I precedenti col Real Madrid

Giocare contro il Real Madrid Club de Fùtbol non è mai banale, figuriamoci per chi ne ha incrociato il destino così spesso come è capitato alla Juventus. Il Real Madrid è l'avversario più affrontato dalla Juve nella lunga storia europea del club bianconero: più del Manchester United e dell'Ajax (12 confronti) e dei greci del Panathinaikos (10).

Fra bianconeri e merengues i precedenti sono 14, e se il palmarès europeo pende decisamente dalla parte "merengue", in questa lunga storia di confronti - esclusivamente legati alla Coppa dei Campioni - l'equilibrio regna sovrano: 7 vittorie a testa, e, particolare curioso, nessun pareggio. Per due volte la qualificazione ha sorriso ai "blancos", ma il ricordo più dolce resta la finale di Amsterdam, quella che per i fans madridisti è sinonimo di "Septima". La Juventus ha prevalso in tre occasioni ad eliminazione diretta e nella doppia sfida andata in scena nel girone del 2008/09, quella segnata dal tributo del "Bernabeu" a Del Piero, il top scorer all-time della sfida con 5 gol davanti a Trezeguet (3) e Di Stefano (2).

La storia fra Juve e Madrid iniziò nel 1961/62, quando le due squadre violarono reciprocamente gli impianti della concorrenza con un duplice 0-1 firmato Di Stefano/Sivori.
Tanto per gradire le "prime firme" dei due clubs, ma allora non esistevano supplementari, e fu così che per decidere la futura semifinalista si dovette ricorrere alla "bella" in campo neutro: a Parigi il Madrid prevalse per 3-1 (ancora Sivori per la Juve, e per le merengues marcò anche Del Sol, uno dei "magnifici 50" bianconeri "stellati") dopo novanta minuti di battaglia al limite - e oltre - del consentito dal regolamento. Più che le comunque straordinarie qualità tecniche quel Madrid aveva nella cattiveria la sua dote peculiare: se il talento della "Saeta Rubia" Di Stefano, del Colonnello Puskas e dell'ala Gento era indiscutibile, altrettanto indubbia era la grinta del fuoriclasse argentino, del già citato Luis Del Sol e di un tipaccio come Pachin, per citarne uno non a caso.

Juventus contro Real Madrid non è mai uno scontro banale, e lo si evince leggendo i tabellini delle sfide, sempre in bilico e mai decise da giocatori banali. Come nel 1986/87, quando l'equilibrio si ruppe ai rigori, dopo un altro doppio 1-0, stavolta rispettando il fattore campo: l'avvoltoio (El Buitre") Butragueño a Madrid, il "Bell'Antonio" Cabrini al vecchio Comunale. Quell'eliminatoria fu decisa anche dall'annullamento di un gol (validissimo) a Lionello Manfredonia durante la gara d'andata al Bernabeu: il signor Valentine prese la decisione di fischiare quello che oggi si potrebbe definire "fallo di confusione"; peccato che rivedere le immagini all'infinito non aiuti minimamente a rilevare il minimo contatto. A distanza di 27 anni quello viene ricordato come uno dei tanti episodi che hanno "accompagnato" il cammino del potente Real Madrid in Europa, soprattutto nel proprio stadio, dove il cosiddetto "miedo escenico" (definizione coniata da Jorge Valdano, ex giocatore, allenatore e dirigente madridista) suggestionava avversari e - perché no? - arbitri.

In quel periodo a Madrid poteva capitare che portieri esperti e coraggiosi si rifiutassero di restare a difesa della propria porta perché terrorizzati dalla pioggia di oggetti provenienti dagli spalti (Jean Marie Pfaff, istrionico belga del Bayern Monaco, sfiorato nientemeno che da un'ascia...), e di quegli anni è la promessa/minaccia del povero Juanito (altro "cattivo", icona merengue) che, al termine di una andata di semifinale UEFA persa dal Real Madrid (poi vincitore della Coppa) contro l'Inter a San Siro, si rivolse ai festanti giocatori nerazzurri: "Amigos, noventa minutos en el Bernabeu son muy largos..." Ritornando in tema, diciamo che le prime due eliminatorie regalarono qualificazioni al club merengue, in entrambe le situazioni con giustificato e legittimo rammarico per la società torinese.

