RossiI processi di Calciopoli si sono svolti con eccessiva fretta e con una superficialità intollerabile per un qualsiasi tribunale che si possa definire imparziale. Pur considerando la maggior rapidità dei procedimenti giudiziari sportivi rispetto a quelli ordinari, non è in ogni caso concepibile lo stravolgimento dell’iter processuale e la negazione dei più semplici diritti di cui dovrebbe godere la difesa. Esaminiamo uno per uno gli elementi che hanno inficiato il regolare svolgimento dei processi:

INUTILIZZABILITÀ DELLE INTERCETTAZIONI
L’art.270 del Codice di Procedura Penale prevede che «i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza». Le intercettazioni non possono costituire mezzo unico di prova al di fuori del procedimento per il quale sono state disposte (in questo caso quello penale). Il processo di Calciopoli si è basato esclusivamente sulle intercettazioni.

ABOLIZIONE DI UN GRADO DI GIUDIZIO
L’art.37 comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva impone tre gradi di giudizio: «II giudizio per illecito sportivo e per violazioni in materia gestionale ed economica è di competenza delle Commissioni disciplinari in prima istanza e della C.A.F. in seconda ed ultima istanza. Nel caso di più incolpati, appartenenti a Comitati diversi, la competenza territoriale è determinata dal luogo ove è stato commesso l'illecito». Rispettando i dettami del codice, l’iter di giudizio sarebbe dovuto iniziare con la Disciplinare ma Guido Rossi ha arbitrariamente deciso di eliminare questo passaggio. Il comma appena citato prevede anche che la competenza territoriale spetta al luogo dove è stato commesso illecito. Il processo si è tenuto allo stadio Olimpico di Roma ma, visto che le incolpazioni più pesanti erano addebitate alla Juventus, avrebbe dovuto svolgersi a Torino.

LA REQUISITORIA PRIMA DELLE DIFESE
L’art.37 comma 6 CGS prevede che «il dibattimento si svolge in contraddittorio tra la Procura federale e le parti, che possono stare in giudizio con il ministero e l’assistenza di un difensore. Al termine del dibattimento il rappresentante della Procura federale formula le proprie richieste. La difesa ed i soggetti deferiti hanno il diritto di intervenire per ultimi». Il procuratore Palazzi ha pronunciato la sua requisitoria prima ancora dell’inizio del dibattimento, violando palesemente l’articolo citato.

POCO TEMPO PER LA DIFESA
Il processo della Caf è durato cinque giorni, quello della Corte Federale soltanto quattro. Un po’ pochi se si considera che i deferiti erano 30, tra società e persone fisiche. Tra discussione di eccezioni, formalità burocratiche e presentazioni, alle difese non restava che circa mezz’ora ciascuno per produrre le proprie memorie. In considerazione della mole di intercettazioni, delle persone coinvolte e dei numerosi capi di incolpazione, il tempo processuale avrebbe dovuto raddoppiarsi anziché ridursi. I dibattimenti, se così possono essere chiamati, si sono ridotti ad una ridicola ed infinita processione di avvocati. Va inoltre considerato lo scarsissimo lasso di tempo concesso agli avvocati difensori per esaminare le migliaia di pagine di tabulati telefonici. L’accusa ha potuto visionarle e studiarle a lungo, la difesa ha dovuto farlo in poco più di una settimana.

NIENTE TESTIMONI, NIENTE PROVE A DISCARICO
Incredibilmente agli accusati non è stato riconosciuto il diritto di produrre testimoni in aula. Una negazione irrispettosa nei confronti di chi deve difendersi perché toglie a costui ogni possibilità di dimostrare la propria innocenza. Per esempio, la Juventus avrebbe potuto chiamare Bergamo, il quale ha più volte dichiarato di aver parlato al telefono di griglie ed arbitri con moltissimi dirigenti delle squadre di serie A. Una testimonianza del genere sarebbe risultata decisiva per smontare gran parte delle accuse. Lo stesso dicasi per la produzione di testi o intercettazioni. Sono state effettuate più di 100.000 intercettazioni ma ne sono state utilizzate, contro la Juventus, meno di 200. Ci sarebbe da chiedersi cosa ci fosse nelle restanti 99.800. Molto probabile che in alcune di quelle risiedano importanti prove a discolpa. Tuttavia la riproduzione di questo materiale istruttorio non è stata concessa.

NO ALLE PROVE FILMATE
Una negazione dei diritti fondamentali degli accusati si trasforma in completa ingiustizia nel caso delle prove filmate. I legali difensivi hanno chiesto di poter visionare in sede di dibattimento i nastri di alcune partite, i quali sarebbero stati fondamentali per chiarire alcuni punti controversi. Il permesso è stato negato ma, stranamente, è stato accordato alle squadre facenti parte del cosiddetto “secondo filone” di Calciopoli, come Arezzo e Reggina. Un filmato della partita Arezzo-Salernitana è stato ammesso in dibattimento ed è risultato fondamentale per alleggerire la posizione del club toscano. Perché questa diversità di trattamento?

