Lo dico subito, così è chiaro sin dall'inizio: Capello, con le sue disquisizioni da "padre della patria", mi ha stancato.
Ma non per i contenuti, su cui spesso sono d'accordo, quanto per l'opportunità.
Che il campionato italiano sia diventato periferia d'Europa è un dato di fatto sancito sia dal ranking Uefa sia dalle prestazioni delle squadre italiane in campo internazionale. Il buon Fabio, però, prima di "pesare" i suoi successi, dovrebbe ricordarsi anche della rosa che aveva a disposizione lui e di quella di Conte, soprattutto due anni fa. Non solo, Capello è quel genere di allenatore che, grazie al suo carisma ed ai successi ottenuti sul campo, in ogni società in cui è stato ha avuto la possibilità di essere accontentato nei suoi desiderata in merito ad acquisti di calciatori. E' stato prima di tutto fortunato nell'essere scelto da Berlusconi che lo mise alla guida del Milan negli anni in cui la società rossonera comprava il pallone d'oro (Papin) come prima riserva! La sua bravura, perché qui non è certo la competenza di Capello ad essere in discussione, lo ha poi messo nelle condizioni, come una star di Hollywood, di poter scegliere la panchina a lui più congeniale senza il minimo timore di rimanere senza lavoro: con lui al Real Madrid arrivarono Roberto Carlos, Panucci, Seedorf, Mijatovic e Suker.

Quando arrivò alla Roma, disastrata dalla gestione Zeman, fece indebitare all'inverosimile la famiglia Sensi perche lui potesse avere Samuel, Emerson e, soprattutto, Batistuta, tutti e tre decisivi nella vittoria dello scudetto 2001. Quando arrivò a Torino trovò già una squadra fortissima (ho il sospetto che, altrimenti, non sarebbe certo venuto, soprattutto pensando a quello che questo passaggio significò per i romanisti cui aveva promesso: "Mai alla Juve!"), ma ugualmente si fece arricchire la rosa con gli arrivi di Ibrahimovic, Emerson, Cannavaro, Zebina e Vieira l'anno successivo.
Piccola parentesi che potrebbe fare luce sull'origine delle "simpatie" tra Conte e Capello: il salentino lasciò l'attività di calciatore proprio nell'anno dell'arrivo del friulano a Vinovo. I ben informati dicono che Conte avrebbe voluto proseguire un altro anno la carriera in bianconero, ma che fu proprio Capello a stoppare questa velleità, bocciando di fatto il rinnovo per l'allora capitano.

Tuttavia lasciamo da parte queste elucubrazioni del tutto ipotetiche sulla nascita di questa inutile quérelle; ciò che mi preme sottolineare è il fatto che Capello sarà pure uno dei migliori allenatori mai nati sul pianeta Terra, ma è altrettanto innegabile che la sua carriera parla chiaro: gavetta zero. Per meriti o per fortuna non ha importanza, l'allenatore friulano non ha dovuto quasi mai lavorare con una rosa di calciatori non proprio esaltante e, quando è accaduto come il primo anno alla Roma, è arrivato sesto in classifica.
Tutto quello che chiedo a Capello, dunque, è soltanto un po' di onestà intellettuale quando si mette a giudicare il lavoro dei suoi colleghi, proprio perché questi si trovano a lavorare in condizioni molto più complicate di quanto non fosse capitato a lui negli anni in cui la Serie A faceva la parte di vacca grassa nel panorama internazionale.

C'è, inoltre, un altro aspetto che rende ingiuste le parole di Capello nei confronti di Conte. Quando il bisiaco ha rimproverato a Conte di aver esagerato nel punire i calciatori dopo il rocambolesco pareggio di Verona, ha precisato che "io non ho mai avuto bisogno di interventi del genere, che peraltro non condivido. Ho sempre preferito instaurare il dialogo con i miei calciatori". Ora, a parte il fatto che Capello è ritenuto uno degli allenatori più inflessibili del mondo, non è forse falsa questa affermazione? O dovremmo ricordare a Capello i suoi dialoghi amichevoli con Vincenzo Montella alla Roma, Cassano al Real nella sua seconda esperienza madrilena o Del Piero alla Juve? E non sarebbe anche giusto rammentare al mister di Pieris che, in tutte le società dove ha lavorato, non si è mai dovuto preoccupare dell'aspetto comunicativo, in quanto supportato da dirigenti molto presenti anche e soprattutto verso quella specie di "indagatori dell'occulto" che sono i giornalisti?

Perché il problema di Conte, e siamo alle solite, è quello di non essere altrettanto bravo, come sul campo, nel rapportarsi alla stampa. I toni e le espressioni del salentino non sono sempre perfetti e tarati sulla già di per sé strana "bilancia" della categoria cronisti sportivi italiani. A noi tifosi piace il tono "cazzuto" di Conte e il suo modo perentorio che spesso fa ben ad usare nei confronti degli addetti ai lavori, ma ogni tanto cade anch'egli in qualche défaillance dialettica, come ieri quando ha dovuto correggere il tiro della sua prima dichiarazione in quelle successive. Quando, però, la frittata era fatta e i titoloni sul "lapsus freudiano" di Conte su Calciopoli erano già bell'e pronti. La domanda, divenuta ormai atavica su queste pagine, è sempre quella: è giusto che debba essere Conte l'addetto stampa o alla comunicazione della società Juventus s.p.a.?

 

Twitter: @GiuSette7