Anno 2012: che Juve ci aspetta?

Antonio ConteSecondo una profezia Maya il 2012 sarà l’ultimo per il Mondo così come lo conosciamo.
In attesa di conoscere il nostro destino di comuni mortali, parlando di cose più terrene e, per fortuna, più leggere, i tifosi juventini sono ansiosi di sapere cosa riserverà loro il nuovo anno.
E qui purtroppo i Maya non ci aiutano, o almeno non ci è dato sapere se costoro avessero previsto anche gli esiti dei campionati di calcio e del nostro in particolare.
Quindi siamo totalmente al buio, dobbiamo fidarci delle sensazioni. Sarà l’anno della riscossa? La Juve tornerà finalmente a vincere qualcosa che non sia la Coppa Zaccone?
Oppure ci andrà solo vicino ma trionferanno altri?
E se invece, nella peggiore delle ipotesi, dovessero ripetersi gli eventi catastrofici che hanno caratterizzato le annate dal 2008/09 in poi?
Come la prenderemmo se, dopo essersi presentata per la quarta stagione consecutiva all’appuntamento con il nuovo anno con grandi speranze, la Juventus facesse ancora cilecca?
Autorizzo i tifosi juventini a ricorrere a qualsiasi tipo di amuleto per scongiurare il riproporsi della sfiga che negli ultimi tre anni ha colpito con regolarità e precisione chirurgica la Juventus all’approccio col nuovo anno.
Nella speranza che la tendenza sia finalmente invertita.
Eravamo speranzosi nell’inverno del 2009, quando la truppa di Ranieri, costituita in gran parte dai reduci di Calciopoli ancora in grado di fare la differenza, mancò l’aggancio alla capolista all’inizio di gennaio finendo poi in fretta fuori dai giochi e, pur concludendo al secondo posto appaiata al Milan, lo fece fra tanti rimpianti.
La stagione successiva, quella segnata dal mercato spendaccione “made in Secco” (e Blanc…), la squadra affidata a Ferrara, dopo una buona partenza, cominciò a denunciare sinistri scricchiolii a dicembre, subito dopo la vittoria contro l’Inter di Mourinho.
A gennaio il crollo fu fragoroso e l’avvicendamento di Ciro con Zaccheroni non migliorò le cose.
L’ultimo malcapitato (Del Neri) iniziò la propria avventura in bianconero fra molte perplessità, un debutto incerto e una dignitosa crescita che fino a Natale produsse risultati a dire il vero insperati.
Purtroppo, la scarsa qualità della rosa emerse appena entrò in vigore il calendario 2011 e a fine campionato scorso si è probabilmente toccato il fondo.
Scaramanzia a parte, va detto che le basi sulle quali si fonda l’attuale Juve capolista - una novità rispetto al recente passato di cui sopra - sembrano decisamente più concrete.
E vedremo se i previsti innesti di cui si vocifera porteranno a migliorare la rosa.
Mai nel recente passato la Juventus aveva mostrato quell’autorevolezza illustrata nelle prime 16 giornate, e, imbattibilità a parte, la solidità mentale del gruppo appare altra cosa se consideriamo la mano dell’allenatore.
Oggi la Juve sembra un insieme di giocatori che sanno cosa fare e, soprattutto, credono in quello che l’allenatore propone.
In passato questo aspetto non è sempre stato evidente, quando addirittura non è apparso dominante il pensiero opposto, cioè che il mister di turno difettasse in credibilità, grinta e carisma agli occhi dei suoi uomini.
Chi non ricorda gli “Eh beh, pazienza…” di Ranieri, calato appieno nella realtà (ri)dimensionata del primo periodo Secco-Blanc-Cobolli, quando un piazzamento veniva festeggiato e reclamizzato come un titolo conquistato?
Erano i tempi in cui in società ci si accontentava e noi non capivamo perché bisognasse accontentarsi di essere i primi (o i secondi) fra gli sconfitti. E loro, dirigenti e allenatore, non capivano noi.
Semplicemente perché non potevano capirci: troppo poco juventini loro, troppo juventini noi.
Chi si dimentica del volto di Ciro Ferrara, cui non mancò mai il coraggio di presentarsi in sala stampa prendendosi responsabilità anche - forse soprattutto - non sue e senza accampare scuse?
Certo che di fronte ad un crollo come quello che lo travolse negli ultimi mesi di panchina bianconera il buon Ciro appariva come un condannato rassegnato di fronte al plotone d’esecuzione, esattamente la stessa fine toccata - dopo un’iniziale ma effimera scossa emotiva - al suo successore, Alberto Zaccheroni.
E che dire di Del Neri?
Lui, l’uomo che dopo la sconfitta di Bari alla prima giornata dello scorso campionato esordì con un laconico: “Noi non partiamo per vincere lo scudetto”, frase che seppur corrispondesse a pura verità - dopo serena e obiettiva analisi degli effettivi a disposizione - l’allenatore della Juventus non dovrebbe assolutamente mai pronunciare.
Antonio Conte invece la parola scudetto la nomina poco in pubblico ma, se lo conosciamo un pochino, siamo certi che da agosto sta tartassando i suoi in quella direzione, verso quell’obiettivo.
La tanto reclamizzata “fame” è una parola che è sinonimo di povertà e problemi, ma se affiancata da “di successi”, ecco che la parola “fame” smette di assumere quel significato negativo e diventa la leva più consistente sulla quale si basa il lavoro di Conte.
Che a differenza di altri tecnici del passato ha dalla sua alcuni vantaggi: l’appoggio incondizionato dei tifosi, della società e di un presidente juventino quanto lui.
Cioè uno che di festeggiare un “onorevole piazzamento” dopo aver fatto tanta fatica non si accontenta.
BUON ANNO A TUTTI.