Nel 1995/96 le cose cambiarono: la Coppa dei Campioni aveva già abbandonato il vecchio nome per il nuovo (Champions League) e con esso anche il format era stato modificato. Real Madrid e Juve tornarono ad affrontarsi all'altezza dei quarti di finale, prima fase ad eliminazione diretta: all'andata, a Madrid, una serie di prodezze di Peruzzi salvarono la Juve da una severa lezione e l'1-0 finale fu ispirato dalla sapiente regia dell'ex Laudrup e determinato da un "canterano" diciottenne imposto in prima squadra da Valdano solo un anno prima. Il suo nome era Raùl Gonzàlez Blanco, l'uomo che avrebbe infranto i più prestigiosi primati individuali madridisti, numeri cui il grande Di Stefano teneva più dei tanti trofei vinti.

Il ritorno fu deciso da Del Piero, di fatto il Raùl della Juve, e da Michele Padovano, apparentemente un intruso nella nobiltà che questa sfida trasuda. Ma se il parametro utilizzato per definire questa partita è l'assoluta mancanza di banalità, come può essere banale un personaggio come Padovano?
Tralasciando le vicende private che descrivono Michele come un personaggio "maledetto", stiamo parlando di uno che, calcisticamente parlando, passò in pochi mesi dalla Reggiana alla Champions League, segnando al Westfalenstadion, al Real Madrid e, per chiudere in bellezza, calciò alla perfezione il terzo rigore nella vittoriosa finale di Roma. Voi lo definireste banale?

E come poteva essere banale la rivincita madridista, che si concretizzò nella serata di Amsterdam, quella del gol di Mijatovic, il serbo entrato nella storia per aver portato a Madrid la "Septima" con un gol in fuorigioco chilometrico? Un gol che interruppe il digiuno merengue (32 anni) da Coppa dei Campioni/Champions League e l'inizio di una nuova età dell'oro per il club madrileno, in quegli anni proclamato dalla FIFA "miglior club del secolo" e destinato a ripetere il successo del '98 nel 2000 e nel 2002. I successi recenti colmarono la lacuna nella sterminata bacheca merengue, aggiungendo tre esemplari della versione moderna della Coppa dei Campioni, la cosiddetta "Coppa dalle grandi orecchie". L'ultimo successo, targato Zidane, appena strappato a suon di milioni proprio alla Juventus, è l'unico legato alla gestione di Florentino Perez, l'uomo che ha creato la filosofia moderna del Real Madrid. L'era dei Galacticos.

La sintesi di quello che il calcio sarebbe se ci si limitasse a giocare con le figurine. Florentino fece razzìa di tutti i migliori giocatori del Pianeta: peccato che ne comprasse due per ruolo, ma solo nei ruoli offensivi. La squadra era talmente sbilanciata che i due difensori laterali si chiamavano Salgado e Roberto Carlos: in pratica due ali. Dietro, il Real Madrid "galattico" si rivolgeva a capitan Hierro e a giovani di belle speranze, meglio se provenienti dalla "cantera". Nacque il motto "Zidanes y Pavones", per semplificare: fenomeni veri davanti, fenomeni da circo dietro. E' con questo spirito che nella primavera del 2003 il Real Madrid campione d'Europa e del Mondo in carica, lanciato verso la vittoria nella Liga e con un Ronaldo in più in attacco (il "Ronaldo vero", come direbbe Mourinho), affrontò la Juventus di Lippi.

