Beretta“Oggi evidentemente c'era la necessità di arrivare a una soluzione che fosse, come dire, perfetta dal punto di vista statutario…” “Adesso dobbiamo concentrarci sul lavoro di questi mesi, concentrarci sull'idea di affermare un ruolo propositivo importante della Lega di A dentro il Consiglio Federale e contestualmente avviare tutta una serie di innovazioni e di implementazioni che sono richieste in realtà da tutte le società”.

Questi i buoni propositi enunciati da Beretta al momento della sua rielezione: in effetti la Lega da lunghi mesi, forse anni, era prigioniera di se stessa, del suo immobilismo, dei diritti tv, delle dimissioni (anzi no, adesso è certo che fosse uno scherzo…) di Beretta stesso. Ora l’ex ma anche nuovo presidente aveva trovato il bandolo della matassa e i nuovi consiglieri erano pronti a scattare in avanti, verso un futuro improntato al progresso e a riforme concrete. Ma presto, passato il Carnevale, le maschere sono cadute e al tavolo delle riunioni di via Rosellini i nuovi gattopardi sono apparsi per quel che erano: cioè nomi nuovi, o riverniciati, che portavano avanti le solite vecchie sordide pratiche. Sin da subito uno dei nuovi consiglieri, dopo un commovente tete a tete con il vicepresidente di Lega per poter giocare a Is Arenas Cagliari-Milan, era finito in galera, prigioniero dei suoi stessi magheggi e della debolezza di una Lega che, buttato a mare inizialmente il puntello fornito dalla normativa, si trovava ad ogni gara a dover prendere decisioni scomode e impopolari, dibattendosi tra proteste sulla regolarità del campionato, tifosi (a buon diritto) inferociti e autorità che a targhe alterne e in contraddizione tra loro concedevano, con modalità disomogenee, l’utilizzo dell’impianto: il tutto mixato dall’effervescenza di un Cellino che, forse per tener fede a quella nomea di indisciplinato appioppatagli dalla dott. Casoria, invitava i tifosi ad ammutinarsi, poi si proponeva come agnello sacrificale, poi se la prendeva con i dirigenti avversari che obbedivano ai dettami della Lega, per trovarsi infine nelle celle del carcere di Buoncammino, con tanto di sindaco e assessore al seguito.

Ma il bello doveva ancora venire: tra i neoconsiglieri c’è un certo Preziosi, il cui curriculum a livello di giustizia sportiva ha fatto sorgere anche nel solitamente imperturbabile Abete più di una perplessità: perché sappiamo che il vecchio nuovo presidente federale ha il pallino dell’etica, che spesso, ahilui, gli sfugge in prescrizione; stavolta l’ha acchiappata giusto per la coda e allora, forte della sua incompetenza, si è rivolto alla Sezione consultiva della Corte di Giustizia Federale, che gli ha confermato che, in effetti, a norma dell’art.. 29 comma 1 dello statuto federale, non sono eleggibili a cariche previste dallo Statuto, coloro che “siano stati colpiti negli ultimi dieci anni, salva riabilitazione, da provvedimenti disciplinari sportivi definitivi per inibizione o squalifica complessivamente superiore ad un anno..”. Specificando che le Noif equiparano ad ogni effetto i Dirigenti delle Leghe (tra cui i Consiglieri di Lega) ai dirigenti federali.

Apriti cielo. Tanto basta per mandare all’aria tutti i buoni propositi, sino a quel momento rimasti appunto solo tali, dei presenti in Assemblea: il gruppo uscito vincitore dal ribaltone del 18 gennaio non ci sta e chiede il classico colpo di spugna all’italiana: la regola non ci fa gioco? Cambiamola. E si fa largo l’idea di portare alla Figc una proposta di modifica regolamentare; la proposta è avversata dalla minoranza, che sembra in procinto di acquisire un nuovo adepto, quello Zamparini che in Lega mandava il suo ad Lo Monaco, anch’egli consigliere di Lega; ma Lo Monaco è stato spazzato via insieme a Gasperini, dall’ennesimo repulisti in casa rosanero (ma poi a tempo di record già ripescato dal vorticoso mulinello delle sinapsi cerebrali di Zamparini); e il suo successore, Perinetti, ha declinato l’invito a sedersi in consiglio in vece sua, azzoppando di fatto il consiglio di un altro membro.
E quest’ultima picconata, unita alle assenze di Cairo e Pozzo, ha mandato a vuoto il Consiglio, trovatosi con 5 membri presenti su 10.

Peraltro in quella riunione di Lega, già iniziata in ritardo perché si potesse degnamente celebrare il Cannavò-Day, in onore del candido teorico di Moggiopoli che ora siede alla destra dell’amico San Giacinto, si è pensato soprattutto a farsi i fatti propri, con De Laurentiis che, libero dagli impicci dell’Europa League, cercava di mettere a profitto i buoni uffici di Beretta (che in qualche modo deve pur ricambiare i suoi grandi elettori) per ottenere da Marotta lo slittamento di un giorno del big match Napoli-Juve: missione fallita, per stavolta, Beretta troverà un’altra occasione per sdebitarsi.

Ma anche su tutto quanto discusso in assemblea non si è trovato l’accordo su nulla, non sulle nomine della fondazione per la mutualità, né sull’elezione del presidente dei revisori, né sui rappresentanti di Lega nelle commissioni Figc (dalla giustizia sportiva alle seconde squadre). Anche per le date di inizio e fine della prossima stagione è tutto in alto mare. E il Napoli si è già indispettito con i nuovi amici perché (come Juve e Inter) non vede affatto di buon occhio che Panini sub-licenzi a Giochi Preziosi i diritti per lo sfruttamento multimediale delle figurine.

Insomma sono cambiati i nomi ma i pastrugni restano sempre gli stessi, anzi, di male in peggio, si potrebbe dire: ognuno a farsi gli affaracci propri: perché quel che importa non è governare la Lega, ma mantenere il proprio orticello libero dalle ‘erbacce’ altrui. E’ la promanazione di un calcio figlio di quelle dinamiche basate su un continuo mercanteggiare: proprio il motivo che indusse Andrea Agnelli, come lui stesso ebbe a dichiarare, a chiamarsi fuori da un simile pseudogoverno del calcio: “La Juventus non ci vuole stare, io non ci voglio stare”. Certo il figlio di Umberto si è formato ad una scuola molto diversa.

 

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