Il mio Raiola’s Project

IbraC’era una volta alla Juventus, la squadra più blasonata d’Italia, un simpatico e sornione Direttore Sportivo di nome Luciano Moggi.
Il Maradona dei Direttori, come lo chiamo, utilizzava spesso metafore oniriche per dire col sorriso quel che in cuor suo già sapeva: “ho sognato che…….” diceva sghignazzando Luciano, e noi già sapevamo il finale della storia.
Quante volte ci ha azzeccato.
Quante volte, col suo spirito toscano e con la lingua veloce e furba tipica di chi abita certe splendide colline nei dintorni del Chianti, ci ha propinato verità che parevano in un primo momento fantascienza.
Quanti bacchettoni e quanti giornalai ha fatto ricredere nella sua lunga e ammirata carriera! Le tabelle del calciomercato e i titoloni dei giornali erano zeppi di 50 diverse opzioni…..e lui, da bravo mago, se ne usciva fuori all’ultimo istante, estraendo dal cilindro il suo coniglio.
Un coniglio che nessuno aveva manco nominato.
Arte di depistare, altra cosa in cui è stato inarrivabile maestro, arte sconosciuta negli ultimi mercati Juve.
Proprio così, in un pomeriggio assolato d’agosto, era apparso ai nostri occhi l’acquisto di un lungagnone balcanico-svedese, conosciuto da tutti ma catturato solo da Moggi, a prezzo favorevole: tal Ibrahimovic.
L’avevo già ammirato in una partita di Coppa dell’Ajax a San Siro contro la PrescrInter, in cui il buon Zlatan aveva irriso per tutto il tempo un Materazzi con gli occhi iniettati di sangue.
Provava a prenderlo, a colpirlo, ma quello si ritraeva, volteggiava sul prato, quel gigante era come un novello Cassius Clay: volava come una farfalla e pungeva come un ape.
Certo, era stato più forma che sostanza, più bello che concreto, più globetrotter che killer.
Ma quel pallone che appariva e scompariva agli occhi di Matrix, con il giovane che rideva di gusto, m’aveva incantato.
Quel diamante grezzo Moggi lo regalò a Capello, che seppe affinarlo fino a trasformarlo da arzigogolo in arma letale, da sublime fiorettista in terribile terminator, capace di vincere per noi e ahimè, per altri innominabili, scudetti a ripetizione che non fossero provenienti dalla segreteria.
Chi ha avuto il piacere di leggere la sua biografia “Io Ibra..” conosce poi come in realtà si svolsero i fatti, con location improbabili come il GP di Monaco e con un “Raiola ciccione sudato” (cit. Zlatan) che correva tra i paddock, a rischio infarto.
Quell’Ibra l’ho adorato fin da subito. Le sue finte, le sue danze sul pallone, le sue sportellate robuste erano tutto quel che cercavo in un centravanti.
E il mio cuore bianconero, seppur lacerato, ha sempre continuato ad ammirarlo e ad amare il calciatore, anche da nemico della mia Juve.
In fondo, chi lo taccia di alto tradimento nella torrida estate di Calciopoli dimentica che nessuno dei samurai che rimasero (onore per sempre nei secoli dei secoli amen, sia chiaro) avevano la sua età, il suo potenziale, il suo mercato, oltre che lo spirito zigano e Raiola procuratore.
Come dargli torto….
A tutti ricordo che, comunque, in ogni squadra dove è stato, ha sempre avuto parole dolci e di ringraziamento per la società Juve, per mister Capello, per l’amico Moggi.
Ricevette parecchie critiche dagli eterni rosiconi nerazzurri, nel suo primo anno a Milano, proprio per un'intervista compiacente e qualche foto di troppo con Luciano.
Ma la vita è fatta di amori anche che vanno e magari poi ritornano.

Come con Lippi, il migliore di sempre sulla panchina della Juve, che con il suo Marcello-bis mi ha fatto godere immensamente il 5 maggio di qualche anno fa.