L'andata in terra spagnola vide prevalere i padroni di casa, gol decisivo di Roberto Carlos dopo il botta e risposta fra Ronaldo e Trezeguet, col brasiliano finalmente in grado di consumare la sua "vendetta" nei confronti di Iuliano e della Juve: resterà il primo e unico gol nella carriera del Fenomeno contro i bianconeri.
Il ritorno è un ricordo agrodolce per chiunque tifi Juve: la partita (quasi) perfetta, galattici annichiliti sotto 3 gol (di Del Piero, Trezeguet e del miglior giocatore europeo della stagione: Pavel Nedved), Buffon che parò un rigore a Figo ma nulla potè contro il diagonale di Zidane allo scadere. E Raùl, al minuto novantatré rischiò di fare il colpaccio...
Nella notte torinese la gioia venne però offuscata dal cartellino giallo che costrinse l'uomo che più di tutti aveva portato la Juve fino a quel punto, il già citato Nedved, a guardare la finale di Manchester da spettatore, con le conseguenze che tutti ricordiamo. Nel febbraio del 2005 le strade delle due rivali tornarono ad incrociarsi, e sulla panchina della Juve sedeva Fabio Capello, passato e futuro allenatore del Real Madrid. Un tecnico, il bisiaco, mai amato dalle parti del Bernabeu per il suo stile di gioco utilitaristico ma capace di vincere la Liga in entrambe le occasioni contro un avversario (il Barcellona di Ronaldo prima e di Messi e Ronaldinho poi) indubbiamente superiore. Il caso vuole che il Real Madrid di quel periodo vivesse una fase di confusione, con tre allenatori avvicendati in mezza stagione e soprattutto con l'assunzione di un nuovo direttore tecnico, voluto - anzi, preteso - personalmente dal presidentissimo Perez: Arrigo Sacchi.

L'andata, ancora a Madrid, venne vinta dai padroni di casa grazie ad un gol di testa/schiena di Ivàn Helguera, altro personaggio poco banale che, impiegato come mediano - e prontamente emarginato dal Maestro Zeman ai tempi della Roma - seppe riciclarsi difensore centrale con una lunga e gloriosa militanza madridista. Quando si dice capire di calcio. Al ritorno, la partita sembrò bloccata, la Juve di Capello non si scopriva temendo il micidiale contropiede avversario, finché Trezeguet sbucò dalla panchina e ad un quarto d'ora dalla fine sfruttò un assist di Ibrahimovic concludendo con una mezza rovesciata letale per Casillas. Supplementari, decisi da un altro profilo minore ma anche lui tutto fuorché banale: Marcelo Zalayeta, in partenza la quinta punta di tutte le Juve nelle quali ha giocato, in pratica un uomo preziosissimo che in tante occasioni ha risolto situazioni complicate.

E siamo finalmente arrivati al dopo-Tsunami calcistico del 2006, precisamente alla stagione 2008/09, fase a gironi.
La Juventus meno Juventus della storia ritrovò il palcoscenico della Champions League e il sorteggio le riservò un girone contro Bate Borisov, Zenit San Pietroburgo (fresco campione di Coppa UEFA e giustiziere del Manchester United in Supercoppa Europea) e, appunto, Real Madrid. Real Madrid passato nella fase dell'interregno presidenziale di Calderòn e guidato da Bernd Schuster, capitanato da quel Raùl che quindici anni prima aveva ferito ma non ucciso la Juve in quell'edizione della Champions League finita felicemente per i colori bianconeri. E fu proprio l'alter ego di Raùl a decidere il doppio confronto, che si disputò alla terza e alla quarta partita del girone (come nel caso dei prossimi scontri): Alessandro Del Piero aprì le marcature a Torino e raccolse gli applausi dell'intero Bernabeu due settimane dopo, quando con una doppietta lasciò il gigante madridista a zero punti in due partite relegando l'ex Cannavaro e compagni al secondo posto nel raggruppamento.

E oggi si ricomincia: gli attori si chiameranno Ronaldo (il più pagato al mondo) e Tevez, Bale (il cartellino più costoso al mondo) e Vidal, Buffon e Casillas, Pogba e Di Maria. Registi: Carlo Ancelotti e Antonio Conte.

Speriamo sia un film a lieto fine.