmaceutiche, in particolare:
- Depo-Medrol fiale: ha come principio attivo il metilprednisolone ed è generalmente utilizzato per somministrazione per via sistemica intramuscolare o per via locale intra-sinoviale e nei tessuti molli. Le famose "infiltrazioni";
- Solu-Medrol fiale: stesso principio attivo, utilizzato solitamente per infusione endovenosa;
- Betametasone (Bentelan) in fiale e compresse;
- Deflan compresse e Flantadin compresse (principio attivo: deflazacort);
- Flebocortid fiale: a base di idrocortisone.
Indicazioni terapeutiche dei cortisonici: disturbi endocrini, affezioni reumatologiche (artrite psoriasica, artrite reumatoide, tenosinoviti, borsite, artrite), collagenopatie (lupus eritematoso sistemico, cardite reumatica acuta), affezioni dermatologiche (autoimmuni o infiammatorie), stati allergici (per controllare condizioni allergiche gravi o debilitanti non trattabili in maniera convenzionale: rinite allergica, dermatite, asma bronchiale, orticaria), affezioni oftalmiche (congiuntivite allergica, herpes zoster oftalmico, cheratite, neurite ottica, iridociclite, ...), affezioni respiratorie (sarcoidosi, berilliosi, ...), affezioni ematologiche (anemia emolitica acquisita autoimmune, eritroblastopenia, anemia ipoplastica congenita, ...), affezioni neoplastiche (in schemi chemioterapici o per terapia palliativa in leucemie e linfomi negli adulti, leucemia acuta dell'infanzia), stati edematosi, dermatomiosite sistemica.
I corticosteroidi sono dei composti di sintesi la cui attività anti-infiammatoria e glucocorticoide è in genere spiccatamente più elevata di quella dell’ormone naturale, il cortisolo. La corteccia surrenale sintetizza due classi di steroidi (glucocorticoidi, tra cui il cortisolo, e mineralcorticoidi) e ormoni sessuali maschili e femminili. Gli effetti dei corticosteroidi sono numerosi, tra cui alterazioni nel metabolismo dei carboidrati, proteine e lipidi, mantenimento del bilancio idrico ed elettrolitico, preservazione della normale funzione cardiovascolare, del sistema immunitario, del rene, dei muscoli scheletrici, del sistema endocrino e del sistema nervoso centrale (SNC): esiste un generale consenso sul fatto che i glucocorticoidi, agendo su specifici recettori, esercitano effetti diretti sul tono dell’umore, sul comportamento e sull’eccitabilità; va tuttavia sottolineato che questi effetti sono stati rilevati essenzialmente in pazienti in trattamento per psicopatologie. Inoltre, i corticosteroidi consentono all’organismo la capacità di resistere a circostanze stressanti, come stimoli nocivi e cambiamenti ambientali, frenando la secrezione di corticosteroidi endogeni, così che il soggetto non risente degli effetti indotti da una condizione di stress.
L’azione anti-infiammatoria dei glucocorticoidi naturali e sintetici è generalizzata; tutte le fasi della infiammazione acuta e cronica sono contrastate dai glucocorticoidi: l'infiammazione è, tuttavia, un processo di difesa del nostro organismo (contro stimoli esterni, infezioni, ecc...). Spegnere l'infiammazione non sempre è un effetto desiderabile: l'uso, specie se continuativo, di corticosteroidi può lasciare progredire, asintomatiche, ad esempio, una grave infezione o un’ulcera gastrica.
Un ricercato “beneficio” risiede nelle proprietà generali anti-stress di questi ormoni, a fronte di eventi agonistici competitivi o sedute di allenamento gravose. Le prestazioni ad alta intensità, specie se ripetitive, provocano un eccesso di liberazione di cortisolo che configura una negativa situazione di stress, talvolta addirittura con segni quali l'aumento della glicemia, l'alterazione del sistema nervoso, ecc... Un ruolo importante per il contenimento dell’eccessiva secrezione di cortisolo è giocato dall’adattamento all’allenamento e alla prestazione: in un atleta adattato fisiologicamente allo sforzo, la liberazione di cortisolo è inferiore a quella precedente all'allenamento. Questo spiega perché si sono sempre cercate delle sostanze che potessero potenziare la condizione psico-fisica dell’atleta, ma che frenassero l’eccessiva liberazione di cortisolo.
Un esempio di questa tendenza è rappresentato dalla somministrazione agli atleti di desametasone, per cui il soggetto non subisce gli effetti limitanti indotti dall’instaurarsi di una condizione di stress agonistico. Anche per questo motivo, l’uso sistemico dei corticosteroidi è stato inserito nella lista dei trattamenti proibiti dal CIO.