Eppure ci aveva abbandonato, considerando chiuso un ciclo, guarda caso proprio per l’Inter.
Dopo gli anni di Carletto Ancelotti, nessuno disse non lo voglio più. Per Lippi non successe.
Perché allora per Ibra sì? Perché questa sorta d’embargo?
Forse perché lui, al contrario di Lippi, ha saputo vincere dove pareva impossibile? E’ un torto?
Direi di no, anzi, è un grande merito.
E allora dai, facciamo i seri: meglio un figliol prodigo ma campionissimo o un Anelka, un Bendtner, un Giovinco, un Quagliarella, un Matri?
Nel dubbio, io faccio come il padre della parabola e se arriva Ibra uccido il vitello grasso e festeggio!
Ma, ricordato brevemente questo, torniamo ai giorni nostri, alla attualità, al mio sogno.
Il Raiola’s Project nasce proprio come uno di quei sogni del Direttorissimo Moggi.
Scritto di getto ripensando a trasferimenti clamorosi che il più invidiato dei procuratori sportivi, Mino Raiola, aveva portato a termine.
“Balotelli ? Nessuno se lo può permettere in Italia, farà la storia al City, lui costa quanto la Gioconda”….disse pochi giorni prima di vestirlo di rossonero.
La lampadina mi si è accesa durante una puntata di Undici, condotta da PierLuigi Pardo.
In collegamento, uno che proprio loquace non è, uno che le parole le misura e le tiene risparmiate, uno tremendamente vicino al Presidente Agnelli: Pavel Nedved, la Furia Ceca, uno dei Samurai.
Ebbene, il biondo tanto schivo a un certo punto lascia tutti di stucco: “Ibra, lo riprenderei subito. E’ uno che da solo ti fa vincere. Uno dei primi tre al mondo con Messi e CR7”.
Apriti cielo !!
In un millisecondo già vedevo Zlatan di bianconero vestito che dopo un goal a San Siro ripeteva alla curva dei prescritti sfigati lo stesso gesto fatto qualche anno fa portando su e giù la mano verso i genitali.
Ero un gobbo in una sorta di levitazione mentale pallonara, in un limbo di pace, avvolto da fumi che trasudavano vittorie, non con l’odiato stile SMILE dell’Elkann perdente, ma con il ghigno furioso di Boniperti, della Triade, di Andrea Agnelli, quello dell’animo Juventino che son certo, sotto sotto, era adorato dall’Avvocato e dal Dottore.
Una Juve con Ibra, vincente ed odiata.
Fantastico, quel che mi piace. Sai che rosicamenti a Milano ?
Mi dicevo: cavolo… se l’ha detto Nedved, non è casuale. Nedved… amico di Zlatan e di Mino il Mito.
No, non è un caso. Quello non parla a caso.
Sono pure andato a rivedere le immagini: guardateci, lo dice con il sorrisetto furbo, lui, uomo di ghiaccio.
Non era per nulla un caso.
Così, in preda a questo delirio da IBRAPOWER… ho avuto una notte piacevolmente agitata.
E in un batter d’occhio, grazie ai google-poteri, ho ricostruito il cliché di Raiola, semplice, diretto, efficace, ma anche trito e ripetuto. Avevo, a mio immodesto giudizio, trovato la chiave di lettura che ancora nessuno aveva colto. Come Champollion con la stele di Rosetta.
Era tutto lì, mi sembrava chiarissimo.
Talmente ovvio, che rimaneva solo da metter nero su bianco.
Come le lettere sparse sullo schermo di ruzzle, sono lì che ti aspettano, ma la maggior parte di noi non le coglie.
Poi, quando a fine partita le vedi scritte e trovate dall’avversario ti chiedi: ma come ho fatto a non vederle? Ecco, il Raiola’s Project è nato così.
Ho solamente colto e ordinato dei segnali evidenti di un qualcosa che stava nascendo.
