Continuiamo la nostra miniserie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.

Con questo articolo dedicato al capo d’imputazione Q, relativo alla famosa grigliata vediamo chi ha studiato meglio di Juventus-Udinese, terminiamo la serie dedicata alle condanne per le presunte frodi sportive. L’ex dirigente della squadra che nel 2006 aveva sotto contratto otto giocatori che poi avrebbero partecipato da protagonisti assoluti alla finale mondiale a Berlino, si ritrova imputato perché lui ed altri “compivano atti fraudolenti consistiti nell’alterare la corretta e genuina procedura di individuazione delle c. d. 'griglie arbitrali' e il successivo sorteggio del direttore di gara, nonché la designazione degli assistenti del direttore di gara in relazione all’incontro Juventus/Udinese, atti finalizzati a predeterminare il risultato di Juventus/Udinese (2/1), esito perseguito anche mediante la designazione fraudolenta della terna arbitrale che si adoperava per il raggiungimento di un risultato comunque favorevole alla squadra di cui Moggi e Giraudo erano i massimi dirigenti”.
Quindi, in questo capo d’imputazione “si ipotizza la turbativa dell’incontro con risultato 2-1 tra Juventus e Udinese, svoltosi a Torino il 13/2/05” (pag. 192, nelle motivazioni della sentenza), specificando che “vi sarebbe stata non genuinità delle griglie arbitrali, del sorteggio del direttore di gara, della designazione degli assistenti” (pag. 192).

Ricordiamo innanzitutto che, come espresso nelle motivazioni del capo F, "il sorteggio truccato è un mal riuscito espediente dell'accusa per generalizzare l'ipotesi accusatoria" e che, quindi, il sorteggio arbitrale è stato giudicato regolare anche da questo tribunale.
Premesso che all'arbitro e agli assistenti arbitrali accusati in questo capo d'accusa, non viene attribuita alcuna scheda svizzera, né per il periodo attorno alla gara né mai, e mettendo inoltre in rilievo il fatto che la terna arbitrale è stata completamente prosciolta “per non aver commesso il fatto”, anche qui, come per il capo F, relativo a Juventus-Lazio, il destino di Luciano Moggi resta incagliato sul famoso 'effetto farfalla'. Infatti, “una incidenza, sia pur remota, sull’andamento della partita poté in effetti derivare da quella che appare una smodata collaborazione tra Bergamo e Moggi per la formazione della griglia, nella quale collocare la partita, che accresceva la possibilità che fosse sorteggiato un arbitro gradito, soluzione alla quale cooperava di necessità Pairetto” (pag. 192).
Ci troviamo, insomma, di nuovo al cospetto della teoria del battito delle ali a New York con conseguenze catastrofiche nel Mar Giallo o in Bangladesh. Da notare anche la sottile variazione linguistica: da “sia pur marginale” del capo F al presente “sia pure remota”. Un “espediente”, questo, che non ci permette di soddisfare la nostra curiosità personale di capire quale delle incidenze presenti nelle due condanne venga considerata dal tribunale di Napoli quella più marcata. Cosa potrà incidere maggiormente su una frode? Stare ai margini oppure essere remoti? Boh.
Comunque sia, il tribunale condanna sulla base di una serie di conversazioni intercettate, di cui la prima, la 123 dell'8/2/05, tra Moggi e Bergamo, “rileva per il suo contenuto di collaborazione alla predisposizione delle griglie, ed è quella che più direttamente presenta legame con la partita” (pag. 205). Questa è forse la più famosa delle centinaia di migliaia di telefonate ascoltate dai carabinieri di Via In Selci, molte delle quali però ancora oggi sconosciute, alcune negate ed altre scoperte soltanto negli anni.

Quindi ci sono un paio di conversazioni per implicare l’altro designatore arbitrale, Pairetto, rappresentato come "aperto alla collaborazione nelle conversazioni telefoniche dell’epoca prossima a quella della partita” (pag. 192). In realtà i giudici nella sentenza fanno una gran confusione, poiché scrivono che "il progressivo 31466 del 6/2/05 (oltretutto per errore riportata due volte, ndr) rileva per la rappresentazione di una convocazione in epoca non distante alla partita di Pairetto da parte di Moggi” (pag. 205). Questa però è una telefonata tra Moggi e Giraudo in cui non vi è traccia di alcuna convocazione di Pairetto. Anzi, i due ex dirigenti bianconeri, in particolare Giraudo, parlando della partita tra Palermo e Juventus lamentano un maltrattamento da parte del settore arbitrale ("nel dubbio, oramai, siamo penalizzati"). La "rappresentazione di una convocazione" in realtà avviene un paio di giorni dopo in un'altra conversazione tra Moggi e Giraudo, la 31956 dell'8/2/05: decisiva per i giudici la frase rivolta dall'ex direttore generale al suo interlocutore: "tu però verso le dieci alle otto, così, liberati un attimo che ho fatto venire 'Pinochet' a casa mia un attimo". Telefonata in cui il tribunale ci legge anche "un comportamento non consono alla dignità dei designatori, per il riferimento alla durezza del trattamento". L'altra telefonata che coinvolge Pairetto è la 17298 del 6/2/05, tra Moggi e l'ex designatore arbitrale, che “rileva per le parole 'non l’ho ancora acceso', cui segue il collegamento tra l’utenza svizzera attribuita a Pairetto, con numero finale 213, e l’utenza di Moggi con numero finale 741” (pag. 206).