Ai fini delle norme del CIO, la discriminante sull’uso dei corticosteroidi avviene in base alla forma farmaceutica di somministrazione. Fanno eccezione al divieto: l'uso locale (otologico, oftalmologico, dermatologico), la terapia inalatoria (asma, rinite allergica), le iniezioni intra-articolari e locali, previa notifica. Il divieto riguarda, comunque, gli atleti "in-competition", ossia che risultano prendenti parte ad una manifestazione sportiva. Inoltre, alcune sostanze, tra cui tutti i corticosteroidi, sono state inserite dalla WADA in una lista specifica, poiché "sostanze specifiche che sono particolarmente suscettibili di violazioni non intenzionali delle regole antidoping, a causa della loro comune disponibilità nei prodotti medicinali o perché meno facilmente se ne può abusare efficacemente come agente dopante. Una violazione delle norme limitatamente a queste sostanze può portare ad una riduzione delle sanzioni in quanto l'atleta può provare che l'uso di quelle specifiche sostanze non era volto ad incrementare la performance sportiva".
FANS (Farmaci Antinfiammatori Non-Steroidei).Sono i comuni ketoprofene, ibuprofene, diclofenac, nimesulide, ecc... Hanno indicazioni terapeutiche in una svariata serie di affezioni traumatiche e infiammatorie, acute o croniche, dell'apparato muscolo scheletrico (artriti, artrosi, borsiti, tendiniti, contusioni, strappi, distorsioni, stiramenti, ...), ma anche negli eventi flogistici sistemici o locali (faringiti, otiti, linfoadeniti, ecc...). Gli eventi avversi più comunemente osservati sono di natura gastrointestinale: ulcere, fino alla perforazione gastrica e all'emorragia. Nel processo doping, sono stati segnalati l'Orudis (ketoprofene), perché prodotto ospedaliero, ed il Voltaren (diclofenac), per il sospetto di un uso eccessivo su atleti senza effettiva necessità. Non sono sostanze dopanti, né proibite a livello di CIO o di legge italiana. Anzi, rappresentano i farmaci maggiormente utilizzati nella pratica medico-sportiva. Precauzionalmente, si consiglia di somministrare un farmaco gastroprotettore ai pazienti in terapia con Corticosteroidi o FANS, per evitare complicanze gastroenteriche (per es., comunemente si somministrano farmaci inibitori di pompa protonica, come il Mepral, cioè omeprazolo, anch'esso farmaco lecito).
Neoton (fosfocreatina). La fosfocreatina è una sostanza endogena che svolge un ruolo basilare nel metabolismo energetico dei muscoli scheletrici e cardiaci. Venendo convertita in creatina, si libera energia (fosfocreatina = creatina energia): l’energia resa così disponibile è utilizzabile per la sintesi di ATP (adenosin trifosfato), il quale può essere immagazzinato nel compartimento muscolare, oppure subito utilizzato per la contrazione muscolare.
La specialità medicinale Neoton è disponibile con specifiche indicazioni relative alla “cardioprotezione in chirurgia cardiaca, per addizione alle soluzioni cardioplegiche; sofferenza metabolica del miocardio in stati ischemici”. Studi sperimentali e clinici attribuiscono al Neoton un’azione cardioprotettiva in caso di sofferenza metabolica, una riduzione dell’incidenza delle aritmie da ischemia ed un miglioramento della situazione dopo arresto ischemico. Non esistono studi scientifici che dimostrino un miglioramento delle prestazioni fisiche (muscolari? cardiache?).
La somministrazione a dosi elevate del prodotto (5-10 g/die) deve essere impiegata solo in soggetti selezionati e per brevi periodi; dagli studi preclinici, non è emersa alcuna prova di tossicità; non sono note interazioni farmacologiche e non è controindicato in gravidanza.
Creatina. La creatina è un composto del metabolismo energetico sintetizzato dal fegato (1 g/die) ed è utilizzato nei muscoli dei mammiferi per rigenerare ATP durante i primi secondi della contrazione muscolare. Introdotta dall'esterno, va ad aumentare le riserve energetiche del tessuto muscolare, sottoforma di ATP, utile nei primi secondi di esercizio muscolare o aerobico.
L’effetto collaterale più largamente evidenziato è stato l’aumento del peso corporeo, tra l'1 e il 5-6%, in base al dosaggio ed al periodo di somministrazione. In un numero minore di ricerche sperimentali non sono state invece descritte delle variazioni significative del peso corporeo. Le ricerche non hanno fornito risultati definitivi: sembrerebbe che l'aumento della massa muscolare sia da imputare ad un incremento di acqua nel tessuto muscolare, altri studi parlano di aumento di sintesi proteica indotta dalla creatina; ma poiché alle industrie farmaceutiche è stata consentito di venderla come integratore od alimento speciale per atleti, senza essere obbligate a definirne la qualità, l’efficacia e la sicurezza in funzione della posologia e della durata del trattamento, non sono stati effettuati studi clinici a medio e lungo termine sull’uomo. Tuttavia, sono stati posti dei “paletti” posologici giornalieri da parte delle autorità (< 3 o < 6 g/die, per tempi limitati), che possono però essere tranquillamente superati dagli utenti.
