La Juve dall'exploit all'impresa, ma solo con l'aiuto di tutti

conteConte (Conferenza stampa pre-Milan, 24 febbraio 2012): Abbiamo raggiunto uno step decisivo, quello di essere tornati competitivi. Io mi ero posto questo step... diversi step mi ero posto.... lo step più importante era quello di tornare competitivi. Io penso che questa competitività l'abbiamo raggiunta e questa è una bellissima cosa e deve essere un motivo di orgoglio e di soddisfazione per i calciatori, per me, per la società, per i tifosi”.


Certo, tornare ad essere competitivi, a ‘far paura’, è stato uno step importantissimo: ma ben poco vale se non si supera anche il secondo, perché non superarlo farebbe fare un passo indietro, sia a livello pratico che psicologico. E sarebbe cosa grave per una squadra che al primo step è arrivata prima di tutto con la testa: togliendo dalla mente la paura della sconfitta, della palla che scotta tra i piedi, e instillandole la coscienza di essere un gruppo in cui ognuno, anche chi non gioca, fa la sua parte. E Conte, anche e prima che sulla tattica, ha lavorato sulla testa e sull’autostima dei suoi.
Ma adesso, per arrivare al secondo step, quello utile a dimostrare che di un ritorno si tratta e non semplicemente di un exploit, bisogna essere bravi, bravi anche a cambiare, tutti: certo, devono cambiare i giocatori, avviarsi a fare il salto di qualità, da buona squadra a top team; ma loro hanno bisogno di aiuto.

- Dal loro mister innanzitutto: che, come è stato bravo a dimostrare flessibilità rispetto al suo modulo, smentendo chi ne faceva un talebano del 4-2-4, ora deve essere altrettanto in gamba nell’esercitare in modo altrettanto flessibile la sua leadership.
Basta col gridare al miracolo, serve l’impresa, non il miracolo, che non esiste nella realtà. Questi uomini non hanno dato il 120%, hanno dato tutto quello che potevano, al momento, dare (di gambe e di testa, perché i limiti oggettivi evidenziati da qualcuno, Bonucci e Vucinic su tutti, sono di testa e non di gambe); hanno fatto il loro dovere fino in fondo, per meritare l’onore di continuare a vestire questa maglia, che non è maglia per mediocri e ignavi, è maglia di chi “mangia l’erba sul campo”, per dirla proprio con le parole di Conte.
Basta col dire che ci sono tante altre squadre più forti: la Juventus è arrivata lì dove si trova con le sue gambe; e lo stesso Conte sa, perché lo ha detto più volte, che non solo non abbiamo avuto regali, ma ci manca più di qualcosa in termini di punti. Quindi i numeri, che non sanno mentire, dicono che siamo in alto perché meritiamo di esserlo. E allora testa alta sia nello spogliatoio che verso l’esterno: i settimi posti non appartengono a lui e a questa Juve, non possono e non devono diventare un alibi per nessuno.
Avanti ancora col lavoro, tanto lavoro, perché questo è il primo dovere suo e dei suoi ragazzi: che devono solo continuare ad essere fieri di poter partecipare all’impresa. Tutti, anche quelli che finora hanno assaggiato tanta panchina o tanta tribuna e che hanno il dovere di farsi trovare pronti.

- Dalla dirigenza: Marotta la smetta di adombrare un tipo-Ibra che non ha, perché è il prezzo che la Juve sta pagando a certe sue scelte di mercato: da quello fallimentare dell’anno scorso, ai riscatti da evitare, alla promessa mancata del top player, che al coro bianconero non avrebbe certo nuociuto. Giù la testa e lavorare anche lui, nel presente per l’immagine da far passare e sul mercato in proiezione futura, traendo quantomeno una lezione dagli errori passati; perché questa maglia pesante deve sapersela meritare anche lui.
E tra i dirigenti c’è qualcuno che forse potrebbe dare una grossa mano ad Antonio Conte e alla Juve: Pavel Nedved, che, a differenza di Conte, troppo emotivamente coinvolto nell’avventura vissuta con i suoi ragazzi ad un ritmo in cui forse nemmeno lui inizialmente credeva, può riportare l’ago della bilancia su un piano di realtà. Quel Pavel, che quando giocava lottava sino all’ultimo pallone persino a risultato acquisito, che volava apparentemente oltre i suoi limiti (grazie ad un allenamento inflessibile e ad una vita rigorosamente da atleta), che nelle sue convinzioni e nelle sue decisioni è sempre andato dritto sparato, ha la tempra, ed anche il carisma, per poter essere utile a questo gruppo, dando un senso importante anche alla sua presenza in bianconero. Gode della fiducia di Andrea ed è uomo di campo, può essere utile in quel di Vinovo: non per entrare nelle scelte tecniche, che del mister sono e sue devono restare, ma per agire sul climax psicologico, che sembra preda di qualche sbandamento; si rischia, sempre per dirla con Conte, di passare dall’eustress al distress, e per qualcuno magari di cominciare a soffrire di un principio di sindrome da appagamento.

- Dai tifosi: bruttissimi i fischi di ieri sera. D’accordo, tutti ci saremmo aspettati una vittoria. E allora? La delusione si supera insieme: troppo facile gioire insieme per le vittorie e gettare la croce addosso a chi era in campo quando il risultato è inferiore a quello desiderato. Anche il tifosi hanno un loro ruolo, un ruolo affettivo: essere la bolgia che dà supporto al morale dei giocatori, ancor più utile quando la benzina ha il rosso della riserva acceso e si corre più coi nervi che coi muscoli. Anche chi sbaglia qualche giocata deve essere rincuorato: poi spetteranno al mister le scelte future, ma chi veste la nostra maglia deve essere incitato a tirar fuori il meglio di sé, per il bene della squadra. Chi non se la sente si deprima da solo davanti alla Tv.
A farci male, tanto male, ci ha già pensato Calciopoli, e continua a pensarci il sentimento popolare. Non mettiamoci del nostro.

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