Ed è stato bello vederlo (finora) realizzarsi punto per punto, con delle lievi discrasie tra accaduto e presunto.
Ricordo il giorno che l’ho lanciato su twitter a metà marzo.
Era un gioco simpatico. Il solito stile, ironico e tagliente, con un fondo di verità.
Ma stavolta, dentro di me, non lo vivevo così. Ci credevo. Ci credo.
E ho martoriato tutti i followers per settimane, fino a quando qualcun altro ha cominciato a notarlo.
Quei guru di twitter che sanno sempre tutto, quelli che non so se avete presente… ti leggono, magari ti copiano, ma non ti menzionano né retwittano, manco in punto di morte.
Quelli che di mercato sanno sempre tutto, conti in mano.
Quelli che “ma no… non ce lo possiamo permettere! “.
Quelli per cui il bicchiere è sempre tristemente mezzo vuoto.
Quelli a cui Marotta, con le dichiarazioni cupe e pragmatiche, ha tagliato le ali per volare e ora si ritrovano nella condizione di non essere più aquile che volano lassù, nel blu, tra i sogni più dolci, bensì ruspanti galline da cortile, che svolazzano nel pollaio, a un metro dal suolo, rovistando tra la terra dura alla ricerca di vermi.
Ebbene sì, a me andava di star lassù con le aquile, con i Moggi e i Raiola, dove alle volte la fantascienza diventa realtà.
E’ lassù il luogo dove il Raiola‘s Project è cresciuto, si è sviluppato, ha assunto credibilità.
Lassù, dove albergano i sogni dei tifosi, con cuore di fanciullo
Anche in rete, di fronte al Project, si sono registrate due nette e contrapposte fazioni: i lettori filo-Moggiani lo hanno accolto da subito, al contrario delle lente truppe cammellate Marottiane, dapprima irridenti, poi man mano sempre più attente a valutarne l’efficacia, mantenendo però il pregiudizio iniziale.
Ma i fatti accadevano, mi davano ragione, gli step via via si completavano, sembrava davvero che me l’avesse dettato il buon Mino.
E allora, visto che abbiamo fatto 30, facciamo 31 !!! (citazione per nulla casuale)
Voglio andare oltre al progetto, alla burletta.
Con la mente da sognatore dal cuore bianconero re-impazzito per il nasone col 47 di scarpe, voglio provare a spiegare perché ci credo. Perché è compatibile l’affare Ibra anche dal punto di vista delle motivazioni, della tattica, dell’economia di casa Juventus.
Seguitemi nella lucida follia…. vi racconto una favola, completamente inventata (forse).
Innanzitutto, per chi non se n’è accorto, Ibra non ha più 20 anni e la coppa Orecchiona, come per Nedved, non vuol arrivare. Non ha ancora molti anni davanti e da uomo che capisce di calcio vede come il progetto PSG non sia di immediata realizzazione.
Ibra ama essere il vertice, la star.
Al PSG quest’estate pare arriveranno un altro po’ di figurine, da provare ad assemblare. Non sarà più l’unico.
Ibra dopo l’esperienza di Barcellona ha capito (cito Roberto Renga) che ci sono altri giocatori vicini al suo livello. Ha visto i prodigi della squadra di Guardiola in cui il solista si esalta nello spartito, con la squadra, per l’obiettivo comune.
D’altronde, se potesse vincer da solo, la Svezia sarebbe campione del mondo, mentre la realtà la relega a comprimaria del panorama internazionale. Come singolo solo Maradona poteva e ha potuto…..
Certo, a Zlatan deve costare uno sforzo immane, visto il suo record mondiale di egocentrismo, ma è anche vero che in lui il gusto dell’assist c’è sempre stato, il movimento ad aprire le difese gli è proprio, il favorire gli spazi e gli inserimenti è il suo pezzo forte.