UN REATO CHE NON C’È
In sede di indagini Borrelli ha più volte usato la locuzione “illecito ambientale” e “illecito strutturato”. Un reato che non è contemplato dal Codice di Giustizia Sportiva. Eppure, nonostante questo l’idea è stata accettata dai giudici, che l’hanno fantasiosamente giustificata con la teoria della sommatoria: più violazioni dell’art.1 fanno un art.6. Ma da quando sei palle da golf fanno un pallone da rugby? Da quando sei furti fanno un omicidio?

SPROPORZIONE DELLA SANZIONE
Le sentenze di Calciopoli sono una chiara violazione del principio della corretta commisurazione della sanzione e del principio del divieto di punire con più sanzioni lo stesso fatto. Per la Juventus, ad esempio, sono state comminate addirittura sei sanzioni dirette (revoca scudetto 2004/05, non assegnazione 2005/06, retrocessione, punti di penalità, ammenda pecuniaria, squalifica del campo) che ne hanno generate tre indirette (esclusione dalla Champions League per almeno due anni, svendita dei campioni in organico, rinegoziazione dei contratti televisivi e di sponsorizzazione). È opportuno ricordare come la revoca di uno scudetto è la pena più pesante prevista dal Codice di Giustizia sportivo e tale pena è stata applicata due volte per lo stesso (presunto) reato. Di fronte alla revoca di ben due titoli e ad una retrocessione con penalizzazione ci si domanda cosa abbia fatto una squadra per meritarsele. Ha comprato dieci partite, minacciato i calciatori avversari, ha falsificato i bilanci, regalato orologi d’oro agli arbitri e lasciato il terreno di gioco per via di un riflettore spento? Forse tutte queste cose insieme non basterebbero per giustificare le sanzioni oltremodo severe applicate alla Juventus, a carico della quale non c’è nemmeno lo straccio di una prova. All’uscita delle sentenze l’italietta antijuventina si è subito lanciata nei più disparati commenti: «alla Juventus è andata fin troppo bene», «il Genoa per molto bene è finito in serie C». Dichiarazioni senza nessun fondamento logico, dettate solo dall’astio e dal risentimento. Nel caso dei Grifoni va fatta una precisazione: il Genoa fu colto con le mani nel sacco, ovvero con una valigetta contenente 250.000 euro per accomodare una partita. Un illecito chiaro, con tanto di beneficio economico. Per questo i rossoblu sono stati retrocessi di una categoria (e non di due) con tre punti di penalità. Una pena sicuramente dura, ma ridicola in confronto a quella applicata alla Juventus. Lo stesso dicasi per Milan, Fiorentina e Lazio. Adottando il metro di giudizio della Corte Federale, se la Juventus non avesse avuto due scudetti da farsi togliere, dove sarebbe finita? In Interregionale? Una sentenza non solo sproporzionata ma letteralmente al di là di ogni sano ragionamento. Della stessa idea è Andrea Manzella, docente di diritto costituzionale alla Luiss di Roma: «Dalle cose che ho letto, mi sembra che la pena data alla Juventus sia abnorme e sproporzionata, perché le condotte contestate e le prove raccolte, a mio avviso, possono provare la violazione dell'articolo uno del codice di giustizia sportiva, quello sulla lealtà, non quello dell'articolo sei, l'illecito». Tuttavia, secondo la Corte Federale, una sommatoria di azioni sleali costituiscono un illecito. Teoria che Manzella non condivide: «Concetto discutibile. Quando mai la quantità si fa qualità? Ho letto di un ambiente inquinato, ma l'illecito sportivo va provato. Certo, ci sono le intercettazioni, ma dove sono tutti gli arbitri condannati? Ci vuole il “truccaggio”, la manomissione delle partite e bisogna dimostrarlo. Per questo giudico la pena molto pesante. Mi viene in mente, quando ho cercato di spiegare Calciopoli a un cronista dell'Observer, che mi chiedeva: No money, no girl. Niente soldi, niente ragazze. Dov'è la corruzione? mi chiedeva. Allora gli ho parlato del costume italiano, delle raccomandazioni» . La sproporzione si fa ancora più evidente se si considera che la Fiorentina, punita per un illecito diretto, è rimasta in serie A. Incredibili le parole del giudice Mario Serio, membro della Corte Federale, rilasciate a Repubblica il 27 luglio 2006: «alla Fiorentina un illecito sportivo è rimasto. È comprovato l’illecito del gruppo dirigente viola in Lecce-Parma. Per quelle intercettazioni c´erano elementi solidi, argomentati. Abbiamo rivisto gli ultimi 15´ della partita in camera di consiglio e Zeman con le spalle al campo era un’immagine che parlava da sola. […] La serie A con 19 punti ci è sembrata una punizione sufficientemente pesante». Quindi per un illecito diretto pare sufficiente la sola penalizzazione, invece per un reato che non esiste si revocano due scudetti e si manda una squadra in B? Rimane poi da chiedersi che fine abbia fatto, in sede di deferimento, la teoria di Borrelli secondo la quale il Milan era solo un gradino sotto alla Juventus in quanto a gravità di reati.