Il Samyr è una specialità medicinale a base di ademetionina che è un sinonimo della S-adenosil-L-metionina, indicata anche come ‘SAMe’. La S-adenosil-L-metionina è una molecola fisiologica pressoché ubiquitaria nell’organismo, dove interviene in molti processi biochimici. Le indicazioni terapeutiche del Samyr approvate dal Ministero della Sanità hanno subito delle variazioni in funzione dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche e delle richieste del Ministero stesso. Attualmente (e già all'epoca dei fatti), il farmaco è indicato nelle sindromi depressive: e sappiamo che, invece, il Samyr veniva somministrato al di fuori delle indicazioni, ad atleti senza diagnosi di disturbi depressivi. Pare altrettanto evidente, tuttavia, che il profilo di sicurezza del Samyr e le sue caratteristiche farmacologiche non consentano di ipotizzare né danni a breve o lungo termine per gli sportivi (il farmaco può perfino essere utilizzato dalle donne in stato di gravidanza), né miglioramento della performance atletica. La sostanza, inoltre, non è inserita nelle liste CIO.
L'Esafosfina è indicata nelle ipofosfatemie accertate (riduzione dei fosfati ematici). Il fosfato gioca un ruolo primario in una varietà di processi fisiologici, essendo implicato ad esempio nella formazione dei legami ad alta energia (ATP), nel trasporto di ossigeno ai tessuti, nella regolazione della glicolisi, nel mantenimento del pH plasmatico ed urinario. Non sono note interazioni farmacologiche; gli studi preclinici non indicano effetti nocivi diretti o indiretti relativamente alla gravidanza, allo sviluppo embriofetale, al parto o allo sviluppo postnatale.
(nella prossima e ultima parte, si tenterà un bilancio della questione, anche in relazione a quanto si sa delle pratiche in uso nelle altre società calcistiche e all'interesse che hanno suscitato in chi accusa la Juve)
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Domenica 21 novembre 2010 molti di voi avranno sicuramente assistito alla consueta puntata di Report, in onda tutte le domeniche su Rai3, condotto dalla brava giornalista Milena Gabanelli. Per chi non lo sapesse, Report è uno straordinario programma di inchiesta e reportage, generalmente incentrato su temi scottanti della politica, dell'economia e della società del nostro Paese. "Straordinario" perché è creato da una frizzante e capace redazione, in grado di cogliere aspetti e immagini, ma, soprattutto, di presentare dati e fatti come ormai non si fa quasi più, né sullo schermo, né sulla carta stampata: nel modo più oggettivo e completo possibile. A questo si deve aggiungere, è opinione comune, ed è acclarato, che uno dei vizi più diabolici e potenti dell'homo italicus è il tifo calcistico. E anche una redazione brillante e, solitamente, imparziale è mossa da istinti tifosi: nulla di male, soprattutto agli occhi di chi si lascia spesso andare al medesimo vizio. Questa volta, però, e ritorniamo alla trasmissione televisiva citata poc'anzi, secondo l'opinione di chi scrive, si è celato un fine e subdolo significato in uno dei servizi andati in onda: circa 10 minuti per raccontare la storia di un grande allenatore, finito nel calcio che non conta più, per colpa di poteri forti che lo hanno in qualche modo emarginato dopo le sue sacrosante rivelazioni sull'eccesso di farmaci nel mondo del pallone. Forse l'intenzione degli autori del servizio in questione era quello di trovare un simbolo di onestà e di correttezza, in un mondo pieno di personaggi fasulli, infarcito di politicanti e, soprattutto, di quattrini. Opinione in tutto e per tutto condivisibile. Tuttavia, rifacendomi alle lodi per il programma in questione, in questa occasione si è ravvisata un po' di partigianeria: sia chiaro, ben venga stare dalla parte della giustizia e della legalità, ma quando il pretesto appare buono per attaccare, più o meno velatamente una terza parte, senza possibilità di contraddittorio e, soprattutto, dopo che le relative responsabilità siano già state chiarite da un Tribunale dello Stato, riteniamo di dover, quantomeno, fare chiarezza.
Il 29 marzo 2007 si concludeva il procedimento, meglio noto come "processo doping", che vedeva imputati il responsabile medico della società Juventus FC, dott. Riccardo Agricola, e l'Amministratore Delegato della stessa società, Antonio Giraudo. Sin dal 1998, infatti, la Juventus era stata messa al centro di quelle che all'inizio erano soltanto voci, ma che poi si trasformarono, come spesso succede alla compagine bianconera, in accuse ben circostanziate che portarono la Procura di Torino ad indagare.
