Piano con gli entusiasmi!

Agnelli e MarottaLa Juventus ha giocato, fino ad oggi, tre partite ufficiali, oltre al trofeo "Berlusconi", amichevole che di amichevole ha ben poco. Tutte vittorie e tutte nel solco tracciato l'anno scorso, con la Juve in forte possesso palla a comandare i tempi di gioco e le avversarie a tentare di trafiggerla in contropiede. Siamo solo ad inizio stagione e, come è giusto aspettare prima di togliere Inter e Milan dal novero delle contendenti per il successo finale in campionato, è altrettanto corretto non farsi prendere troppo dalla facile euforia nel commentare il percorso netto degli uomini di Conte. Bene ha fatto Massimo Carrera, nell'ultimo post-gara, a sottolineare un importante aspetto caratteriale e psicologico del finale di partita: "L'anno scorso il gol dell'1-4 non l'avremmo preso". Lasciamo un attimo da parte la disattenzione finale che ha permesso ai friulani di segnare il gol della bandiera e focalizziamo l'attenzione su una considerazione di carattere più generale. Non vorrei che i giocatori della Juventus stiano cominciando a soffrire, inconsciamente, per i negativi effetti psicologici del virus della vanità: "Data la mia forza non occorre dare il massimo, tanto vinco lo stesso". La storia del calcio ha talmente tante riedizioni dell'episodio biblico Davide vs Golia che penso sia pleonastico elencare le conseguenze di questo tipo di atteggiamento.
Soffermiamoci sull'ultima partita e giudichiamo l'importanza di alcuni fattori.
Il primo, il più importante: l'Udinese ha per l'ennesimo anno smantellato il parco giocatori e impostato la nuova stagione partendo dalle incredibili capacità scoutistiche dei suoi osservatori. Ceduti Isla, Asamoah, Handanovic, Torje, Floro Flores, ricomincia con i semi-sconosciuti Allan, Fabbrini, Maicosuel, Pereyra. E' chiaro che al povero Guidolin, sull'orlo di una crisi di nervi speriamo passeggera, occorrerà molto tempo per riportare i bianconeri di nord-est ai fasti delle ultime due stagioni. A tutto questo aggiungiamo gli intensi e dispendiosi 120 minuti del martedì di Champions e capiremo come già il sorteggio sia stato abbastanza magnanimo quest'anno nel farci affrontare la squadra friulana proprio in questo preciso momento della stagione. Se poi, a tutto ciò, sommiamo i 75 minuti trascorsi in superiorità numerica e con un gol di vantaggio...
Concentriamoci, allora, sul palcoscenico europeo che riavrà una storica protagonista dopo due anni di assenza in cui non è successo molto per le italiane, tranne che la perdita del podio nel ranking Uefa e, di conseguenza, la garanzia dei 4 posti nella massima competizione. Ho visto una buona parte della gara che assegnava la Uefa SuperCup tra l'Atletico di Madrid e il Chelsea, nostro primo avversario nel girone di CL nonché detentore del trofeo. Troppo brutto per essere vero, il club del quartiere nobile di Londra è stato surclassato da quello meno nobile di Madrid (anche se ultimamente più vincente dei cugini merengues). I colchoneros sono allenati da uno dei reduci del 5 maggio 2002, sponda Lazio (grazie ancora! ndr), Diego Pablo Simeone, che ha sconfitto Di Matteo usando le stesse armi utilizzate dall'italiano per trionfare a Monaco nel maggio scorso. Il verbo "trionfare" forse non è il più adatto, ma lasciamo perdere... Togli Drogba, metti Falcao e il parallelo è fatto.
Il Chelsea era schierato inizialmente con il pluri-offensivo modulo del 4-2-3-1. Difesa composta da Cech, Ivanovic, Cahill, David Luiz e Ashley Cole; duo di mediana Obi Mikel e Lampard; quartetto avanzato con Ramires, Mata e Hazard a rifornire Torres. Quando Radamel Falcao, giorni prima della gara, aveva osato dichiarare che gli sarebbe piaciuto vincere quella coppa per la prima volta, i giornalisti in sala si esibirono nella classica e incompetente risata di complemento. Confrontando i nomi delle due rose, sarebbe anche giustificabile; l'approccio alla partita ha dimostrato l'esatto contrario. Le tre vittorie consecutive (compreso un anticipo) conseguite in campionato avevano forse illuso i blues di poter fare un sol boccone degli avversari, ma i londinesi avevano fatto male i conti con la splendida organizzazione difensiva dell'Atletico e con quello che presto verrà definito il miglior centravanti del mondo, proprio il colombiano Falcao autore di 3 gol in 45 minuti. Un top-player, lo definirebbe qualcuno.
Questo qualcuno, va anche detto, venne aspramente criticato durante la sua prima sessione di calciomercato quando acquistò Leonardo Bonucci per una valutazione complessiva, tra cash e contropartite, di oltre 15 milioni. La stagione con Del Neri in panchina, quella del secondo settimo posto, sembrava rappresentare, con questo e tutti gli altri acquisti, i prodromi di un fallimento tecnico ed economico totale. Nel gennaio successivo il Chelsea formalizzò il tesseramento del coetaneo di Bonucci, David Luiz, per 25 milioni di euro, 20 + Matic al Benfica. Molti dei cosiddetti esperti usarono questo affare per certificare l'incapacità di Marotta quando deve muoversi nel mercato internazionale, difetto questo in grado di farci perdere molti futuri campioni. Sulla scarsa conoscenza marottiana del "giro grosso" internazionale, abbiamo già ampliamente parlato qui, e non aggiungo altro perché mi trovo d'accordo. Ma dopo aver visto la prestazione di Luiz contro l'Atletico Madrid mi viene quasi da pensare che sia una fortuna per noi che Marotta non frequenti certi procuratori e certi ambienti!
Non è il nome che fa il campione, non è il prezzo, non è il suo appeal o la buona stampa di cui può godere. Questo vale in un senso e nell'altro (se un calciatore viene pagato poco e/o in pochi lo conoscono non vuol dire che non sia un buon elemento). Quello che interessa a noi, in questo momento, è che i nostri calciatori, fregiatisi del titolo di Campione d'Italia, non pensino di essere passati in pochi mesi da brocchi sovrastimati a supercampioni imbattibili. Un Atletico Madrid è sempre nascosto dietro l'angolo ad aspettare un avversario in queste condizioni.
La nostra fortuna è che a vigilare sui pensieri di Bonucci e compagni c'è, seppur dietro un vetro, un uomo che della presunzione e dei pronostici non sembra avere una grande considerazione.