Qual è la vera Juve? Bilancio di un terzo di stagione

ferraraLa sosta di metà novembre coincide con un terzo di stagione già consumata, un numero di partite congruo per tracciare un primo bilancio dell’annata in attesa dei prossimi impegni, alcuni dei quali si prospettano già determinanti in ottica 2010.
La Juventus di Ferrara, confermato dopo le ultime due giornate dello scorso campionato nel segno della continuità, ha solleticato le fantasie dei tifosi juventini, favorevolmente colpiti dagli investimenti importanti e mirati al miglioramento qualitativo della rosa (anche se certe cessioni, Zanetti in primis, non le ha capite nessuno) e
alla ricerca di un identità di gioco più spregiudicata rispetto al passato.
L’entusiasmo sollevato dai media vicini alla Real Casa è presto scemato ai primi risultati negativi, in seguito ad alcune imbarazzanti dimostrazioni di fragilità mentale e confusione tecnica.
Senza dimenticare il difetto di comunicazione, ovvero la cattiva (per quel che riguarda le tradizioni juventine) abitudine intrapresa dai tesserati (proprietari, presidente/i, tecnici, calciatori)
di impegnarsi in roboanti proclami a mezzo stampa, senza che a questi facessero seguito convincenti prestazioni sul campo, e ancora peggio, in dichiarazioni concilianti che in altri tempi si sarebbero definite “cavalleresche” nei confronti degli avversari.
Un vizio che sembra ormai radicato nel DNA della Nuova Juventus, un vizio sul quale i tifosi bianconeri ancora storcono il naso, a maggior ragione se dagli avversari (vecchi e nuovi) giungono in risposta insulti, pernacchie e sberleffi gratuiti all’indirizzo della società bianconera.
Significativi in tal senso, in occasione dell'ultima assemblea, gli interventi dei piccoli azionisti, che rappresentano la massa più consistente del tifo bianconero.
Sul piano squisitamente tecnico, la stagione è iniziata con una rincorsa spasmodica
al gioco rapido e tecnico; la tendenza di Ferrara e del suo vice Maddaloni pareva orientarsi sul fraseggio, privilegiando le giocate palla a terra e riducendo al minimo le palle lunghe.
La mentalità del 4-4-2 doveva essere sradicata, e gli acquisti di Felipe Melo e Diego (oltre a quelli di Grosso e Cannavaro) facevano optare i due tecnici per il modulo cosiddetto “a rombo”, con i due brasiliani ad agire come vertici estremi del centrocampo.
Ingannevole fu la kermesse estiva della “Peace Cup”, dove la Juventus impostata a rombo ben figurò contro il Seongnam, il Siviglia e soprattutto contro il nuovo Real Madrid “galactico”, che nei mesi successivi abbiamo capito che di “galactico” non ha ancora nulla.
La finale della “Peace Cup”, persa contro l’Aston Villa nonostante le occasioni create, non fece allarmare più di tanto l’entourage bianconero e nemmeno i tifosi, che un campanello d’allarme avrebbero però dovuto avvertirlo in seguito alla batosta subìta dalla squadra contro il Villarreal a Cesena, quando il “Sottomarino giallo” sconquassò una Juve, a detta dei suoi tecnici, “sovraccarica di lavoro”.
In realtà, la marea gialla che si riversava con estrema facilità nell’area bianconera non fu che il preludio di quanto si è visto nel prosieguo della stagione a partire dal debutto in campionato col Chievo, dove, a parte una buona prima mezz’ora della squadra e alla canonica dose di botte riservate a Diego, si appalesarono i difetti che avrebbero accompagnato la Juventus nei tre mesi successivi: condizione fisica inferiore a quella dell’avversario di turno agevolmente sempre più padrone del campo col passare dei minuti, e una preoccupante tendenza a deconcentrarsi e con ciò a favorire la rimessa in discussione del risultato, eventualità che purtroppo si è più volte concretizzata.
Due vittorie ottenute sul campo di avversari tradizionalmente ostici (Roma e Lazio), ma che il dipanarsi della stagione avrebbe rivelato meno temibili del previsto, consentirono alla Juventus di rimanere a punteggio pieno facendo sognare i suoi tifosi, convinti di aver ritrovato finalmente una squadra competitiva ai massimi livelli.