Andiamo con ordine, e ripercorriamo brevemente la storia di questa pagina della storia juventina e del calcio italiano. Tra il luglio e l'agosto 1998, Zdenek Zeman, allenatore conosciuto più per le sue dichiarazioni che per i suoi risultati, denunciò l'abuso di farmaci nel mondo del calcio. Utilizzando una metafora appartenente al mondo del pallone, si potrebbe dire che colpì la sfera in maniera impeccabile, il tentativo fu spettacolare, ma la mira lasciava a desiderare; eh già, perché il boemo non si limitò alle affermazioni relative alla denuncia di uso ed abuso di sostanze, già di per sé capaci di montare una tempesta: per creare un uragano, si doveva colpire direttamente la solita squadra, quella da sempre tartassata dai media per non meglio precisati "furti" avvenuti fuori e dentro i campi da calcio (e queste affermazioni hanno trovato più di una conferma negli anni immediatamente successivi): gli esempi che Zeman portò per giustificare le sue affermazioni furono i muscoli e le cosce di Vialli e Del Piero. Entrambi, all'epoca, erano giocatori della Juventus. Mentre si sollevava il polverone mediatico, il Procuratore di Torino Raffaele Guariniello iniziò le indagini, e nel gennaio 2002 cominciò il processo ordinario. Con l'arrivo in Cassazione, nel marzo 2007, dopo il secondo grado di giudizio che vide l'assoluzione per entrambi gli imputati, erano ormai stati raggiunti i termini della prescrizione per i reati di cui vennero accusati. Affermiamo ancora una volta, e togliamo ogni possibile ombra sulla questione, che per il reato di doping, nella fattispecie per l'uso di "eritropoietina (Epo) umana ricombinante o pratiche di tipo trasfusionale", anche la Cassazione si pronunciò in senso assolutorio. Non vennero mai provati, infatti, uso di Epo, né l'acquisto e la giacenza presso la farmacia bianconera di tale sostanza, né la presenza di valori ematici anomali, né singolarmente né statisticamente differenti da quelli della popolazione generale, tali da indicare uso di sostanze illecite (sui circa 480 controlli totali in 4 anni, dal '94 al '98), e nessun atleta risultò mai positivo ai test antidoping.
Secondo la Cassazione, tuttavia, gli imputati Agricola e Giraudo sarebbero stati meritevoli di un rinvio a giudizio per la somministrazione di sostanze considerate proibite dal Comitato Olimpico Internazionale, oppure fuori dalle indicazioni terapeutiche del farmaco stesso. Come riportato dalla sentenza stessa, tuttavia, alla Corte di Cassazione "non compete certo la valutazione del merito delle specifiche condotte incriminate". Parimenti, lungi da me entrare nel merito legislativo e giudiziario, non prettamente di competenza di chi scrive: questa volta, vogliamo addentrarci nell'aspetto medico-farmacologico della questione.
Prima di esaminare le sostanze incriminate, analisi puramente descrittiva dei farmaci annoverati nel cosiddetto "processo doping", è necessario tornare agli aspetti normativi che regolano i rapporti tra Stato, sport e medicina sportiva. Ricordiamo che gli imputati vennero accusati della violazione dell'art. 1 ("Frode in competizioni sportive") della legge 401 del 13 dicembre 1989 ("Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche"). All'epoca dei fatti, questo va detto, non vi erano, nel corpo legislativo italiano, leggi efficaci che si occupassero di regolamentare l'uso improprio di farmaci nello sport, o, quantomeno, nessuna norma che fosse specifica per il reato di frode correlato all'utilizzo di sostanze. In materia di doping esisteva la legge 376/71, ma, come già scritto, in questa occasione non si sta parlando di doping in senso stretto. Solo da pochi anni sono stati approvati il decreto legislativo 376 del 2000 ed il decreto ministeriale 15 ottobre 2002 (recante la tabella delle sostanze vietate). Lo Stato italiano si adeguava alle nuove e più aggiornate norme in tema di lotta al doping promosse dal CIO e dalla neonata (il 10 novembre 1999) World Anti-Doping Agency (WADA). Già nel 1971, il CIO aveva pubblicato la prima lista di sostanze proibite, che viene aggiornata periodicamente, ma solo nel febbraio 2003 sarebbe stato proposto il Codice Mondiale Antidoping, ancora oggi in vigore, seppur con le relative modifiche apportate annualmente.