Ecco perché può inserirsi nello spartito di Conte, nella Juve di oggi, che ha imparato ad apprezzare affrontandola da avversario lo scorso anno, uscendone per la prima volta con le ossa rotte in una corsa a tappe.
Lo scudetto, dopo una serie senza precedenti (Ajax 2, Juve 2, Inter 3, Barça 1, Milan 1), gli è sfuggito grazie allo spartito e alla fame del nostro Mister, al momento, unico Top Bianconero.
Pure Conte conosce bene Zlatan e si vocifera che lui il suo placet l’abbia già dato da tempo.
Due leader, che si rispettano e si stimano. Due con la vittoria nel Dna e nella vita: si chiama Vittoria la figlia di Antonio, Vincent uno dei figli di Zlatan.
Un caso ?
Antonio è conscio che, per competere nell’Europa che conta, proprio come Zlatan deve cedere qualcosa al suo credo. Deve avere sì una struttura, un’organizzazione, un’orchestra, ma quest’orchestra deve annoverare dei virtuosi. La musica di Verdi suonata dalla Filarmonica di Vienna o dalla banda del paese non è la stessa cosa, proprio per niente.
Servono, eccome, i campioni veri, in Europa.
Il Bayern è una fresca ferita sotto gli occhi di tutti. Un risveglio brusco, ma forse salutare, due partite che in società hanno di fatto accelerato il progetto.
Nello scacchiere di Conte Ibra potrebbe lavorare tra le linee, dietro una punta centrale, libero di spaziare, diciamo alla Vucinic o alla Nedved vecchio stile, con un centravanti pronto e lesto come ai tempi dell’accoppiata con Trezegol.
Può di certo far anche il terminale centrale, se serve.
Non è più solo giocoliere, con gli anni è divenuto un cecchino di prim’ordine.
Certo, non può correre come Matri per 90 minuti aprendo varchi, ma se Antonio e Zlatan troveranno il giusto compromesso, lo svedesone garantirebbe la realizzazione almeno di quelle mille occasioni limpide che l’orchestra sforna a ripetizione.
Questo, per spiegare tatticamente come vedo l’IBRA atto secondo.
Unione di intenti, tra società e giocatore, un D’Artagnan tra altri moschettieri, di certo il più dotato, ma pronto ad abbracciare anche lui il motto “uno per tutti e tutti per uno”.
Sanno bene, Ibra e Conte, che caratterialmente sarà dura conciliarsi vicendevolmente.
Ma a chi solleva questa critica rispondo così: Davids, Zidane, Camoranesi, Montero non erano forse teste calde ? Non erano forse campionissimi a forte rischio caratteriale in campo e fuori ?
Quante domeniche ci hanno lasciato in 10 ?
Eppure questi giocatori hanno convissuto e vinto con allenatori come Lippi e Capello che delle mammole non hanno nulla. “Gli avversari si cagavano addosso nel tunnel” … disse un dì, con “grande eleganza”, Mauro German Camoranesi.
Ecco, voglio tornare a quei tempi.
E credo lo vogliano Agnelli, Conte, Ibra e la squadra tutta.
A volerlo poi c’è pure lo sponsor tecnico, l’opulenta Nike, che vorrebbe un giocatore simbolo e un uomo della sua scuderia a rappresentare la Juve. Marchisio, Pirlo, Vidal e Vucinic son di certo grandi giocatori, ma è inutile negare che non hanno l’appeal di Ibra, icona calcistica a livello mondiale.
Pare, si dice, che Nike sarebbe disposta a “contribuire”.
Aprendo la parentesi finanziaria, certamente oltre all’aiuto Nike Ibra dovrebbe fare un gesto di “generosità”.
Impossibile, conoscendolo, dicono i Marottiani.
Possibile, dico io, e m’immagino come: Ibra a mio avviso, vista la stazza e il ruolo, ha altri 2 massimo 3 anni da Top, poi anche lui scenderà dall’Olimpo.
