arbitro

Sarà Stefano Braschi il designatore arbitrale per gli incontri di serie A, con Marcello Nicchi a presiedere la nuova struttura bicefala che separa la CAN di Serie A da quella della serie cadetta, in cui esordirà come dirigente Roberto Rosetti, fresco di Mondiale. L'ex arbitro toscano vanta una lunga carriera internazionale, coronata dalla direzione della finale di Champions League tra Real e Valencia, bruscamente interrotta nel 2003 quando decise di approdare come dirigente al Siena, senza però aver chiesto autorizzazione all'AIA, di cui faceva ancora parte. Imprudenza che gli costò una squalifica di 18 mesi.
Il bello, però, è come ci ritorna, all'AIA: ossia nell'estate di Calciopoli, quando ancora sotto squalifica, beneficia di un'amnistia ad personam dal munifico Guido Rossi.
Il suo reintegro nei ranghi dell'AIA è stato oggetto di ben due interrogazioni parlamentari, la prima dell'onorevole Nardini, seguita da una seconda del senatore Cossiga. Effettivamente quell'amnistia, in tempi di caccia alle streghe e liste di proscrizione, fece aggrottare le sopracciglia di molti, che si chiedevano quale ripercussione potesse avere tale provvedimento perdonista sulle vicende di altri tesserati condannati. Tanto più che la spinta al perdono, secondo gli organi di stampa, sembrava provenire dall'allora Commissario Straordinario dell'AIA, Agnolin, un altro che non aveva titolo per occupare la sua posizione, in quanto dimissionario da più di dieci anni dall'istituzione arbitrale (vedi anche qui, qui o anche qui)). Nessuna ripercussione: il perdono toccò al solo Braschi.
Perché perdonare solamente Braschi? A che pro? E per una carica, quella di dirigente della sezione regionale toscana, per cui non sembravano mancare dirigenti validi; una carica, per altro, non certo di primo piano. Di carica in carica, però Braschi è diventato designatore in Lega Pro, e oggi in Serie A.
Quel perdono rimane assai inspiegabile.
Di converso, pensiamo alla vicenda di Gianluca Paparesta, prosciolto da ogni accusa dalla giustizia ordinaria, ma vittima di un ostruzionismo spinto ai limiti più estremi, da parte delle istituzioni, ostinate a tentare ogni ricorso giuridico possibile pur di non reintegrarlo. Messe a confronto le due vicende, qualcosa chiaramente non quadra.
La legge certo non è stata uguale per tutti: chi reietto e chi designatore.
Qual è dunque il criterio con cui l'AIA - e perché non estendere il discorso alla FIGC - sceglie i propri uomini? Dov'è la ventata di aria fresca, dove il merito, dove l'imprescindibile codice etico? O è questione, massì, di fortuna?
Sono pochi coloro che possono vantarsi di essere stati perdonati da Guido Rossi, già questa è una bella fortuna: così a memoria mi viene in mente solo quella squadra milanese cui il severo Guido concesse un maxisconto sulla ricapitalizzazione chiesta dalla Covisoc, in seguito alla vendita del marchio a una sua controllata.
Come per Braschi, sono stati quattro anni fantastici per quella squadra.
Il perdono di Guido Rossi, è chiaro, porta fortuna.