Al modulo l’ardua sentenza

ConteChe cosa vi devo dire, a me Conte pare sia diventato un difensivista. Strana mutazione: dal famelico Jekyll tre-quattropuntista al sospettoso Hyde dal broncio e dal ricciolo quasi capelliano. Alt! Fermi! Lo so che al veterojuventino che c’è in voi già pulsa la vena sulla tempia. La sento, quella vocina nella testa che già vi sta snocciolando tutti i refrain tipici dell’altezzosità gobba: “abbiamo vinto fino all’anno scorso, di cosa vi lamentate?”, “ma roba da matti!”, “non siete mai contenti”, “fino a prova contraria abbiamo avuto il miglior attacco”, ecc…
Vi chiedo di pazientare e di arrivare fino alla fine prima di darmi dell’interista agostano, anche se – vi avviso – proprio perché siamo ad agosto, mi lascerò un po’ andare alle chiacchiere tipiche del periodo.
Procediamo. In primis, le idee che sto per esporvi nascono da un prurito quasi esclusivamente estetico, al quale solo in tempi recenti si sono aggiunte preoccupazioni decisamente più speculative. In secundis, la valutazione non si basa solo sulle recenti  e infelici uscite amichevoli ma, anche e soprattutto, sul gioco visto in tutto il campionato scorso.
Va bene, lo dico subito: sono stato un amante del 4-3-3. Con quel modulo, due anni fa, Conte era riuscito a sfornare una delle Juventus più artistiche di sempre. Campo dominato, possesso palla costantemente sopra il 60%, avversari costretti all’indietro, palle gol a raffica. Poi il mistero della svolta, del quale già parlammo a suo tempo: una Juve pronta a laurearsi al Dams, che si trasformava in un accolita di agronomi fuoricorso, di ragionieri imperfetti, ossessionati dai corrispettivi e dalle partite doppie. Forse preoccupato da qualche gol preso di troppo, forse intimorito dal poter perdere uno scudetto che all’epoca si prefigurava come un mezzo miracolo, Conte scelse il pragmatismo e la speculazione sacrificando la sfrontatezza e le velleità di un calcio moderno che cominciava a trasudare ambizioni europee.
Si era ammalato di juventinite.
Pausa. Fate un bel respiro e trattenetevi, che ve ne dico un’altra: a parte certi periodi lippiani, la Juve che ho potuto vedere è sempre stata un inno al conservatorismo, ha sempre preferito fare scorte per l’inverno, piuttosto che saccheggiare la dispensa. Ogni volta che c’è stata la possibilità di preparare crociate, di assoggettare territori inesplorati, si è scelto (o ci è capitato) di tornare indietro a difendere il fortino. Sembra strano, ma anche per questo ci odiano. Abbiamo colonizzato il nostro paese, ci siamo messi comodi lasciando poco spazio ad altri. E molte, troppe volte, pur di non mettere il naso fuori al freddo, siamo rimasti al caldo, davanti al camino con lo stemma di famiglia. Una sicurezza.
Tornando a Conte, intendiamoci, il 3-5-2 ha funzionato. Finché è durato. Ha messo al sicuro il bottino e garantito la pagnotta. Ma poi è cascato l’asino, e quando si è rialzato la juventinite aveva già fatto metastasi:  squadra larghissima e lunghissima, molto pragmatica, arroccata dietro, stitica davanti. Centrocampo in affanno, punte a ricevere perennemente spalle alla porta e, alla lunga, impostazione prevedibile e lavorio fisico sfiancante. Una squadra che, una volta varcata la soglia di casa (gara col Chelsea a parte) è sembrata la replica di alcune uscite extraconfine della Juventus del mascellone friulano.
L’impressione è che Conte preferisca garantirsi maggior copertura (dopo il trofeo Tim col Sassuolo: “l’importante è non avere preso gol”) e, ve lo dico consapevole del pericolo della taglia che potrebbe essere messa sulla mia testa, ogni tanto mi dà l’impressione di avere paura, come se il risultato di una partita o di una competizione mettesse a repentaglio in modo irreparabile la sua reputazione. Vedo in lui una rabbia compressa, un’ansia nervosetta, il timore di ritrovarsi un giorno a fallire un appuntamento con lo spettro terrificante di doversi assumere tutte le colpe.
Conte, invece di rischiare l’arrembaggio e liberare la fantasia, ha scelto così di stare coperto, di garantirsi sostanza e buon senso, sperando che tutto vada bene. Se invece va male… vabbè, veni(v)amo da due settimi posti, bisogna avere più fame, adesso li sistemo io, gli altri hanno soldi da spendere, e così via. In soldoni: qualcuno ha sbagliato, è mancata la brillantezza, gli altri son più forti, Giano Bifronte ha mostrato la faccia sghemba, ma non è mai colpa mia.
Forte, eh? Ok, datemi del matto, dell’irriconoscente, del granata mancato. Ma prima concedetemi le attenuanti: sono impressioni d’agosto, manco di settembre e, soprattutto, non si tratta di una critica distruttiva verso la squadra e il suo allenatore (massima riconoscenza), ma del prurito intimo di un tifoso che vorrebbe chiudere la cena col dessert al cucchiaio dopo aver fatto incetta di antipasti e ottime pietanze.
Concedetemi questo lamento e, se potete, a questo trovatemi una spiegazione: il mister ripete spesso che non può fare il 4-3-3 per mancanza dell’esterno adeguato, ma poi insiste nello schierare un 3-5-2 che di “esterni adeguati” non ne ha manco uno: due terzinacci sguaiati, due adattati al ruolo. E’ logico? O forse è quel timore di cui parlavo sopra?
E allora mi chiedo se è poi così eretico sognare un ritorno alle origini, magari con un Nani in più (non ci vado pazzo, ma perché no),  un Ljajic (vederlo al Milan per 8-10 milioni mi farebbe prudere i gomiti, e non poco), un Berardi (da prendere subito e da lanciare subito) o un (fate voi il nome).
E’ irriverente, in tempi di crisi, vagheggiare di una Juve opulenta, abbondante  e menefreghista il giusto? Io, di più, nin zo. Al modulo l’ardua sentenza.