Per i non addetti ai lavori, inoltre, è importante chiarire un fatto: tra le sostanze proibite, o tra i prodotti utilizzati dalla Juventus negli anni presi in esame, nessuna di queste è illegale o non in commercio in Italia, nessuna di queste è stata riscontrata nelle analisi cui venivano sottoposti gli atleti bianconeri, né nel nostro Paese, né all'estero, durante i routinari test antidoping; tutti i club professionistici sono provvisti di tali farmaci - o analoghi - che, nel complesso, sono antiinfiammatori di comune utilizzo nella pratica medico-sportiva. Questo dato lo si può desumere dalle dichiarazioni degli atleti stessi, i quali, prima di sottoporsi ai test dell'antidoping, devono dichiarare eventuali farmaci assunti. Produrre prove di somministrazione di sostanze proibite risulta complicato, a causa della reticenza dei calciatori che spesso conoscono solo parzialmente le pratiche cui vengono sottoposti, oppure per la difficoltà di provare il periodo di utilizzo di un farmaco (l'atleta era agonisticamente attivo? Era fermo per infortunio?) ed il suo dosaggio, soprattutto quando le analisi danno esito negativo. In aggiunta, ci si può chiedere: possedere farmaci vietati è doping? Il Codice Mondiale Antidoping del CIO oggi in vigore, introdotto però 5 anni dopo i fatti di nostro interesse, ne parla ai punti 2.5 e 2.6. Come ci si pone se, però, l'acquisto, la conservazione e la somministrazione di farmaci sono tenuti sotto stretto controllo medico? E se un atleta è fermo per molto tempo oppure deve curare un infortunio, come ci si comporta? Lo sportivo è considerato "in-competition" o "out-competition" (la classificazione delle sostanze proibite proposta dalla WADA tiene conto anche di questa circostanza)? Insomma, quante domande cui risulta difficile dare una risposta univoca, soprattutto quando la pratica medica quotidiana si scontra con le tematiche etiche e deontologiche!
Se proprio si deve giudicare l'operato del personale medico societario, si potrebbe obiettare l'uso cosiddetto "off-label" di alcune specialità farmaceutiche, cioè al di fuori delle loro indicazioni terapeutiche. Cosa non da poco, quando il medico sta in mezzo tra il rischio di compromettere la salute degli atleti e la frode, messa in atto per alterare le prestazioni e la performance dei giocatori stessi. Il Codice di Deontologia medica, che ogni professionista è tenuto a seguire per non incorrere in severe sanzioni che possono arrivare alla radiazione dall'Albo dei medici e conseguente divieto all'esercizio della professione, si occupa della questione farmaci/doping in due distinti articoli. L'art.12 del Codice Deontologico afferma che "La prescrizione di farmaci, per indicazioni non previste dalla scheda tecnica o non ancora autorizzate al commercio, è consentita purché la loro efficacia e tollerabilità sia scientificamente documentata. In tali casi, acquisito il consenso del paziente debitamente informato, il medico si assume la responsabilità della cura ed è tenuto a monitorarne gli effetti"; fermo restando l'art.76: "Il medico non deve consigliare, prescrivere o somministrare trattamenti farmacologici o di altra natura diretti ad alterare le prestazioni di un atleta, in particolare qualora tali interventi agiscano direttamente o indirettamente modificando il naturale equilibrio psico-fisico del soggetto".
In considerazione di tali premesse, una domanda resterà in sospeso, anche al termine della lettura dell'articolo: come si può dimostrare che un farmaco, somministrato a dosaggi non rintracciabili ai test antidoping, può alterare le prestazioni degli atleti? Per intenderci, questo è il punto che l'eventuale nuovo processo da istituire avrebbe dovuto chiarire. E allora si potrebbe congetturare che, in linea puramente teorica, non essendo stato riscontrato alcun atleta dopato, le prestazioni non erano alterate: i valori ematici e urinari delle sostanze sono considerati fuori legge quando superano una soglia superiore al normale consentito, che si sia dimostrata in grado (secondo studi di comprovata validità scientifica) di creare quella "modificazione del naturale equilibrio psico-fisico", se non addirittura la performance atletica. E quindi, secondo logica: no positività = no doping, no positività = no alterazione prestazioni e quindi no doping = no alterazione prestazioni. Ma cosa affermavano le norme in vigore negli anni tra il 1994 ed il 1998? Quale differenza esisteva nella determinazione delle diverse responsabilità secondo l'ordinamento giuridico statale e la giustizia sportiva?
Ancora una volta, non è compito dell'autore prendere le difese di una posizione, di un'opinione o di una pratica. Per etica professionale e cultura personale, si prenderanno in considerazione, nelle prossime righe, soltanto dati scientifici comprovati, con l'intento di fare informazione, senza dover orientare l'opinione di alcuno, ma riportando nozioni utili a tutti coloro che desiderano sapere qualcosa in più sull'argomento. Cos'erano quei farmaci di cui tanto si è parlato? Quali rischi correvano gli atleti? L'elenco che segue è costituito esclusivamente dai farmaci che la Cassazione cita nella sentenza, quindi dalle sole specialità farmaceutiche il cui utilizzo è stato ritenuto meritevole di ulteriore analisi giuridica (salvo sopraggiunta prescrizione).
