C'è poco da stare Allegri...

Al mondo esistono, grosso modo, tre categorie di persone: i mediocri, i capaci e gli eccellenti. Si tratta di una considerazione per certi versi approssimativa, ma – non fosse altro perché consente di semplificare i ragionamenti – sicuramente efficace allorché si tenti di esprimere un giudizio su un professionista che, inevitabilmente, può essere valutato quasi solo in base ai risultati conseguiti.
Nel caso di un allenatore di calcio, la classificazione secondo il suddetto schema non è poi così complessa.
Profilo 1 (mediocre) - Sei un allenatore di questa categoria se non hai mai vinto niente e, ancor di più, se fallisci con buona regolarità gli obiettivi fissati a inizio raduno dalla società. Tra coloro che lavorano o hanno lavorato in Italia i nomi si sprecano (e coincidono, quasi sempre, con quelli dei tecnici che raramente – come si dice in gergo – arrivano a mangiare il panettone). Mi limiterò ad indicarne tre, scegliendo più che altro in base alla loro notorietà. Il primo della lista non può che essere lui: il maestro di calcio per antonomasia, il collezionista di esoneri più sopravvalutato della penisola, allenatore dell'anno ad agosto e puntualmente scaricato a novembre: Zdenek Zeman. Sul boemo che tanto piace alle gazzette pallonare mi sento di poter dire che ogni commento che non si soffermi sull'elenco interminabile dei suoi fallimenti sia superfluo.
Altro profilo di mister mediocre è sicuramente Claudio Ranieri. Sempre gentile e garbato, maschera con un'ostentata – a tratti fastidiosa – pacatezza gli evidenti limiti del suo carattere arrendevole. Con lui – statene certi –, mai una gioia! Eterno secondo, il buon mister romano è, in sostanza, un nome che dà garanzie, purtroppo molto spesso non nel senso sperato da chi gli paga lo stipendio.
Termino la lista con un altro, grande mediocre: Roy Hodgson. Un mister che boccia Roberto Carlos per promuovere Pistone non ha bisogno di presentazioni. Un grande sotto ogni aspetto, cui va la simpatia di tutti noi per la sua memorabile esperienza in nerazzurro.
Profilo 2 (capace) - Sei un allenatore di questa categoria se ottieni con buona frequenza i risultati richiesti dalla società. Non sei un vincente nato, ma sei affidabile e quasi mai deludente. Tra i tanti, mi vengono subito in mente due nomi. Il primo è Rafa Benitez. Lo spagnolo è sicuramente un professionista serio e preparato, che ha alternato incredibili exploit (la vittoria della Champions ai danni del Milan) a flop più o meno mascherati (come l'esperienza tutto sommato negativa all'Inter e l'annata appena conclusa a Napoli, nella quale ha accumulato un distacco siderale dalla Juve prima in classifica pur avendo a disposizione un'ottima squadra). Chi lo ingaggia, in pratica, sa comunque che difficilmente resterà completamente a mani vuote.
Il secondo nome – meno blasonato – è quello di Francesco Guidolin. Basta il suo recente lavoro all'Udinese per annoverarlo tra i migliori tecnici italiani, anche se è lecito nutrire qualche perplessità in considerazione del fatto che non ha mai allenato una squadra da vertice. Un conto infatti è guidare una provinciale (con tutto il rispetto), altra cosa è gestire la pressione che ricade su un gruppo che ha un solo obiettivo: la vittoria finale.
Profilo 3 (eccellente) - Rientri in questo gruppo se vinci con regolarità, anche al di là dell'effettivo valore della squadra che alleni. Se, cioè, sei in grado di far rendere la rosa al massimo, magari prevalendo su avversari sulla carta più attrezzati. Anche in questo caso i nomi si sprecano, ma mi limiterò, come per i mediocri, a tre esempi. Il primo è Marcello Lippi. Quattro finali di Champions in otto anni con la Juve e la conquista del Mondiale 2006 parlano per lui. Un tecnico capace di vincere motivando al massimo tutti i giocatori, i quali – guarda caso – spesso parlano di lui come di un maestro.
Altro mister eccellente è senz'altro José Mourinho. Antipatico e scorretto fin che si vuole, ma non si può negare che sia un vincente, uno che può deludere, ma che quasi mai fallisce. Una garanzia (e ci mancherebbe altro, visto quanto si fa pagare!).
Infine, un allenatore che a mio avviso merita di rientrare in questa categoria è Antonio Conte. È vero: forse è prematuro consacrarlo tra le eccellenze (è giovane e ha ancora tanto da vincere e dimostrare), ma tre scudetti consecutivi a suon di record con una squadra reduce da due settimi posti sono un bottino che non cade dal cielo. Peccato averlo perso!
Ora, giunti al termine di questa carrellata, immagino che i più si stiano interrogando su quale sia la categoria di pertinenza del nostro nuovo mister, Massimiliano Allegri. Confesso che anch'io ho alcune incertezze. Di sicuro, qui possiamo stare tranquilli, Allegri non è un allenatore eccellente. Ha vinto uno scudetto con una squadra che, onestamente, era la più forte in quel momento (quindi ha semplicemente centrato l'obiettivo minimo), ma non mi ha mai convinto più di tanto. Innanzitutto ha perso un campionato (il primo dell'era Conte) contro una Juventus di certo più debole del suo Milan; poi – anche se qui, mi rendo conto, si entra nel campo delle impressioni soggettive – mi ha sempre trasmesso, in particolare con i prolungati piagnistei delle settimane post-goal di Muntari, una sensazione di debolezza. Mi sembra, cioè, un allenatore un po' incline alla lamentela e alla ricerca dell'alibi. Spero di sbagliarmi sul suo conto e, magari, che l'ambiente Juve gli faccia perdere questo vizio da perdente; ma, ripeto, la mia impressione è che non sia né un grande motivatore, né un tecnico ultrapreparato.
E quindi, vi starete chiedendo, dove lo collochiamo? Dopo averci riflettuto, credo che Allegri occupi una posizione intermedia tra la prima e la seconda categoria, cui resta aggrappato per il solo fatto che, in un caso, ha pur sempre vinto (e vincere, va detto, non è mai scontato). Ma resta il fatto che non mi sembra per niente un tecnico all'altezza del dimissionario Antonio Conte.
C'è poi un'ulteriore considerazione da fare. Allegri non ha lesinato in passato dichiarazioni fortemente antijuventine. Si dirà: nel calcio sono cose che capitano e una società fa bene ad ignorare le polemiche. Il che è senz'altro vero, se non fosse che la Juve – dopo Calciopoli – non è più una società come le altre. È inutile girarci intorno: se sei in causa con una Federazione che non ti riconosce due campionati vinti, hai bisogno di pianificare ogni dettaglio della tua strategia comunicativa. Non puoi, cioè, pretendere che il mondo del pallone ti restituisca due campionati che reputi ingiustamente sottratti da un tribunale, e poi tesserare un tecnico che, pochi mesi fa, faceva dell'ironia proprio su questo tema (sostenendo beffardamente che la Juve dovrebbe fregiarsi di un ulteriore tricolore, vinto in serie B). Qui è in gioco – non so se in corso Galileo Ferraris se ne siano accorti – la credibilità del club. La Juve, oggi più che mai, se intende sul serio portare avanti una battaglia sensata perché venga fatta giustizia, non può permettersi scivoloni. La scelta del dopo-Conte, non neghiamolo, ha rappresentato per i nostri colori l'ennesimo danno di immagine. Ecco perché, considerati i pro e i contro dell'investitura dell'allenatore livornese, c'è poco da stare Allegri.