Secco e l'eredità moggiana

SeccoJacques Bainville diceva che i vecchi si ripetono e i giovani non hanno niente da dire. Vero, ma spesso il non dire è una gran virtù, soprattutto in questi barocchissimi tempi dove persino una castroneria sembra meglio del silenzio, nel calcio come in televisione. L’horror vacui catodico d’altra parte è una persecuzione ormai ventennale, da quando i calciomaniaci Fininvest presero a inondarci di sciabolate e di “cinque secondi per noi”, in cambio di più riprese, più replay, più emozioni, più partite (più Milan?). Ma le somme algebriche e gli accumuli non sono quasi mai sinonimo di qualità, nondimeno le forme non sempre preannunciano i contenuti. E di questo pare essere conscio Alessio Secco, il nuovo direttore sportivo della Juventus, trentaseienne taciturno e sotterraneo come il suo cursus honorum: dapprima addetto ufficio stampa dall’aria impiegatizia, quindi team manager rampante, infine ds, senza nessun timore di occupare lo scranno che fu di Luciano Moggi, riconsegnato vergine dai marosi estivi.
Era il 23 maggio scorso quando Alessio si palesò al grande pubblico, scortato da Carlo Sant’Albano in veste di chaperon e dall’ancora aziendalista Capello, nella veste di venditore di sogni. "Da oggi la Vecchia Signora è un po’ meno vecchia" disse qualcuno, tra lo stupore del circo pallonaio e la felicità delle nonne che, una faccia fresca e pulita come quella, l’avrebbero fatta volentieri entrare in casa per maritare una nipotina.
Ma bisogna chiudere gli occhi e fidarsi perché Secco parla di rado ma sembra sapere molto, dal momento che, con Roberto Bettega e il dottor Agricola, è uno dei pochi superstiti della passata intellighenthia. Il ragazzo, poi, non vede l’ora di risplendere di luce propria: “la mia non è una sfida con Moggi. Non sono e non sarò mai il re del mercato. Ho raccolto un'eredità pesante, ne sono consapevole. E, per affrontarla, ho scelto di rimanere me stesso. Sapete cosa mi dicono tanti operatori: "Alessio, proprio non te la tiri...". Non potrebbero farmi complimento più bello. Lavoro e piedi per terra”.
Un manifesto programmatico impeccabile che promette sudore e rimboccamenti di maniche, ma non ingannino quel suo viso da arcangelo annunciatore e quella innocenza da putto rinascimentale perché, dietro le apparenze, par di vedere grinta e perizia. Intanto lo aspetta l’esame più importante, quello della rifondazione tecnica e del rilancio, con l’ombra moggesca a fargli suo malgrado compagnia. Non ci si aspetta, fin da subito, che scambi Carini con Cannavaro, ma che sappia sì destreggiarsi tra gli intrecci e i fili ritorti del calciomercato, in modo che un giorno si possa parlare orgogliosamente di lui e lui pensare, tra sé e sé: “Avete visto? Anche i giovani hanno qualcosa da dire”.