La Juventus ha già vinto, il Milan ha già perso

bonipertiEhi calma, non sono impazzito all'improvviso. "Alla Juve vincere non è importante, è l'unica cosa che conta" è una frase che vale ancora, e l'idea di poter chiudere la stagione con due secondi posti (i primi degli sconfitti) nelle due competizioni giocate non può essere del tutto scartata a priori, anzi. Però a volte, in determinati momenti storici, è necessario fare anche altri tipi di ragionamenti senza per questo abiurare la religione della vittoria (quella di quando arrivi primo) come unico punto di arrivo soddisfacente possibile.
Mancano otto partite di campionato e una finale di Coppa Italia che spiegheranno in senso bonipertiano se questa stagione è stata vincente o no. Non ho dubbi che chi deve vincere lo scudetto dovrà "sputare (anche se il verbo era un altro) sangue fino all'ultima partita", come ottimamente sintetizzato nel discorso alla truppa del Generale Conte. Non lo nego, da pelle d'oca. Piccola parentesi: Conte non ha nulla da imparare su tanti aspetti, primo tra tutti forse proprio quello di come si stimola un gruppo di lavoro a livello psicologico. "Allenatore di cervelli" si diceva di uno dei suoi maestri, Marcello Lippi, e sicuramente otto anni alle sue dipendenze più l'innata passione per la materia ne fanno un docente di primo livello. Sono quindi convinto che questa sia stata effettivamente la prima volta che il mister abbia parlato ai suoi uomini di obiettivo scudetto, e lo abbia fatto al momento giusto: il secondo posto è praticamente blindato, la prima dista solo due punti e manca una manciata di partite. Tutti gli step sono stati raggiunti e si può passare a quello finale, ed è giusto che un gruppo che veniva da dove veniva sia stato gestito in questa maniera, anche se a volte taluni hanno storto il naso per il profilo troppo basso, l'esaltazione del Milan e delle altre concorrenti opposta ai "due settimi posti" della Juve. Era giusto così, lo dicono i fatti: la squadra non si è depressa, ha avuto un fisiologico periodo di calo fisico, ma da un mese a questa parte è ripartita probabilmente pure più forte e più convinta rispetto ai primi mesi di lavoro. "La vittoria non la si inventa dalla sera alla mattina", ha ripetuto spesso, bisogna seguire un percorso, fare tanta strada. E la strada ci ha portati a questo punto, a giocarci tutto in nove partite godendo di una condizione fisica e mentale eccellente.

Questo è uno dei motivi per cui la Juve ha già vinto, anche in deroga al regio decreto bonipertiano. Ha vinto perché i due settimi posti bisogna guardarli veramente, non per piangersi addosso ma per comprendere appieno cosa è stato fatto e soprattutto cosa può essere fatto nel futuro. Un anno fa c'era una squadra che aveva paura anche della sua ombra, che non aveva uno straccio di idea da mettere sul campo se non, in talune partite, l'agonismo, talvolta esagerato. Era una squadra che subiva tanti goal, spesso uguali. Che stava buttando via anche quel poco di talenti che aveva ancora, con giocatori come Buffon, Chiellini, Marchisio, entrati in una spirale involutiva che sembrava senza possibilità di risalita. Oggi c'è un squadra che ha la miglior difesa d'Europa, che ha fatto un percorso di 34 partite senza mai perdere ed ha ribaltato tutto: non ha paura più di nessun avversario, perché non ne esiste uno che l'abbia messa sotto e che le abbia impedito di fare quello per cui è stata progettata sin da luglio: giocare a calcio. La Juve gioca, contro chiunque. E non ha paura perché non butta più via la palla ma crede ciecamente nello spartito che ha imparato a memoria. La palla inizia a girare dalla difesa, anche quando gli avversari ti aggrediscono ringhiosi: fiducia quasi fanatica in quello che si ripete in maniera maniacale in allenamento e nessuno che sinora le abbia imposto il ritorno all'abuso del lancione lungo. La presenza di Pirlo, rifugio sicuro, le ha dato sicurezza, i risultati hanno portato autostima. L'azione parte anche dai piedi di gente come Chiellini e De Ceglie, mica Beckenbauer e Scirea. Anche a costo di rischiare qualcosa e di far venire (mica è mi successo poche volte quest'anno) qualche coccolone a chi la guarda.