Perché allora non vedere un contratto lungo con una forte spalmatura dell’ingaggio fino ad arrivare ai 7/8 milioni (sostenibili, con grande sforzo ma sostenibili) e fare in realtà un gentlemen's agreement che garantisca ad Ibra/Raiola di andarsene dopo che ne so, un paio d’anni, a costo zero, verso danarosi lidi arabi o cinesi senza portare alla naturale scadenza il contratto ?
Alla fine del gioco lui ci avrebbe perso all’inizio e guadagnato dopo, pareggiando il conto.
La Juve ne avrebbe beneficiato con un esborso ragionevole, utilizzandolo per pochi anni, risparmiando gli ultimi ingaggi.
Se in questo breve arco temporale le vittorie arriveranno, tutti ci avranno guadagnato.
Raiola 2 volte, con altri 2 trasferimenti con provvigioni che sfamerebbero un paese del terzo Mondo.
Consideriamo anche che Raiola, non un novellino, potrebbe pure forzare la mano chiedendo fin da subito un cospicuo aumento per Pogba. Potrebbe e sarebbe pure logico, conoscendolo.
Potrebbe però anche dire alla Juve: “Io non ti chiedo quell’adeguamento che saresti costretta a concedermi, tu quei soldi prendili, e mettili sul mucchietto per Zlatan. A Pogba ci penseremo poi”.
Quindi Nike, indotto commerciale, visibilità, vittorie, spalmatura e fattore Raiola.
Tutte fantasie le mie, tutte congetture, vero.
Ci fosse Moggi non avrei alcun dubbio, con Marotta che sento dentro di me come una suocera, magari sarà più ardua.
Ma sarà poi così fantascienza questa mia ricostruzione o ci sarà un fondo di verità?
Sarà solo frutto della mia fervida mente o avrò colto segnali e informazioni che altri non hanno?
Chi lo sa, vedremo.
A me per crederci basta guardare l’intervista di domenica 14 aprile di Ibra.
Alla domanda sulla Juve non riesce a trattenere il sorrisetto ampio, identico a quello di Nedved a Undici, e lui, che propriamente non è un fine oratore, alla domanda scomoda risponde come un libro stampato.
Risposta quasi british, tutto troppo liscio, troppo bello, troppo da punto 8 del Raiola’s Project con l’immancabile miele sparso copioso agli occhi del mondo Juve, per esser casuale. “Onorato, Progetto, Società modello e bla bla bla…”.
Quel sorriso non trattenuto sul volto di Ibra con gli occhi furbi che s’illuminano la dicono lunga.
Io lo guardo, e vedendolo già bianconero mi par perfino un bell’uomo !
Non è un caso tutto questo. E’ solamente, per dirla alla Bonolis, un copione già scritto.
E quel copione si chiama Raiola’s Project.
Noi aquile lo sappiamo, le galline ancora no.
Quelle schiamazzeranno a giochi fatti, salendo sul carro, o meglio sul naso, del figliol prodigo Ibrahimovic.
Accendete i motori e mettetevi le cinture, sarà un biennio vissuto pericolosamente.
Ma questa è la Juve che voglio, quella che uomini come Agnelli, Conte, Raiola e perché no il grande Moggi,se l’appello gli renderà merito, ci possono donare.
Raiola’s Project… manca solo la mitica rissa in allenamento.
E l’annuncio ufficiale.


P.S. La trasmissione da cui tutto nacque era 11.
Pavel Nedved indossava l’11.
Ibra al Milan aveva l’11.
Se contate le lettere del cognome Ibrahimovic sono 11.
Si vince e si perde… in 11.

Tutto sembra girare attorno a quel numeretto magico… numero PRIMO, numero che nella simbologia e nell’esoterismo significa, guarda caso, la potenza (IBRA), la giustizia (Post Calciopoli) e il potere acquisito per meriti e valori in senso positivo (sul campo); ed è associato a una forte intuizione e una grande apertura mentale (Raiola’s Project).