Juve-Roma ’82: quando Platini e Scirea sconfissero i piagnistei giallorossi

A guardare i numeri della classifica, Juventus-Roma di domenica sera dovrebbe essere “semplicemente” la partita tra le due migliori squadre del campionato 2013-’14 e invece in questa sosta natalizia certa stampa non ha perso tempo per dar fuoco alle polveri e riproporre i temi di una rivalità che, dando uno sguardo alla sala trofei dei due club. non avrebbe proprio ragione d’esistere. Inutile negare che quel gol annullato a Turone (e la veridicità della moviola fa ancora oggi discutere) ha rappresentato uno spartiacque epocale nella storia delle sfide tra i due club e ad esso  una serie d’episodi quasi sempre  ingigantiti e apostrofati mediaticamente come sgarbi, se non addirittura veri soprusi da parte bianconera nei confronti di quella giallorossa: i guanti di Aldair, gli acquisti di Paulo Sousa e Ferrara considerati da Franco Sensi uno “scippo” di Moggi, gli ingaggi di Capello e Emerson. Difficilmente vengono però riportati alla memoria  episodi come il fallaccio di Totti a Pirlo nell’ultimo scontro di febbraio o del cambio di regolamento del 2001 che consentì alla Roma di schierare nello scontro diretto di Torino quel Nakata che sarebbe risultato decisivo.
 
In questa rassegna di piagnistei in salsa romanista ho deciso di proporre quello più temporalmente vicino al famigerato gol di Turone. Era il 24 ottobre 1982 quando Juve e Roma si affrontarono al Comunale per una sfida che vedeva di fronte i campioni d’Italia in carica (la Juve) e la capolista dopo sei giornate di campionato (la Roma) distanziate di tre punti. In quel primo scorcio di campionato, nonostante gli acquisti di Platini e Boniek, la squadra agli ordini del Trap aveva avuto un rendimento non all’altezza delle aspettative: le “Roi” aveva avuto difficoltà ad entrare nei meccanismi di squadra anche a causa di una fastidiosa pubalgia che lo avrebbe tormentato per tutto l’autunno, mentre il blocco  azzurro campione del mondo faticava a trovare la migliore condizione a causa delle residue tossine lasciate dai Mondiali di Spagna. E così il match di Torino rappresentava per i nostri una ghiotta occasione di riportarsi in scia alla squadra di Liedholm, vista anche la possibilità di schierare la formazione al completo, probabilmente la Juve più forte di sempre: oltre ai già citati Platini e Boniek, i sei campioni del mondo (Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Rossi), più Bettega (che campione del mondo non era diventato solo a causa di un infortunio) e due gregari come capitan Furino e Sergio Brio.
Ogni tipo di tatticismo saltò già al 4’ quando Chierico, bravo a sfruttare un cross di Maldera e l’errata valutazione dello stesso da parte di Cabrini, portò in vantaggio la  Roma. La reazione della Juve produsse, al 16', un’occasione per Platini, che si fece parare da Tancredi un colpo di piatto a botta sicura, e una girata al volo di Bettega respinta dalla difesa giallorossa: due fiammate d’orgoglio e non il frutto di una manovra fluida e avvolgente. Nel secondo tempo però Furino e compagni scesero in campo con più convinzione e trovarono il gol al  49’ con Platini che mandò in rete un tiro cross di Tardelli quasi sulla linea di porta. Cinque minuti dopo fu Scirea, già autore di una grandissima prova in difesa, a portare la Juve in vantaggio segnando un gol da centravanti vero quando scaraventò  di forza in porta un assist di Boniek. La partita si mantenne comunque molto viva con la Roma a cercare ancora il pari, dapprima con un tiro di Pruzzo da fuori area e poi con una punizione di Di Bartolomei, e con la  Juve  vicina al 3-1 con un colpo di testa di Bettega che si fermò sulla traversa.
 
Il pareggio di Platini fu però l’episodio incriminato in maniera unanime da squadra e allenatore capitolini, i quali accusarono il francese di trovarsi in fuorigioco ma, ancor peggio che nell’occasione di Turone, le immagini non chiariscono le lamentele romaniste: “La chiave del match è tutta nell’episodio del gol del pareggio perché eravamo in vantaggio e stavamo giocando con sufficiente tranquillità” avrebbe detto a fine gara Liedholm. A fargli eco Tancredi, in versione “rivelatore della verità celeste”: “Io ho visto solo Platini in fuorigioco, altro non mi va di dire” e Pruzzo, “Io non posso dire nulla sul fuorigioco perché ero dall’altra parte del campo, ma i miei compagni garantiscono che Platini era in offside e questo mi basta (anche il francese garantiva di non essere in fuorigioco…). Conti rincarò la dose lamentandosi perché l’arbitro non aveva concesso recupero viste “le tante interruzioni”.  
 
Curioso notare come alla fine dell’annata, nonostante questa vittoria e quella del girone di ritorno, la Juve finì seconda proprio alle spalle della Roma, che venne peraltro sonoramente sconfitta anche nei quarti di finale di Coppa Italia: sia nel match d’andata che in quello di ritorno. Ulteriore conferma di come, al di là delle lamentele di presunti complotti,  anche sotto il Cupolone si potessero vincere scudetti, quando la forza della rosa e la l’organizzazione di squadra lo consentivano, per di più contro quel nemico giurato chiamato Juventus.