CragnottiLa Lazio di Gianmarco Calleri in difficoltà di mezzi e di idee passa, nel febbraio 1992, nelle mani del rampante imprenditore Sergio Cragnotti. Gli esordi, all’insegna della misura e del contenimento, sono promettenti: «Voglio essere un imprenditore perché nel calcio il tifo è il punto di partenza ma ciò che conta è la professionalità con cui si lavora. […] Prometto subito investimenti». I buoni propositi ci sono, le promesse di gloria anche: la prima campagna acquisti è “berlusconiana”, con oltre 60 miliardi di lire investiti in ingaggi di nuovi giocatori. Ma Cragnotti, criticato a margine di una conferenza della Cirio, dichiara di sentirsi assolutamente sicuro delle sue finanze e dei suoi bilanci: «Credo che i controlli della Guardia di Finanza nelle società di calcio siano stati dovuti ma non penso che alla Lazio siano state trovate irregolarità. Il calcio però deve cambiare (se lo dice lui…, nda), deve cominciare a fare più attenzione ai conti. Noi siamo stati i primi ad adottare una gestione imprenditoriale e ad aver introdotto la certificazione dei bilanci. È pur vero che i calciatori hanno raggiunto soglie pericolose di quotazione». Ma già nel marzo 1993, a meno di un anno dalla sua investitura come presidente della Lazio, Cragnotti riceve un avviso di garanzia per falso in bilancio (in compagnia di Raul Gardini e Lorenzo Necci) nell’ambito dell’inchiesta Enimont, società per la quale era amministratore delegato dal 1989. Cragnotti patteggia una pena di un anno e cinque mesi. Sembra finita per lui, ma il calcio è magico e bastano due o tre nuovi acquisti a far dimenticare tutto. Leggiamo Crosetti da Repubblica.it del 10 settembre 2002, davvero illuminante:

Quando Serginho il ragioniere varcò il cancello del carcere di Opera in un brumoso pomeriggio novembrino del 1993, tutti erano convinti che il signor Lazio fosse già al finale di partita, infilzato dal rigore del destino e da Mani Pulite. Sergio Cragnotti tornava quel giorno dal Brasile, sua seconda patria, la terra in cui cominciò a comprare a pochissimo e a vendere a moltissimo per conto di Serafino Ferruzzi e Raul Gardini, suoi scopritori, benefattori e sponsor. Era venuto “a consegnarsi” dopo il mandato di cattura per la faccenda delle tangenti Enimont, un gorgo che ne fece affogare tanti e morire qualcuno. Non lui.
Prostrato dalla clausura, e forse dall’obiettiva difficoltà nel recuperare laggiù una lampada abbronzante, dopo tre giorni in galera Cragnotti parlò, ammise che dieci miliardi furono versati al Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) in nome e per conto di Gardini, allo scopo di ottenere sgravi fiscali quando Eni e Montedison dovevano fondersi. Non fu reticente, spiegò il bianco e soprattutto il nero: aveva già intuito come uscire dal gorgo, e lo fece nel ’98 patteggiando un anno e cinque mesi di reclusione per falso in bilancio, appropriazione indebita e finanziamento illecito dei partiti. Fu così che Serginho, soprannome brasileiro ma lucida freddezza giapponese, saltò Tangentopoli in dribbling.
Oggi, certo, la sua Lazio ha le pezze ai pantaloni, però Cragnotti continua a fare quello che sempre ha fatto: comprare quando può e vendere quando deve. Così ha ceduto Crespo e Nesta con la polizia sotto casa per scongiurare agguati degli ultrà, ma non gli restavano altre carte. Perché la prima società calcistica italiana quotata in borsa (4 maggio 1998) presentava al 30 aprile scorso un indebitamento di 137,3 milioni di euro, superiore al valore della sua produzione, ed è in arrivo la Consob con la lente di ingrandimento. In dieci anni sono stati spesi sul mercato oltre ottocento miliardi di vecchie lire. Adesso il gruppo Cragnotti ha un po’ il latte alle ginocchia: la azioni della Bombril, controllata brasiliana della Cirio di cui Cragnotti è il padrone, sono state oggetto di una richiesta di pignoramento. E la regione Lazio ha contestato al club biancazzurro l’omesso versamento di imposte sui redditi da lavoro dipendente per 8,9 milioni di euro.
Dietro la cessione di uno stopper e di un centravanti, si agitano a volte lugubri fantasmi. Eppure Sergio Cragnotti è sicuro di cavarsela anche stavolta, lui così abile nel comprare gelati, pelati e attaccanti croati. Anche se non ha mai spiegato davvero da dove arrivassero gli ottanta miliardi di liquidazione Enimont che gli permisero di mettersi in proprio nel ’91: ma con quel filo, la ragnatela si è allargata. Beppe Signori, Winter, Gascoigne, Fuser, Marchegiani (pagato in parte in nero, come Cravero), Boksic e Casiraghi, Mancini e Salas, Nedved e Vieri, Veron e Crespo (senza contare Sven Goran Eriksson, Sergio Conceiçao, Jugovic, Stankovic, Almeyda, Simeone e i coup de théatre De La Pena per 26 miliardi, Mendieta per 87 e Claudio Lopez per 54, nda).
Una lunga rincorsa , parecchie grane collaterali (Cragnotti patteggiò un mese di reclusione per irregolarità contabili nella costruzione del centro sportivo di Formello) e l’apoteosi nel 2000, anno del centenario e del giubileo, quando arrivarono scudetto, Coppa Italia e Supercoppa Europea. Disse l’avvocato Agnelli: “Cragnotti può spendere cifre che noi non possiamo permetterci”. Veramente non poteva permettersele neanche lui, solo che faceva finta di non saperlo. E poi c’è sempre un angelo custode, si chiama Cesare Geronzi, cioè Banca di Roma: quando la Lazio becca un contropiede, è lui a mettere la palla in corner.