Una convinzione che subì una brusca frenata all’esordio europeo contro il Bordeaux.
I francesi, pur rispondendo al gol di Iaquinta con il pareggio di Plasil (in fuorigioco) nel finale, misero alle corde la squadra di Ferrara come già aveva fatto il Villarreal in quella famosa amichevole estiva: il centrocampo folto e tecnico schierato da Laurent Blanc sfruttava le enormi praterie che un centrocampo juventino disposto male regalava, lasciando la difesa (retta da un sontuoso Cannavaro che peraltro si infortunò) in balìa degli attacchi dei girondini.
Errore arbitrale sul pareggio francese a parte, il punto ottenuto pareva oro colato per la Juventus,
a più riprese spaventata da Menegazzo, Gourcuff e soci.
Da quel momento iniziò una fase di involuzione, e la partita col Livorno, vinta 2-0 e apparentemente regolata in 30 minuti, issò
la Juve in testa alla classifica insieme alla Sampdoria, ma che il migliore in campo contro una delle candidate alla retrocessione risultasse Buffon lasciava intuire l’inizio di un periodo di crisi.
Crisi che prima di manifestarsi concedeva alla Juventus una tregua con la buona prestazione contro il Genoa del polemico ex Gasperini, una partita che la squadra di Ferrara meritava di stravincere, ma che finì col pareggiare per 2-2 nonostante i 4 palloni infilati dai bianconeri alle spalle di Rubinho.
Tanto per intenderci sull’atmosfera che girava a Genova quella sera, i commenti del post partita dei tesserati genoani esprimevano rammarico per essere stati raggiunti nel finale e con un gol “che ci si augura sia regolare”, in spregio a tutti i replay che testimoniavano
quanto, oltre a quello del 2-2 definitivo, di gol regolare ci fosse anche quello che avrebbe sancito il vantaggio juventino sull’1-1. In proposito, la perla della serata, regalata dall’assistente arbitrale Papi il quale, secondo testimonianze riportate da alcuni organi di stampa, sentendo alcuni tesserati juventini inveire contro di lui per l’annullamento del gol regolare di Iaquinta, non trovò di meglio che rispondere “state zitti voi, che venite da Calciopoli!”.
Bellissimo atteggiamento degno del Nuovo Calcio Pulito.
Polemiche arbitrali o meno, il fatto saliente da quel momento in poi si rivelò l’incapacità cronica della Juventus di vincere una partita per un intero mese, inanellando una serie di gare negative che partirono dal pareggio interno col Bologna, proseguirono con lo scialbo e fortunato 0-0 strappato in Baviera con il Bayern disgraziato di questo inizio di stagione, per poi sfociare in crisi effettiva in seguito alla pesante lezione di Palermo e al successivo pareggio risicato contro la Fiorentina, uscita dal “Comunale/Olimpico” con il rammarico di non aver fatto suoi i tre punti.
In quel periodo sul banco degli imputati finirono i preparatori atletici (troppi gli infortuni e troppo lunghi i tempi di recupero), alcuni giocatori (i più costosi soprattutto: Melo e Diego, apparsi non all’altezza nonostante le attenuanti che andavano loro riconosciute, soprattutto al fantasista) e la guida tecnica (Ferrara, accusato di non saper leggere le partite e di insistere con un modulo che molti ritenevano da subito poco adatto agli uomini a disposizione).
La Juve di quel periodo era in confusione, molti tifosi ridimensionavano le loro ambizioni ed esprimevano le loro delusioni attraverso siti, blog, giornali e tv: Ferrara decise di cambiare cominciando con l’affiancare un compagno di reparto a Felipe Melo, cercando di attenuarne le disattenzioni con un po’ di accortezza in più.
Prima il rientro di Sissoko, poi un leggero ma confortante progresso di Poulsen aiutarono il brasiliano ex viola a crescere e ad essere meno dannoso.
