Keep calm and carry on

ContePiccolo excursus stimolato dalle parole di Andrea sulla longevità del rapporto - 90 anni e non sentirli - che lega la famiglia Agnelli alla Juventus. Niente di che, intendiamoci, sono solo pensieri sparsi con la stessa dignità, forse, degli exit-poll di Tuttosport su Higuain sì, Higuain no. Ma tant'è.

De iure belli ac pacis. In merito alle basi su cui poggia la teoria di inammissibilità della lettura juventinovera, definiamola così, di Calciopoli. Autorevole e convinto sostenitore di questa teoria è fin dalla prima ora Roberto Beccantini, il quale fronteggia ogni ipotesi di avallo "torinese" del disastro del 2006 rifacendosi alla metafora del killer e del palazzo. Passeggiavamo proprio di fronte alla sede milanese de La Stampa, qualche anno fa, Beccantini, il mio guru Emilio Cambiaghi e io. Beck interruppe il passo e rivolse lo sguardo verso il palazzone dall'altra parte della strada: "Se sono proprietario del giornale e voglio liberarmi di due collaboratori scomodi, li prendo e li caccio. Mica butto giù la sede a cannonate".
Vero, com'è vero che qualsiasi lettura "conniventista" debba ragionevolmente fare i conti, oltre che con le prove, anche con una certa dose di logicità. Ma se proviamo a estendere l'orizzonte temporale del presente all'indietro fino al maggio 2012, ci ritroviamo una Juventus che, a distanza di soli sei anni dal rischio di azzeramento societario e sportivo, torna a vincere e poi subito a rivincere lo scudetto come negli anni migliori. Inoltre, sebbene in pesante ritardo di fatturato rispetto alle concorrenti europee più blasonate, la Juventus è nuovamente all'avanguardia sotto il profilo sportivo e societario. Stadio di proprietà, un marchio di assoluto appeal internazionale e la concorrenza interna incapace di concretizzare, durante il cruciale periodo di assenza dei rivali storici, vantaggi strutturali in grado di ribaltare i valori di prospettiva a medio e lungo termine.
Dinanzi a questo scenario, trovo che la teoria del killer e del palazzo tanto cara ai conniventisti come noi, oggi più di allora, non appaia poi così priva di logica. E forse quelle cannonate, pur rumorose, non colpirono il palazzo così a casaccio, ma semplicemente lo resero inabitabile per un po' senza toccare alcun muro strutturale.

Statisticamente parlando. Concordo con Andrea Agnelli sulla valenza straordinaria dello score di campionati vinti dalla Juve sotto le insegne della sua famiglia. Uno ogni tre anni. Innanzitutto quel dato terribile di novant'anni di monoproprietà per un marchio professionistico, caso unico al mondo. Terrificante per Adriano Galliani, intendo. Pare sia allo studio in via Turati uno score da contrapporre a quello torinese, tipo la più lunga permanenza di un presidente del Consiglio ai vertici di una squadra di serie A durante il periodo di maggior successo dei Red Hot Chili Peppers.
Sulle statistiche e soprattutto su Antonio Conte, al contrario, continuo a perseverare nella mia cronica avversione nei confronti della Champions League già Coppa dei Campioni.
Se è vero com'è vero che le statistiche non sono fuffa a patto di saperle interpretare, appena varcate le Alpi il livello della Juve crolla in modo drammatico da uno scudetto ogni tre anni a una Champions League ogni ventotto anni e mezzo. Le squadre più abituate a flirtare con - mi si passi l'eloquio lussurioso - quella coppa di merda, tanto per rendere l'idea, viaggiano alla media di una ogni sei anni circa (Real Madrid), una ogni otto (il Milan) e una ogni dodici anni scarsi (il Liverpool e, Borussia Dortmund permettendo a fine maggio a Wembley, il Bayern Monaco).

Senza bisogno di andare oltre, dunque, non enfatizzerei troppo il concetto di obiettivi al rialzo espresso da Antonio Conte durante il brevissimo e probabilmente mai fondato tira e molla sulla sua permanenza alla Juve. È giusto ambire al primato anche oltre confine, è doveroso anzi, ma è anche possibile che il voler assecondare Conte nella rincorsa alla chimera europea nel breve termine possa rivelarsi un vero e proprio boomerang, specie alla luce di realtà come il Bayern Monaco attuale, una spanna sopra tutti, ma anche dei soliti harem calcistici allestiti da sceicchi e oligarchi russi assortiti. Troppe scoppole, da Atene in poi, mi hanno forgiato. Metà campione di realismo e metà coniglio cacasotto, al punto di poter dire, oggi più che mai e senza alcuna vergogna, che spero possano essere il prossimo anno trentadue.
Forse, anche in questo, la penso come Andrea.