A sistemare momentaneamente le cose ci aveva pensato la Borsa. Nel maggio 1998 la Lazio, avvalendosi dello “sconto” Consob (obbligo di presentazione di un solo bilancio in utile anziché di tre consecutivi) e sfruttando la legge del 1996 che tramutava le società sportive in società a fini di lucro, fa il suo ingresso nei listini di Piazza Affari. Il lancio è in grande stile, con tanto di calciatori in bombetta ritratti per la foto ricordo: 44 mila tifosi cascano nell’inganno e acquistano le azioni della S.S.Lazio, le quali fruttano a Cragnotti la bellezza di 60 milioni di euro. Una metà finisce nelle casse della Lazio, l’altra in quelle della Cirio. E poco importa se oggi, il titolo ha perso circa il 98% del suo valore di collocamento.
Ma si tratta solo di una leggera pioggerellina nel deserto perché i conti biancocelesti vanno peggiorando di anno in anno. Il sistema delle plusvalenze ideato da Cragnotti genera ammortamenti che crescono esponenzialmente fino a diventare insostenibili per le casse societarie. Solo l’introduzione del decreto salvacalcio del febbraio 2003 riuscirà a mitigare l’esposizione debitoria, già enormemente gravata dall’elevatissimo monte ingaggi. Stipendi, tra l’altro, non sempre regolarmente corrisposti:

La Lazio è in difficoltà con Jaap Stam, il difensore centrale chiamato a sostituire Nesta. Da quattro mesi l’olandese non vede lo stipendio e l’arretrato è arrivato a quota 800.000 euro. Abituato a Manchester al bonifico in banca ogni venerdì, lo stopper ha fatto partire le raccomandate. (Repubblica, 2 novembre 2002)

Una situazione disastrosa che si riflette in queste cifre: al 31 marzo 2002 (data ultima per la presentazione dei requisiti d’accesso alle coppe europee) la Lazio è indebitata per 283,76 milioni mentre al 30 giugno, alla chiusura del bilancio d’esercizio per le società di calcio, la cifra sale a 321,44 milioni. In questo modo non viene rispettato il parametro per l’iscrizione al campionato, il quale richiede che il rapporto tra ricavi e indebitamento non possa essere inferiore a tre (in sintesi, se mi indebito di 10 devo aver incassato almeno 30).
Come ha potuto la Lazio iscriversi ai campionati? La risposta è una sola: “finanza creativa” o, per dirla con Giraudo, “doping amministrativo”. Cragnotti nel 2002 si serve a piene mani di fidejussioni e finanziamenti, fino a toccare l’abnorme cifra di 267 milioni di euro. Ma la cosa divertente è che il 95% di quelle fidejussioni vengono garantite praticamente dalla Lazio stessa: 38,48 milioni di finanziamenti e 100,72 di fidejussioni provengono da Cirio Holding e Cirio Finanziaria mentre 119,16 milioni da Cragnotti in persona! Solo 8,63 milioni vengono garantiti da istituti assicurativi reali (Ina Assitalia e Credito Emiliano). In poche parole, la Lazio riesce a coprire quasi tutto il debito grazie a garanzie rilasciate dalle sue stesse società controllanti che, tanto per restare in tema, non hanno più una lira in cassa. Per sistemare i restanti milioni di passivo, il presidente biancoceleste escogita due colpi di genio: afferma di voler iniziare un piano industriale di rilancio che porterà a generare degli utili (al quale ovviamente non crede nessuno) e iscrive a bilancio un credito anticipato con le imposte di 36,80 milioni (in pratica: questi soldi li dovrò pagare tra qualche anno quando farò utile, quindi li metto a credito adesso). È una manovra che contrasta con le leggi del codice civile ma che la Deloitte