Le risicate vittorie contro Maccabi Haifa (fra molti brividi) e sul campo del Siena assomigliarono tanto ad un brodino per un ammalato poco convinto di essere sulla strada del pieno recupero, anche se alcuni segnali incoraggianti cominciavano a manifestarsi: il già citato recupero di Sissoko, il ritorno al gol di Amauri e la continuità con la quale Trezeguet continuava ad andare in rete.
Con queste premesse, arrivò la partita che per molti apparve quella della svolta: Juventus-Sampdoria.
Una Juventus perfetta, devastante e concentrata per 90 minuti assediò la squadra di Del Neri costringendola alla resa sotto un 5-1 spettacolare e senza possibilità di replica.
Un risultato che ha probabilmente influito sulla psiche dei doriani, fino a quel momento probabilmente meritevoli del primato in classifica, ma che da quella serata hanno rimediato un punto (immeritato) in due partite e i fischi dei propri tifosi nella successiva gara casalinga.
La Juve è l’anti-Inter”, quell'Inter nel frattempo issatasi al comando della classifica tra effettive dimostrazioni di solidità e qualche cronica benevolenza arbitrale: questo fu il pensiero pressoché unanime delle gazzette.
Figuriamoci... passarono tre giorni e una Juve in vantaggio per 2-0 a mezz’ora dalla fine prestò il fianco ai contropiede del Napoli quasi fosse una squadra da oratorio.
I partenopei ringraziarono, e dopo vent’anni lasciarono Torino con i tre punti in saccoccia. Un’autentica eresia, la serata capolavoro al contrario di Ferrara, che sbagliò tutto quello che si poteva sbagliare e anche di più; la partita simbolo di una prima parte di stagione fatta di cose apprezzabili e di errori madornali.
Un pugno in faccia”, definì Ferrara la sconfitta contro la squadra della sua città e della sua giovinezza, e il confronto a muso duro con un Diego arrabbiato il giorno dopo nella nebbia di Vinovo rese l’idea di quale fosse il clima in seno alla squadra.
Che, pur sempre rimaneggiata (in avanti restavano a disposizione i soli Trezeguet e Amauri, addirittura il francese sarebbe stato l’unico arruolabile per la trasferta di Bergamo) versava di fatto in un momento di confusione pesante.
A prendere per mano la Juve, ed è storia di questi giorni, pensò il miglior uomo di questo inizio di stagione: l’eterno Mauro German Camoranesi che, dopo aver regalato a Ferrara tre preziosissimi punti a Tel Aviv, mise la propria firma sulla vittoria contro l’Atalanta di Conte, in una partita nella quale i ben noti pregi e difetti di questa Juventus emersero in tutta la loro evidenza: quelli di una squadra che quando decide di giocare può far male a chiunque, ma che ha gravi problemi di tenuta mentale che le costano puntualmente carissimo.
La semplicità e la naturalezza con la quale certe azioni vengono impostate e concluse fa imbestialire, se rapportata all’incapacità di chiudere le partite.
Aspettiamo con fiducia miglioramenti, perché il prossimo mese potrebbe essere decisivo.
La Juve è attesa da 8 partite in 29 giorni così ripartite:
5 di campionato, compreso lo scontro diretto con l’Inter di cui in verità si parla un po’ troppo e non sempre a proposito;
2 di Champions League, e la prima, in programma per mercoledì prossimo a Bordeaux, sarà fondamentale, nella speranza di non dover decidere tutto all’ultimo turno con il Bayern, perché in quel caso allora sì che ci sarà da tenere in considerazione lo scontro con i nerazzurri, attesi a Torino tre giorni prima dei tedeschi.
Infine la Coppa Italia, la data dei cui ottavi di finale non è ancora definita, ma che potrebbe riproporre la sfida Juve-Napoli che evoca recenti e mesti ricordi.
La prospettiva beneaugurante riguarda lo svuotamento progressivo dell’infermeria, che ormai ospita di fatto il solo Iaquinta: il recupero di tanti effettivi toglierà alibi e consentirà in breve tempo di farsi un’idea più precisa di quella che ad oggi è apparsa una squadra farfallona, distratta e instabile. Un’incompiuta, a volte seducente, ma sostanzialmente inaffidabile.