Un ricordo fine a se stesso

HeyselChe dire?
Un ricordo sconvolgente.
Un abbraccio va a tutte le famiglie delle vittime dell'Heysel, ma lasciatemi spendere una parola in più per Andrea Casùla.
Non si può morire in uno stadio,
non si può morire schiacciati da tanta violenza,
non si può morire per la negligenza di un Paese intero.
Ma non si può morire, per tutto questo, a 11 anni.
Un giorno, forse, potremo ricordare Andrea e gli altri con meno dolore, se quella lezione sarà servita a qualcosa.
Per ora, dopo "solo" 28 anni, non è così.

E non parlo esclusivamente di volgari magliette indossate e cori orrendi intonati da parte delle tifoserie avversarie. Parlo anche dei nostri tifosi che, con "una mano" tengono lo striscione "39 angeli sempre presenti", e con "l'altra" lanciano mattonelle di ceramica verso altre persone sconosciute, avversari forse, ma che potrebbero chiamarsi Rocco, Bruno, Alfòns...
Qual è la differenza tra il gemellaggio proposto ai tifosi "Reds" di Liverpool e gli "inni" alla lava purificatrice del Vesuvio, alla forza mortale dell'Arno, alla collina di Superga? Andrea Pirlo, che nella sua autobiografia ho scoperto essere uno che non le manda a dire, scrive: "Se saltelli muore Balotelli" è un coro insopportabile, che purtroppo ho sentito anche allo Juventus Stadium..." Gli insulti al giocatore del Milan non saranno razzisti, ma cosa li differenzia da quelli che deridono "il volo di Pessotto"?
La lezione dell'Heysel deve essere chiara prima di tutto a noi juventini; questo è il primo vero passo verso la civilizzazione ed umanizzazione del nostro tifo, del nostro vivere lo stadio. Se non è chiaro prima a noi, non possiamo ergerci a difensori della memoria delle 39 vittime dell'eccidio di Bruxelles.
Ventotto anni potrebbero essere passati invano anche per noi.

"...e per tutti il dolore degli altri è dolore a metà"


Twitter: @GiuSette7