Ed infine c'è la 523 del 9/2/05, tra Bergamo e la Fazi, in cui “traspare condizionamento della libertà del designatore in riferimento all’assistente” (pag. 206). È quella del "se non è zuppa, è pan bagnato" di cui riportiamo il pezzo incriminato (è Bergamo che parla) "ho detto: chi vuoi assistenti domenica? Dice: voglio Ambrosini e Foschetti. Ho detto: no, ti mando Ricci e Gemignani...-ride-..."

Abbiamo già analizzato la “grigliata” notturna in varie occasioni ( "Accuse Juve: griglie, sorteggi e designazioni pilotate", "Metodo Auricchio - Le griglie, uno strumento della cupola") ed ogni volta ci chiediamo come possa configurare un reato il gioco dello ‘indovina la griglia’ all’interno di una conversazione lunga, della durata di circa 20 minuti (pag. 2 della nostra trascrizione della deposizione di Di Laroni del 10/11/09), nella quale sono stati trattati i più svariati temi, tra i quali la “grigliata” è stata, questa sì, abbastanza marginale; un esercizio evidentemente ludico e leggero “vai, vediamo cosa torna con quello che ho studiato io”, “vediamo chi ha studiato meglio”. Oltretutto l’influenza di Moggi sulla griglia finale stessa non c'è, visto che a prevalere è proprio quella “studiata” da Bergamo durante il gioco del confronto e non quella di Moggi, che aveva quindi “studiato” peggio, volendoci mettere Tombolini, rimasto però fuori.
Per quanto riguarda i guardalinee, infine, appare chiara l'intransigenza dei giudici nel voler considerare reato la risposta ad una domanda del designatore, e questo nonostante il fatto che tale richiesta non sia stata ascoltata dagli inquirenti, bensì rappresentata, quindi un racconto, e completamente decontestualizzata.
Ma quello che ci colpisce maggiormente è come possano delle, magari evitabili ed inopportune, griglie o rappresentate "richieste" mettere in pericolo il corretto e leale svolgimento della competizione se la terna arbitrale viene poi assolta in blocco "per non aver commesso il fatto" e dunque evidentemente, né la terna né, quindi, la partita stessa hanno subito alcun condizionamento da parte delle azioni di Moggi.
Appare, dunque, in tutta chiarezza l'arrampicata dei giudici, i quali individuano un generico pericolo a monte di un evento sportivo svoltosi poi però assolutamente in modo regolare. Con il criterio utilizzato, la definizione di pericolo è talmente generica e soggettiva che, a questo punto, potrebbe anche essere di tutto e di più. Ad esempio, un commento del tassista tifoso che porta l'arbitro allo stadio raccomandandosi di far vincere la propria squadra oppure, per rimanere in tema Calciopoli, ma sappiamo che lì alcune squadre non interessavano, un dirigente calcistico che prima di una partita ricorda al designatore arbitrale lo "score" poco felice di un arbitro con la propria squadra o altro ancora, lasciato alla libera fantasia di ciascuno di noi.

Chiudiamo dicendo che per i capi d'imputazione Q ed F avevamo usato il paragone con 'l'effetto farfalla'. In realtà in quella teoria già di per sé molto fantasiosa, almeno a seguito di un'azione a monte vi è una conseguenza a valle. Nel caso della sentenza di primo grado del tribunale penale di Napoli dell'8 novembre 2011 che condanna Luciano Moggi per il capo d'imputazione Q, e con lo stesso metodo anche per il capo F, non c'è nemmeno quella.

Avvertiamo i nostri lettori che il Q è l’unico capo d’accusa di frode sportiva per il quale nel rito abbreviato è stata confermata la condanna in Appello per Giraudo. Tale giudizio è sostanzialmente propedeutico per mantenere per l'ex dirigente juventino anche il capo A, quello relativo all’associazione, quindi Q è necessario al quadro accusatorio complessivo se si vuole tenere dentro questa farsa giudiziaria anche l’ex amministratore delegato della squadra bianconera.


Puntate precedenti:
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