Segue qui: Farmacia Juve: facciamo chiarezza/2
Dossier doping: finale di partita
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- By Dr.Zoidberg

In sintesi, la Suprema Corte respinge il ricorso per quanto riguarda la somministrazione di eritropoietina: il fatto non sussisteva e continua a non sussistere. Ora ci sarebbe da zittire tutti quei giornalisti (?) che per anni si sono riempiti la bocca parlando di “Juve epo-cale” e di “epo-pea bianconera” con una sfacciataggine ed una presunzione senza confini.
Eppure qualcuno ha trovato ugualmente il modo di rialzare la testa: la sentenza della Cassazione lascia intendere che si sarebbe anche potuto discutere il ricorso in merito all’abuso di farmaci ma che sarebbe stato completamente inutile, visto il sopraggiungere della prescrizione. Questo ha dato modo ai più ciarlieri di parlare di “assoluzione per prescrizione”, nell’ennesimo slancio forcaiolo e giustizialista. Pare invece di trovarsi di fronte ad una sentenza cerchiobottista: la Juve non è colpevole ma Guariniello non ha lavorato a vuoto. I giornali invece insistono menzionando la prescrizione, ma parlando tra le righe e a denti stretti del fallimento dell’accusa di doping vero e proprio, ovvero dell’uso di Epo. Una sconfitta in piena regola, solo parzialmente mitigata dall’illusione che l’abuso di farmaci possa “in astratto” essere considerato pratica dopante. Abuso di farmaci, come si è visto, praticato da tutti, come e più della Juventus.
Strano infine che nessun organo di informazione si sia premurato di sottolineare un fondamentale particolare: la Cassazione non entra nel merito delle sentenze, «Non giudica sul fatto, ma sul diritto: ciò significa che non può occuparsi di riesaminare le prove, ad esempio, ma può solo verificare che la procedura relativa ai gradi precedenti del giudizio si sia svolta secondo le regole». Il processo, al limite, si sarebbe dovuto rifare. Quindi, dov’è la tanto millantata “assoluzione per prescrizione» (“solo la prescrizione salva la Juventus” titola il Corriere della Sera)? Semplicemente era inutile proseguire, ma questo probabilmente un concetto che non andrà mai giù a certi scrivani che hanno nella Juventus la loro ragione di vita (e di retribuzione).
La storia è finita e non rimane che citare le parole dell’avvocato Chiappero:
E’ stato un grande successo che sconfessa anni di gogna mediatica perché, con riferimento al tema principale del processo, e cioè l’accusa di somministrazione di Epo, il ricorso del procuratore generale è stato addirittura dichiarato inammissibile.
e del dottor Agricola:
Per quanto concerne l’altra parte della sentenza è finalmente terminato il doloroso iter che vedeva imputato solo me per l’utilizzo di farmaci che tutti i medici dello sport senza eccezioni hanno usato negli anni oggetto d’indagine.
Ultimo commento ad Antonio La Rosa e ad un suo articolo, apparso su Juventus1897.it il 16 giugno 2007:
Leggendo la sentenza sul processo Agricola, ho trovato a pag. 26, una perla che vi riporto:
“Le condotte incriminate dall’art. 1 (legge 401/89), sono quindi due: la prima di corruzione in ambito sportivo ...la seconda ...è costituita da una generica frode e rimane integrata dal mero compimento di <<altri atti fraudolenti>> ... in quest’ultimo caso non costituisce <<una disposizione a più norme, ma una norma a più fattispecie ... l’ipotesi ha infatti una latitudine ... assai ampia e non certo comparabile con la puntuale previsione di cui al primo comma ... la natura fraudolenta dell’atto esclude qualsivoglia violazione del principio di determinatezza e di tipicità”!
Mi scuso in anticipo con i lettori se per natura dell’argomento dovrò essere alquanto tecnico, per gli argomenti, ma ritengo fondamentale commentare questo passaggio della sentenza, autentico attentato a principi fondamentali del diritto penale.
Da studentello, il mio grande professore di diritto Penale (Enzo Musco), mi insegnò che il principio fondamentale del Diritto Penale è il cosiddetto “principio di legalità”: un reato esiste perchè esiste una previa norma di legge che lo qualifichi come tale, ma per qualificarlo come tale la norma deve essere "tassativa" ossia sufficientemente determinata nella fattispecie (ossia la descrizione del fatto-reato).
Tempo sprecato il mio, forse era meglio che mi davo ai divertimenti anziché perdere tempo nei manuali e a lezione, tanto poi arriva la Cassazione a dire l’esatto contrario, ossia che basta ipotizzare fraudolenza in qualunque comportamento fraudolento, perché proprio qualunque comportamento possa essere ritenuto reato.
