La coppa maledetta

Un'eliminazione che non mi ha colto di sorpresa, affatto. Me l'aspettavo. Sarà perché da qualche anno ho deciso di prenderla con filosofia. Quando su twitter leggo di gente che alle 10 del mattino è già in crisi d'ansia per la partita di Coppa e provo a spiegare loro che questo trofeo a me non mi fotte più, stentano a credermi. Provo a raccontare il perché, e il perché sono giornate come questo 11/12/13, che passerà alla storia come la festa nazionale dell'antijuventino.

La neve di Instanbul sarà ricordata come la pioggia di Perugia. Fuori dalla coppa per mano di Mancini, Felipe Melo e Sneijder, due ex prescritti e un ex mai rimpianto. C'è tutto, non manca niente. Così come c'è tutto in tre delle sei partite che hanno sancito la nostra eliminazione: quella di Copenhagen e le due coi turchi. Quei 270 minuti sono un aggiornatissimo bignami di quello che storicamente è il rapporto tra la Juventus e questa coppa. Ci sono i nostri errori sotto porta, gli approcci sbagliati, i goal regalati, le faticose rimonte vanificate da un goal da principianti preso da palla al centro. E poi c'è l'imponderabile, la partita lunga due giorni, la nevicata imprevista, il tiro che passa in mezzo alle gambe e rimbalza su una zolla che invece che deviarne la traiettoria chissà dove lo indirizza proprio in quell'angolino lì. C'è la legge di Murphy: se una cosa può andare bene oppure male, alla Juventus in Coppa dei Campioni andrà male.

Ma sarebbe riduttivo dire che è solo la sfiga a contraddistinguere il rapporto impossibile con questa meretrice dalle grandi orecchie. C'è qualcosa che va oltre, che qualcuno chiama mentalità ma forse è... boh? Alchimia? Non lo so. Sta di fatto che noi e la Champions non ci prendiamo e chissà se mai ci prenderemo. C'è che la Juve ha da sempre, tranne rarissime eccezioni, due facce: quella di campionato, sicura, determinata, senza paure, e quella di coppa, balbettante, timorosa, zoppicante. Oggi è così, con una Juve che obiettivamente non è all'altezza delle big europee. Ma lo è stato anche quando si trattava della grande Juve del Trap o di quella di Lippi che sembrava aver svoltato in termini di mentalità ma ha mantenuto i piedi ben piantati nella tradizione delle finali stregate. Un'idiosincrasia si è estrinsecata sotto forma di finali perse o qualificazioni buttate scioccamente oppure, come quest'anno, con prestazioni capovolte rispetto al campionato e uscite da un girone che poteva essere ampiamente alla portata. C'è stata la serata di Pacione, quella dell'infortunio di Bettega, la semifinale con l'Arsenal, la Coppa delle Fiere persa senza mai perdere. Poi c'è Atene, c'è la tragedia dell'Heysel, le due finali lippiane perse da strafavoriti (entrambe con grosse sviste arbitrali a sfavore), i Calypso Boys che ribaltano lo 0-2, ci sono la squalifica di Nedved e i rigori di Manchester.

Ci sono sì episodi estemporanei come il goal di Emerson su papera di Wiese ma che poi paghi inesorabilmente il turno dopo, così come le qualificazioni fortunose grazie al Rosenborg o al Bilbao di turno sono rimaste solo effimere soddisfazioni. Non esiste la coppa vinta di culo, con una serie di episodi favorevoli quasi da vergognarsi. Non c'è un Manchester 99 o un Chelsea 2012. Persino quando questa coppa dannata la vinci, finalmente, senza tragedie di contorno, ti tocca tirare quattro rigori perfetti perché in 120 minuti non sei riuscito a portarla a casa nonostante tu abbia preso l'Ajax letteralmente a pallonate. Insomma, non è il caso di farla troppo lunga: se da qualche anno le partite di Coppa non mi procurano più alcuna farfalla nello stomaco, nessuna ansia nel pre e nel durante, è perché ho talmente metabolizzato anni e anni di delusioni che ho fatto gli anticorpi e ho vinto così la mia sfida personale con questa portaombrelli infame. Non mi fotte più, ne ho passate troppe e non mi aspetto più nulla che delusioni. Sarà per questo che sapevo già come sarebbe finita, e lo sapevo dal momento in cui ho visto il primo fiocco di neve cadere sul prato di Istanbul. Secondo qualcuno mi tiro la sfiga (visione vagamente medievale del tifo, ma che vogliamo farci?) e invece è semplicemente esperienza: riconosco l'aria di inculata (passatemi il francesismo) come un cane da tartufi, e martedì sera quell'aria emanava l'olezzo tipico delle peggiori serate di Coppa in bianco e nero. Ma sono anche intimamente convinto che come me queste sensazioni le percepiscano in tanti, anche se probabilmente cercano solo di negarlo a loro stessi, anche se sanno benissimo che il destino non può che essere quello.

Che fare ora? Beh, ora c'è l'Europa League. Leggo che alcuni continuano a vederla come una scocciatura lungo la strada dello scudetto e la considerano alla stregua della Coppa Italia. Sperano di uscire subito o comunque di schierare solo le riserve per non sprecare ulteriori energie. Trovo questo modo di ragionare, che ha affossato negli ultimi anni il ranking del calcio italiano, molto provinciale e alla lunga deleterio. L'Europa League non sarà più la Coppa Uefa di un tempo ma rimane comunque un trofeo europeo importante, che dà diritto a giocare un'ulteriore finale a fine agosto. Penso che alzare al cielo una coppa europea, anche se non è la più prestigiosa, sia sempre un fatto mai banale. Mi sembra che i tifosi del Chelsea abbiano goduto non poco l'anno scorso, e a ragione. Molti di noi sono diventati dei tifosi-ragionieri e snobbano questa competizione solo perché non porta nelle casse i soldi della sorella più importante. Eppure è pur sempre un posto un più nel palmarés, e questa è la cosa che dovrebbe interessare di più a un tifoso.

Spero che la Juventus affronti seriamente questa competizione, schierando la formazione migliore e chiedendo contemporaneamente di posticipare sempre al lunedì (dovrebbe essere un diritto), per avere gli stessi giorni di riposo che si hanno giocando in Champions al mercoledì. Le possibilità di vincerla ci sono e sono certamente superiori a quelle che avevamo di vincere la Champions, a patto che la si prenda col piglio giusto. E lo penso non perché la finale si disputerà allo Juventus Stadium: ok, quello sarebbe un di più e non nego che abbia un certo fascino. Ma la cosa più importante è che vincere è sempre bello, e soprattutto vincere aiuta a vincere. E non è scritto da nessuna parte che una Europa League affrontata seriamente debba andare a discapito del cammino in campionato. Inutile prenderci in giro: in un periodo nel quale il calcio italiano è molto sceso di livello, alzare un trofeo che nessuna squadra italiana conquista dal 1999 non dovrebbe essere una cosa da schifare. Iniziare a costruire una mentalità europea vincente può passare anche da qui.