Luoghi comuni

Ho visto Roma-Fiorentina all'ora di pranzo. Da gobbo preferivo uno degli altri due risultati possibili ma va bene lo stesso, in fondo i punti che pensavo potessero perdere oggi li hanno lasciati per strada nelle partite precedenti. Discreta partita, la Roma è una buona squadra e la Fiorentina è quella roba lì che ti chiedi sempre quanto dura la rincorsa e quando si decideranno a saltare in alto, una buona volta. Da buon frequentatore del web a fine partita ho sbirciato un po' su twitter e credevo mi prendessero in giro. L'opinione diffusa era che sia stata una gran bella partita, secondo qualche apprezzato volto televisivo addirittura la più bella della stagione. Cosa cosa?
Per carità, non è stata una brutta partita, ma insomma... non proprio da scomodare qualche paragone con quella dell'anno scorso, quello sì un 4-2 assai divertente. Poi ho fatto mente locale e ho iniziato a vederci un po' più chiaro. Il luogo comune italico ha stabilito da tempo che ci sono tre squadre che, per definizione, giocano bene a calcio: la Fiorentina, la Roma e il Napoli, più o meno nell'ordine. Lo so, brutti gobbacci, quello che state pensando. No, levatevelo dalla testa: quell'altra lì è solo grinta, corsa e benevolenza arbitrale. Fatevene una ragione, già vincete sempre e vorreste pure pretendere di giocare, da due anni e mezzo, il calcio più bello d'Italia? Giocavano quindi le due che fanno più brillare gli occhi dei presunti intenditori, vuoi perché ci credono davvero, vuoi perché se ne vogliono autoconvincere, vuoi perché l'hanno fatto credere loro. Non avessi per un attimo rimosso questo luogo comune, avrei accolto i vari tweet che scorrevano sulla mia timeline senza quell'espressione da mucca che vede passare il treno.

L'altro aspetto della partita che ha catturato la mia attenzione è stata la grossa differenza di tensione agonistica tra le due squadre. La Roma era cattiva e aggressiva su ogni pallone, la Fiorentina spesso molle e svagata. Il giocatore simbolo dei viola è quel Borja Valero, che sembra giocare con lo specchietto impalmato nella mano sinistra e quell'atteggiamento di chi già ti ha fatto vedere che sa stoppare il pallone con entrambi i piedi e fattelo bastare. La Fiorentina la vedo giocare spesso: per 36 partite all'anno è quella standard con la margherita tra i denti, una squadra un po' hippie che tanto si piace e vuole piacere, decisamente ricambiata da chi ha avuto la sfacciataggine di affibbiarle l'appellativo di Barcellona italiano (non ridete, gobbacci). Poi ci sono quelle due partite, inutile vi dica quali, dove viene caricata a molla un mese prima dal suo ambiente e si trasforma: tra i denti via la margherita e al suo posto il coltellaccio, e quella gente la fai contenta così. Lo ammettono anche senza problemi, il loro primo cittadino una volta disse candidamente che, se vivere tutto l'anno per quelle due partite vuol dire essere provinciali, a loro va bene così. E chi siamo noi per impedirglielo?

Tutto ciò mi ha ricordato un altro luogo comune, quello secondo cui vincere lo scudetto alla Juve è molto più semplice che vincerlo altrove, e allora magari qualcuno si inventa pure che uno scudetto vinto di là ne vale dieci vinti a Torino. Ora, per carità, io ammetto che vincere con una società seria, in un ambiente che non cerca facili alibi e dove la sconfitta viene vista come il demonio sia più semplice che farlo dove se pareggi con l'ultima in classifica è colpa del Palazzo, del vento del nord, della Fiat e via delirando. Epperò quante altre fiorentine ci sono da sempre sulla strada della Juventus e quante su quella delle altre squadre? Come ricorda sempre Conte, quasi tutte le squadre giocano contro la Juve la partita della vita.
Mentre altrove c'è al massimo il derby e una o due altre sfide molto sentite dalla tifoseria, la partita contro la Juve rappresenta per tante squadre e per le rispettive città l'occasione di uscire dall'anonimato e lasciare un segno positivo anche sulle stagioni peggiori.Non solo le rivali nobili storiche come le due milanesi, quindi: in giro per l'Italia non c'è tifoseria che nel corso degli anni non abbia individuato un pretesto per inventarsi una rivalità, più spesso un odio, più o meno fittizi (perché unilaterali) ma che trasferiscono sulla loro squadra, caricando le due partite stagionali contro la Signora di un'attesa e un pathos degni di una finale di Champions League. L'elenco è lungo: dal Napoli alla già citata Fiorentina, alla Roma, fino a piccole realtà dove l'odio antijuventino è incredibilmente radicato, come il Parma, il Bologna, il Genoa, il Cagliari, il Verona, il Catania, ovviamente il Torino. E quando non c'è una rivalità costruita ad arte, c'è comunque il blasone della squadra più titolata d'Italia che porta l'avversario a triplicare le forze per fare quella bella figura che lo proietterebbe agli onori delle cronache per una settimana, coccolato dalle benevolenze della metà antijuventina dello Stivale.
Mentre quindi le altre grandi che periodicamente contendono lo scudetto alla Juventus incontrano sul loro cammino, tolte le poche rivalità storiche, avversari che si giocano la partita normalmente senza particolari accanimenti agonistici indotti, la Juve trova quasi ogni domenica l'avversario che, per un motivo o per un altro, mette sul campo motivazioni e furia agonistica superiori alla media. Tutto ciò rende le nostre vittorie tutt'altro che semplici e per questo ancora più belle e, di fronte al luogo comune che a Torino vincere sia "facile", la cosa migliore è quella di continuare a farglielo credere. Da sempre alibi e vittimismi altrui sono la migliore polizza sulle nostre vittorie future.
Twitter: @EpyAle