L'Alex downunder

Del PieroIl nodo di Alex alla fine si è sciolto: a quasi quattro mesi di distanza dal tributo regalatogli dallo Juventus Stadium per la sua ultima gara di campionato con la maglia che ha indossato per 19 anni, le lunghe riflessioni del ragazzo di San Vendemiano hanno prodotto la scelta del Sydney F.C. e quindi del campionato australiano. Una scelta downunder sotto diversi aspetti, una scelta che immaginiamo ragionata e a lungo rimuginata, visto il tempo non proprio ristretto che ha richiesto. Una scelta che, a mio modo di vedere, va letta e interpretata sotto due aspetti, uno prettamente tecnico e l'altro più, per così dire, filosofico.

Dal punto di vista tecnico, credo che questa scelta non faccia che confermare e dare forza alla presa di posizione della società Juventus, che da più di un anno aveva ritenuto di non dover continuare il rapporto col suo eterno campione giunto ormai alla soglia dei 38 anni. Aveva deciso così ed è andata avanti sino in fondo, non curandosi di una campagna mediatica che premeva per un ulteriore, ennesimo prolungamento di contratto. Una campagna sulla cui genuinità ci sarebbe da interrogarsi, visto che certe posizioni mi sono sembrate mosse più da un tentativo di mettere in difficoltà la Juventus nell'anno in cui stava ritornando a vincere piuttosto che da effettivi convincimenti circa l'apporto concreto che Del Piero avrebbe potuto ancora dare alla Juventus. E infatti, come accennavo, la scelta downunder dell'ex numero 10 sembra, almeno ai miei occhi, una conferma delle buone ragioni tecniche (e non) che hanno spinto la Società a chiuderla lì. Se Del Piero fosse stato, nella sua testa prima che ancora che nei giudizi altrui, un giocatore in grado di competere ad alti livelli non avrebbe compiuto una scelta di così basso valore tecnico ma di così alti significati extra tecnici. Come ha confermato lui stesso, avrà sicuramente ricevuto offerte da parte di campionati competitivi, e per competitivo è da intendere il calcio che si gioca nel Vecchio Continente (Celtic e Liverpool sembra abbiano compiuto più di un sondaggio) o, al limite, in Sudamerica. Con tutto il rispetto, quello è calcio, quello che si gioca nella lega australiana è quasi un altro sport. Però hanno prevalso altri fattori, e li ha spiegati lui stesso nella conferenza stampa: sarà la star del torneo, avrà una squadra tutta basata su di lui, diventerà una specie di ambasciatore del calcio australiano nel mondo e sicuramente avrà modo di maturare esperienze e stringere contatti che potranno tornargli utili una volta terminata la carriera agonistica. Questo lui ha scelto, e questo è lontanissimo, direi quasi è downunder rispetto a ciò che rappresenta il calcio di alto livello, di cui la Juventus fa parte. La Juventus non lo riteneva più un giocatore adatto a quei palcoscenici e lui, tra una gamma (a suo dire) amplissima di scelte, ha optato per quella che indirettamente conferma la validità della decisione presa in Corso Galileo Ferraris.

C'è poi un aspetto quasi filosofico che a me pare di cogliere. Andrà a giocare dall'altra parte del mondo, a 15.000 km di distanza dall'Italia: una lontananza che da fisica diventa metaforica, ed è la grande distanza appunto filosofica, culturale e comportamentale che c'è tra Alessandro Del Piero e la Juventus come la conosciamo oggi. Lui è ormai diventato un fenomeno trasversale, gode di simpatie e stima illimitate che sono state, da ultimo, ribadite in un sondaggio che lo ha eletto sportivo più amato d'Italia, davanti a Valentino Rossi. Una trasversalità che Del Piero si è saputo guadagnare negli anni col suo comportamento, con la sua grande intelligenza (ben al di sopra della media dei suoi colleghi), e con scelte comunicative che sempre sono andate in quella direzione. Un obiettivo che lui ha saputo raggiungere nella sua carriera al pari di quelli sportivi, e al quale dimostra coi fatti di tenere molto. Alcuni esempi? Su Calciopoli, argomento scottante che divide, parole sempre molto (troppo) misurate in rapporto al ruolo che ricopriva, spot commerciali che interpretava declamando i due scudetti in meno come il sentimento popolare richiede e, non da ultimo, nemmeno mezza parola spesa pubblicamente in difesa di tre suoi compagni di campo coinvolti nella farsa di Scommessopoli e sottoposti per mesi ad una vergognosa gogna mediatica. Un Del Piero che piace a tutti proprio perché non dice mai nulla di sconveniente (un po' come Buffon fino a un anno e mezzo fa, e infatti il cambiamento repentino gli ha portato non pochi grattacapi, vedasi quanto accaduto a fine maggio), nulla che il sentire comune prevalente non voglia sentirsi dire.

Tutto ciò è lontanissimo, direi ancora che è downunder, da ciò che la Juventus è oggi, da come agisce nello scenario sportivo e dalle battaglie che fa. La Juventus è da sempre un fenomeno che divide, che genera amore e odio, e quella attuale ancora di più in quanto costretta a recuperare tutto il terreno perso nei primi quattro anni post Calciopoli, quando qualcuno pensò potesse diventare ecumenica, accomodante, simpatica. Quindi, nei fatti, perdente. Oggi la Juventus è ritornata a subire attacchi da molte direzioni e a suscitare antipatie, a vincere e a dividere. Ha un Presidente e un allenatore ai quali di piacere a tutti non è mai importato nulla, anzi hanno sempre vissuto la Juventus nel culto dell'antipatia che le deriva dall'essere per dna vincente. Una Juventus che è costretta ad essere così se vuole essere se stessa, ed a costringerla è un sistema mediatico che da sempre ha soffiato sul fuoco della scarsa cultura sportiva di questo Paese, alimentando gli odi di tutta quella parte d'Italia che periodicamente ha duellato e ha perso contro la Juve, ma ha sempre attribuito i suoi insuccessi a motivi extracalcistici, dalla sudditanza psicologica alla Fiat, dal doping a Moggi.
Da questa Juventus il Del Piero "campione di tutti" è filosoficamente distante quanto quei 15.000 chilometri che a breve lo separeranno dall'Italia. Lui che oggi è un'icona trasversale, che tanto più continuerà ad essere sostenuto e riverito quanto più eviterà di scendere nell'agone che vede contrapposti la Juventus e un sistema calcio da radere al suolo per costruirgli un futuro credibile, oggi non è l'uomo adatto a rappresentare questa Juventus. Forse lo sarà in futuro, qualora malauguratamente la proprietà volesse innestare la retromarcia e ritornare alle posizioni accomodanti ed ecumeniche di qualche anno fa oppure quando la battaglia sarà stata vinta e non servirà più una Juve con l'elmetto. Per ora, però, il suo posto è downunder, dove il mondo (e quindi anche il calcio) lo si guarda sottosopra.