Quando un goal alla Del Piero stese il Verona in rimonta

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La Juventus 1996-97, per larghi tratti della stagione, dava l’impressione di essere una squadra davvero incredibile, con quel gioco tanto bello, arioso  quanto concreto ed efficace, capace di sconfiggere e qualche volte persino di stordire qualsiasi avversario in Italia e in Europa. Riprova ne è sicuramente la fase della stagione a cavallo tra la Coppa Intercontinentale e la pausa natalizia: dopo aver conquistato il titolo di Campioni del Mondo a Tokyo, gli uomini di Lippi furono capaci di rituffarsi immediatamente nella realtà della Serie A infilando un filotto di vittorie tale da portarli in testa alla classifica con 5 punti di vantaggio sulle dirette inseguitrici Vicenza e Inter: 1-0 in casa col Bologna, 1-0 nella Marassi blucerchiata e poker al Friuli nel recupero infrasettimanale, prima della vittoria per 3-2 in rimonta in casa col Verona, un pugno allo stomaco così duro da mandare K.O. gli avversari già in pieno clima di feste natalizie. Difficile per loro capire quale fosse il segreto di una ricetta così vincente: scontato, e  forse quasi banale, pensare immediatamente alla grande organizzazione societaria, alla grande impostazione tattica impartita da mister Lippi e alla presenza di campioni di grande classe in rosa.
 
Ci pensò Boksic, proprio nella settimana che precedeva il match contro i gialloblu valevole per la tredicesima giornata di quel campionato a spiegare quale fosse, probabilmente, quell’ingrediente fondamentale: “A chi mi chiede perché sono così sicuro che vinceremo lo scudetto rispondo che a questi livelli, nel calcio Si era messitaliano, i valori si equivalgono. E come ci insegna Lippi, tutto dipende dalla testa. Vince chi sa trovare le motivazioni, chi sa rimettersi subito in discussione, chi non molla mai. Non guardiamo mai al valore dell' avversario. Trattiamo tutti pensando solo di strappare i tre punti, mi spiace per il Verona ma non avverto rilassatezza fra di noi". A posteriori le parole dell’attaccante croato andrebbero forse interpretate in un’altra maniera: anche in caso di rilassatezza, per quel gruppo, poteva bastare anche un semplice confronto faccia a faccia negli spogliatoi per  poi scendere in campo con la cattiveria agonistica tanto a cuore a quella Juve lippiana e quella dei giorni nostri di Antonio Conte.
 
In quel 15 dicembre del 1996, infatti, i bianconeri scesero in campo molto svagati, come forse mai fino a quel momento in stagione, tanto che la miglior difesa del campionato, con solo otto gol subiti, incassò in 43 minuti due gol da un Verona ancorato al penultimo posto in classifica, con sette punti in dodici giornate: al 25’ Zanini fu abile a sfruttare un errore in disimpegno di Porrini e a involarsi in area dove servì Maniero per il gol dell’1-0. Ancora Maniero al 43’ anticipò di testa  Ferrara e Tacchinardi sugli sviluppi di una punizione battuta da Ametrano. Ci pensò poi Porrini in pieno recupero ad accorciare le distanze sfruttando appieno una palla vagante in area dopo un tentativo di testa di Padovano. Era necessario a quel punto per Lippi riorganizzare le idee e, se possibile, strigliare  i suoi, visto che già al 36’ aveva provato con la tattica senza però ottenere grandi miglioramenti  (incassando anzi il raddoppio dei veneti): Lombardo aveva infatti lasciato il posto a Vieri, col risultato di abbandonare il 4-4-2 con Lombardo e Di Livio sulle fasce e ridisegnare la squadra con il 4-3-3 con lo stesso Vieri, Padovano e Del Piero supportati  a centrocampo da un uomo di fantasia come Zidane. Non importava che in quel momento la difesa ballasse più del dovuto vista l’assenza di Montero, l’importante era rimontare lo svantaggio.
 
Anche l’Avvocato Agnelli scese negli spogliatoi per ascoltare cosa Lippi avesse da dire alla squadra tanto che, nel risalire in tribuna, dichiarò: “Ho ascoltato Lippi che li faceva stare zitti, ora vedremo che uomini sono”. Pronti via, la Juventus si buttò subito in avanti alla ricerca del pareggio, lasciando però varchi invitanti per la squadra allora allenata da Luigi Cagni, tanto che al 53’ Maniero, messo ancora una volta da Zanini solo davanti a Peruzzi, sparò altissimo. Fu l’ultima occasione per un Verona che sin lì aveva retto molto bene il confronto grazia anche al suo 5-3-2 tutto difesa e contropiede. Al 64’ Vieri, quasi sulla linea di fondo, venne affrontato  e atterrato da Ametrano e Baroni, ottenendo così un rigore trasformato poi da Del Piero. Fu ancora Pinturicchio al 33’  a completare la rimonta con il classico del suo repertorio: il “gol alla Del Piero”, un tiro a rientrare (a parabola) dal vertice sinistro dell'area di rigore verso l'incrocio dei pali più lontano, passato ormai alla storia grazie a quelle tre reti consecutive nelle prime tre partite (contro Borussia Dortmund, Steaua Bucarest e Rangers di Glasgow)della Champions League dell’anno precedente, conclusasi poi nel trionfo dell’Olimpico di Roma.
 
La vittoria (qui gli highlights della partita) venne vissuta in maniera un po’ diversa dai due fratelli Agnelli, come in fondo diversi negli anni furono i modi di esprimere il loro amore verso la Vecchia Signora; più concreto e conciso il Dottore Umberto: “Non è stata una grande vittoria, ma una vittoria importante sicuramente sì”.  Più sorridente l’Avvocato che invece affermava: “Adesso posso anche andare via, credo di aver visto abbastanza, il gol di Del Piero è stato un gioiello, da Pallone d’oro". Pallone d’Oro cui Del Piero non nascondeva certo di ambire: ”E’ un traguardo di prestigio, che non mi assilla, ma sarebbe il colmo se proprio quest’anno premiassero un difensore (lo vinse in effetti il tedesco Sammer), dopo aver snobbato Baresi e Maldini. Vivo con tranquillità questo momento, in cima ai miei pensieri c’è sempre la Juve”.  E ci sarebbe stata per altri 16 anni, senza Pallone d’oro, ma con una vagonata di trofei in più.