La Juve quindi ha già vinto perché è uscita dalle sabbie mobili e, male che vada, conseguirà un secondo posto che non sa di ultimi fuochi del passato, come poteva essere quello del 2009, ma profuma fortemente di futuro. Ritornerà comunque in Champions dal portone principale e potrà agire con calma e ponderazione per colmare quelle lacune che sono emerse e che forse (ma non è detto) faranno la differenza tra un primo e un secondo posto. Ma dal 21 maggio, vada come vada, si ripartirà da una base solida, non più dalle macerie. Si ripartirà da una Juve già forte, che ha ricominciato a meritarsi il timore reverenziale degli avversari e a sentirsi forte, che deve essere migliorata e non più rifondata o rivoluzionata. E ritornerà a giocare su un palcoscenico che, mi sbilancio, le sarà molto più congeniale rispetto a quanto non lo sia stato storicamente, quello europeo. Sì, mi espongo a costo di rischiare una figuraccia: oggi la Juve ha già vinto perché è la più europea delle squadra italiane. E di gran lunga, secondo me. Se in Italia giocare bene a calcio non sempre paga, in Europa avere un impianto di gioco consolidato ed efficace è sempre stato un lasciapassare migliore dell'essere legati all'estro del singolo. Poi chiaramente inserire campioni veri in un impianto del genere è (deve essere) il passaggio obbligato, perché non si vince solo col gioco e solo con tanti diligenti soldatini. Quindi la Juve ha già vinto ed ha iniziato a vincere quando ha compiuto la scelta tecnica più importante del post Calciopoli, ossia affidarsi ad Antonio Conte, vero punto di svolta e pietra miliare di tutto quanto appena esposto.

E il Milan perché ha già perso? Perché la rinascita della Juventus ha trasformato quella che una volta era la nostra fiera rivale di mille battaglie nella copia (scadente, come ogni imitazione) dell'altra squadra meneghina. La Juve gli ha tenuto testa per tutto un campionato che in teoria avrebbe dovuto ricalcare la cavalcata trionfale di quello precedente, e poi lo ha eliminato dalla Coppa Italia. Gli ha imposto due cocenti sconfitte (in casa e fuori) e altrettanti pareggi in quattro scontri diretti. Questo ha mandato i rossoneri nel pallone, facendoli sprofondare in un vortice di vittimismo e di figuracce come difficilmente se ne vedono nel corso di una sola stagione. Hanno già stabilito che se non vinceranno lo scudetto (e la paura ora se li sta divorando) sarà per colpa del goal di Muntari che da solo vale tutto il campionato. Hanno accusato l'avversaria diretta per ogni ostacolo che si è presentato sul loro percorso, dal non accoglimento del ricorso per la squalifica di Ibrahimovic al presunto goal fantasma (che goal non è mai stato, ma solo fantasma) di Robinho. Non vincendo mai, hanno preteso che venisse loro riconosciuta la vittoria al 90' del ritorno di Coppa Italia. Hanno persino sputato su un loro ex giocatore che per dieci anni ha onorato la loro maglia, inventandosi gomitate mai esistite. Insomma, quasi una mutazione genetica. Solo pensare che una volta ci si confrontava con un signore come Carlo Ancelotti e adesso con le bassezze di un livornese presuntuoso rende abbastanza bene l'idea di quello che è accaduto in quella che una volta era la parte migliore (o meno peggio) del Naviglio. Cosa rimane loro, oggi? Solo rifugiarsi nelle doti del giocatore più dominante dell'ultimo decennio in campionato, in tutti i campionati cui ha partecipato. Ma, a 31 anni, il declino arriverà anche per lui. Forse vincerà ancora un altro scudetto (forse...), ma poi? Nel frattempo, insieme al dominio in campionato ha portato con sé l'effetto collaterale di far perdere la connotazione europea alla squadra italiana che più di tutte ne era dotata. Ecco, pensare al Milan senza Ibra, o dopo Ibra, fa capire ancora di più perché, comunque vada, la Juve abbia già vinto e il Milan abbia già perso.