E’ sufficiente solo che un Giudice si convinca che quel comportamento è fraudolento, e dunque diventa reato, anche a costo di arrivare a sentenze assurde al termine di processi assurdi, e cercherò di spiegarne le ragioni. La legge 401/89 venne emanata a seguito dello scandalo "calcioscommesse 2", e in considerazione del fatto che tutti gli imputati dello scandalo “calcioscommesse 1” (quello che portò il Milan e la Lazio in B), vennero assolti, dato che all’epoca non esisteva una legge che punisse fatti del genere.
Quindi legge che nasceva dalla necessità di reprimere quei fatti che, compiuti da tesserati, giocatori, dirigenti, estranei, etc., producevano una alterazione dei risultati sportivi, per far conseguire degli utili o garantire interessi di vario genere (che so, scommesse clandestine, promozioni o retrocessioni mirate, vittorie di partite decisive, o anche vittorie in gare senza rilievo di classifica): come dire, forma di corruzione nello sport: l’art. 1 infatti recita: “Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (Coni), dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (Unire) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione ...”.
La questione interpretativa si pone dunque per quell’inciso "compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo", che (mi scuso per chi tecnico non è) per il noto principio della "tassatività", non può che essere un atto equiparabile all’offrire o promettere denaro e/o altri vantaggi, al fine di raggiungere un risultato diverso.
In altri termini, la “ratio legis” sta nella combutta tra più soggetti per l’alterazione di un risultato sportivo, nelle forme più disparate, ma sempre a quel fine: in parole povere, un accordo tra giocatori, che so, per far segnare più gol ad uno in modo da fargli vincere la classifica cannonieri, e dunque farlo innalzare di valore, anche se non rientra nel caso della corruzione vera e propria, sarebbe comunque una frode sportiva.
E’ evidente che, posto così il problema, l’uso di farmaci (o l’abuso, o anche l’uso di sostanze dopanti, come si voglia preferire), non è in alcun modo inquadrabile nel reato di frode sportiva, dato che non c’è la "concertazione" tra soggetti per alterare il risultato, non c’è il promettere o dare denaro o altri vantaggi, non c’è insomma l’azione mirata ad alterare il risultato sportivo, per l’ovvia ragione che l’uso di quei prodotti magari aumenta il rendimento dell’atleta, ma non produce di per sè l’alterazione del risultato sportivo, che in effetti può anche non accadere.
Cosa di cui era ben convinta la Cassazione, che in una sentenza del 1996, escludeva dalla frode sportiva, l’uso di sostanze dopanti da parte dei ciclisti. Poi arrivò ... Guariniello!
La sua indagine a Torino, dopo le famigerate dichiarazioni di Zeman, partì inizialmente come ipotesi di reato relativa alla tutela della salute del lavoratore, che sarebbe stata messa a rischio dall’uso non giustificato di farmaci; poi, non essendo l’ipotesi tale da suscitare clamore mediatico, interviste, conferenze stampa e quant’altro, il nostro Guariniello, uscì il coniglio dal cilindro: l’uso di questi farmaci, anche se leciti, ma in dosi non giustificate o ritenute non giustificabili, non può che essere inquadrato nell’atto fraudolento al fine di alterare un risultato sportivo, e dunque costituisce frode sportiva.
Cosa che nella sua requisitoria ha in sostanza detto: mi ricordo a memoria che ebbe a dire una frase tipo “noi non capivamo perchè dopo nove anni la Juventus era tornata a vincere”: insomma la vittoria come frutto di uso di farmaci, ed allora mi chiedo perchè non si sia, Guariniello, insospettito di quel Milan che aveva vinto per tre anni di fila, prima della "dopata" Juventus!. Teoria rimasta isolata, tanto che la legge sul doping fu emanata nel 2000, e proprio perchè si ritenne che in effetti c’era un vuoto legislativo sul punto, che andava colmato con una legge ad hoc, molto più rigorosa, dato che la fattispecie è a dolo generico (è sufficiente solo l’assunzione di farmaci illegali per commettere reato), mentre la frode sportiva è a dolo specifico (l’atto deve essere finalizzato alla alterazione del risultato, altrimenti non è fraudolento).
Tornando alla sentenza della Cassazione, il pericolo di quel principio che ho evidenziato all’inizio, sta proprio nel fatto che, non potendosi applicare retroattivamente una legge, quella del 2000, che peraltro dichiarò illeciti certi farmaci leciti fino a quel momento, tende a fare rientrare dalla finestra ciò che dalla porta principale non può entrare, ossia il ragionamento che l’uso o abuso di farmaci possa essere finalizzato all’alterazione del risultato sportivo, e dunque rientrante nella previsione della legge 401/89.
La cosa produce una pericolosissima estensione della fattispecie, dato che se l’atto fraudolento può essere commesso non da più persone, in concertazione fra di loro, bensì da sole persone appartenenti ad una sola squadra (come nel caso che ci occupa), d’ora in avanti qualsiasi atto che abbia come esito l’alterazione del risultato sportivo, può essere ritenuto fraudolento e dunque frode sportiva.
