La Champions League dei "però"

Se prendete un manuale di psicologia comportamentale troverete sicuramente il concetto di razionalità limitata che contraddistingue il processo decisionale di ogni individuo: tutti noi siamo limitati nelle decisioni che prendiamo, anche a causa del poco tempo a disposizione. Ok, mi fermo qui, non intendo certo stendere un trattato di psicologia, ma la premessa è doverosa: applicate questo semplice concetto a ciò che un calciatore fa in campo in pochi decimi di secondo e ne viene fuori come una partita di calcio non possa essere spiegata solo razionalmente. Quella forza imperscrutabile che chiamiamo sorte, fortuna, dea bendata o che associamo alle forme curvilinee dell’anatomia umana può incidere sicuramente su un esito di una partita, tanto che più di qualche tifoso, dando una rapida occhiata tra forum e social network, ha scelto come principale artefice del disastro sportivo di Istanbul proprio questo fattore.

Però, però, questa congiunzione di cui farò un uso tanto spropositato quanto formalmente poco elegante, attanaglia da mercoledì pomeriggio i miei pensieri sul cammino europeo bianconero interrotto dal gol di Sneijder. Va bene che la Juve ha perso nelle condizioni più impensabili alla vigilia: un match di circa 20 ore condito dall’incapacità dei rappresentanti Uefa di comprendere l’impossibilità di giocare su quel campo, da difficoltà logistiche, da furbate più o meno esplicite da parte dei turchi con i loro spalatori attenti a ripulire con efficacia la parte di campo in cui avrebbe attaccato il Gala (e questo è successo sia martedì sera che mercoledì mattina), però la qualificazione agli ottavi è stata buttata nei primi due match, come lo stesso Conte ha ammesso sia in zona mista che in occasione della “simpaticissima” consegna del tapiro d’oro da parte di Striscia.

Non siamo stati fortunati, vero, però siamo andati a giocare a Copenhagen contro la compagine più scarsa dell’intera Champions League con 5 difensori, mezza squadra fuori per turnover e non abbiamo tirato in porta per un'ora, senza contare che al ritorno abbiamo vinto grazie a due rigori, frutto di altrettanti disastri dei loro difensori, però abbiamo avuto sfiga. Il Gala ha perso a Copenhagen però loro non hanno avuto sfiga, è Mancini che in fondo rimane sempre uno che senza Calciopoli avrebbe vinto solo Coppe Italia (giudizio comunque insindacabile). All’andata i Turchi vennero a Torino con una formazione messa su da Taffarel, su stessa ammissione di Mancini, visto che il pupillo di Moratti era arrivato due giorni prima in riva al Bosforo e ebbero fortuna sul gol di Umut Bulut, però in pochi ricordano che, vaccata di Isla a parte, fummo costretti a giocare con due difensori di ruolo da metà secondo tempo perché altrimenti saremmo andati di fatto fuori dalla Champions già alla seconda giornata per rimontare il gol di Drogba innescato da uno svarione di Bonucci (e qui abbiamo avuto sicuramente sfiga, mentre i difensori danesi contro di noi sono stati solo scarsi). Insomma la malasorte può anche esistere per carità, ma la si può concepire per un episodio, al massimo per una partita in cui la palla davvero non ne vuol sapere di entrare; però fare sei punti in sei partite non può essere solo il frutto della fortuna che ci ha voltato le spalle.

Conte ha spesso parlato di un “percorso iniziato insieme alla società”, della necessità “di alzare l’asticella”. Pur ringraziando e amando per sempre il mister che con il suo immenso lavoro svolto in questi due anni ci ha ridato quella dignità calcistica che la precedente gestione Projettò ci aveva tolto, ho un “però” anche per lui, perché l’obiettivo di alzare l’asticella che, a mio avviso, in Champions League avrebbe dovuto significare giocare le partite del girone cercando di non replicare gli errori dello scorso anno (vedi pareggio contro la squadra danese più scarsa del lotto delle 32), per evitare di finire la corsa troppo presto rispetto alla scorsa edizione, dove, dopo un inizio sofferto, facemmo bene: schiantati danesi e Chelsea a Torino, andammo ad imporre il gioca a Donetsk per poi passare in scioltezza contro il Celtic prima di essere annichiliti da quella squadra di panzer che risponde al Bayern Monaco.

Vero è che non abbiamo né l’organico, né le risorse finanziarie di Bayern Monaco, Barcellona e Real Madrid, però rimane la sensazione di un’occasione mancata, la consapevolezza che con una rosa tutto sommato di ottimo livello si sarebbe potuto fare molto di più invece che finire impantanati sotto la neve di Istanbul. Assodato che non abbiamo una rosa infarcita di campioni anche nelle seconde linee, non la scambierei mai con quella dei turchi, tanto meno con quella dello Schalke, del Dortmund, dell'Atletico di Madrid, dell'Arsenal e di tutte le altre. Poi se voi reputate il centrocampo dell'Arsenal (per fare un esempio) con Flamini-Arteta-Cazorla-Ozil superiore al nostro o se invece credete che Jenkinson, Mertesacker e Koscielny siano meglio di Barzagli-Bonucci-Chiellini, rincaro la dose sostenendo come questo gruppo abbia messo sotto anche il Real per un tempo allo Juventus Stadium, con un atteggiamento tattico e mentale decisamente diverso rispetto alle versioni sparagnine delle prime due partite in cui la squadra aveva dato l’impressione di essere contratta, quasi intimorita.

Non sono per il rifugio in realtà parallele: abbiamo perso e purtroppo abbiamo perso da asini, visto che, neve o non neve , abbiamo fatto anche una discreta partita comandando il gioco, ad ulteriore testimonianza di come avessimo tutti i numeri per passare il girone con un turno d'anticipo; e invece siamo stati l'unica delle grandi a uscire. A significare che ti devi qualificare se ti chiami Juventus, altro che lamentarti per fango e sfortuna.