Come dire, si sta trasformando l’art. 1, nell’inciso che ho evidenziato, in una specie di norma penale in bianco, in violazione del principio di legalità, dato che la qualificazione dell’atto come fraudolento diventa un giudizio discrezionale e non più vincolato a parametri ben precisi.
Il tutto per far dire ai media che la Juventus in fondo era colpevole ma si è salvata per prescrizione, insomma per accontentare l’antijuventinismo dilagante.
Insomma, qui non si parla più di calcio da bar sport, ma di diritti inviolabili, di principi costituzionali calpestati, di certezza del diritto mandata a quel paese: sta qui il pericolo di pronunce come quella di cui discutiamo.
In sostanza: si sono letteralmente inventati una ipotesi di reato, pur di far dire che la Juve si dopava. Chiaro?
Dossier doping: il processo sportivo
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- By Dr.Zoidberg

Dopo le dichiarazioni di Zeman, Petrucci invia un fascicolo alla Commissione Scientifica Antidoping del Coni al fine di ottenere una consulenza in merito. La Commissione risponde che i farmaci erano stati comprati senza ricetta (per il processo al Torino, che vedremo, si dà un parere completamente diverso) e che i calciatori, vista la notorietà diffusa dei medicinali in uso nelle società sportive, non potevano non sapere. Tuttavia non esprime opinioni che lascino intendere possibili violazioni dell’art. 1 per slealtà sportiva o dell’art. 6 per illecito. Agricola si presenta spontaneamente davanti alla Procura Antidoping la quale lo assolve da ogni imputazione, aggiungendo un encomio per l’alto livello del suo operato in campo medico-scientifico. La vicenda sembra chiusa ma dopo la sentenza di primo grado del tribunale ordinario, lo scenario cambia.
La sentenza di Casalbore induce la Procura a cambiare orientamento, optando per il deferimento del medico sociale con richiesta di squalifica di due anni. Questa la motivazione:
in sede disciplinare si è concretizzata quella ragionevole valutazione di probabilità che la somministrazione vietata abbia davvero avuto luogo. La ragionevole valutazione di probabilità non è certezza. Ma è quanto basta a disporre il deferimento del tesserato dinanzi agli organi giudicanti e per addossare all’incolpato l’onere della piena prova liberatoria.
La Procura del Coni decide, il 27 aprile 2005, di sentire il parere del Tas (Tribunale Arbitrale Sportivo) di Losanna, in quanto super partes. L’interrogazione del Comitato Olimpico si incentra su due domande:
▪ Dal punto di vista della giustizia sportiva, è sanzionabile l’uso di sostanze farmaceutiche non proibite ma in modalità off-label (cioè per indicazioni diverse da quelle riportate nel foglietto illustrativo del medicinale?
▪ Quali sono i metodi di indagine appropriati per capire se l’uso di farmaci è corretto?
Il Tas risponde chiaramente che non è in alcun modo punibile la somministrazione di sostanze non inserite nella lista dei prodotti vietati. Poi aggiunge che, al limite, le autorità sportive possono segnalare alla WADA (World Anti Doping Agency) questi medicinali, con il fine di proporre un aggiornamento della normativa in merito. In sostanza, il Tas dà ragione alla Juventus ma l’unico non ancora convinto è nuovamente Guariniello che con ostinazione puntualizza: «Il tribunale di Losanna ha detto che non si può punire l’impiego di farmaci non espressamente proibiti, ma il processo Juventus riguardava anche prodotti vietati come l’Epo». Incredibile come Guariniello non si sia accorto che l’interrogazione del Coni richiedeva un parere sui due aspetti che abbiamo visto, e non sull’uso di Epo. L’11 novembre 2005, la Commissione Disciplinare assolve Agricola, ma la Procura Antidoping del Coni presenta ricorso, rincarando la dose e chiedendo 3 anni e due mesi di interdizione per il medico sociale bianconero. La parola finale alla vicenda giunge il 5 ottobre 2006, con la definitiva assoluzione di Agricola da parte della Caf (Commissione di Appello Federale, il secondo grado della giustizia sportiva) che dichiara “improcedibile” l’azione disciplinare nei suoi confronti:
(ANSA) - Si è conclusa la vicenda disciplinare a carico di Riccardo Agricola. Respinto il ricorso della Procura Antidoping. Il procedimento si era originato nel 1998 a seguito della denuncia di Zdenek Zeman e dei conseguenti accertamenti effettuati dalla Magistratura torinese. In sede disciplinare la Caf, presieduta dal dottor Mastandrea, ha respinto il ricorso proposto dalla Procura Antidoping del Coni accogliendo le tesi prospettate dall’avvocato Chiappero difensore di Agricola.