Il tavolo della pace: incontro familiare o cena delle beffe?

andrea agnelliAndrea Agnelli nella sua conferenza stampa aveva proposto un tavolo politico in cui “dovranno confluire due grandi elementi: da una parte tutti i fatti che hanno concorso a generare il fenomeno del 2006 e dove questi si possano serenamente valutare e trarre le giuste conclusioni, alla luce di tutti i fatti emersi dal 2006 al 2011; dall'altro, concentrare i nostri sforzi - lo dico come istituzione, lo dico come società, lo dico come persona che ha ricevuto una grandissima educazione sportiva, che è presidente di una società di calcio, che è un consigliere federale della Federazione Italiana Golf - quindi dove possano confluire tutti i nostri sforzi per creare un futuro allo sport italiano migliore ed in particolar modo -. come ha giustamente citato il presidente Petrucci oggi - il futuro del calcio ad alto livello, che mi piace ricordare, è una delle prime dieci industrie italiane ed una dei maggiori contribuenti dello Stato Italiano. Quando dico questo, dico in particolare, leggi sugli impianti sportivi che sono ferme, legge 91/81, che è obsoleta, la legge Melandri, che alla ricerca di un principio di equità ha invece generato un principio veramente difficoltoso da gestire; la riforma del codice di giustizia sportiva. Questi sono alcuni esempi dove il mondo dello sport deve confluire su un unico tavolo e cercare di portare avanti un discorso di crescita. Questo tavolo ha la possibilità di portare avanti questi discorsi se ci sono le volontà politiche da parte di tutti".

Ora quanti oggi parlano di questo tavolo non hanno forse ascoltato bene questo discorso di Andrea Agnelli e vanno parlando di ‘incontro familiare’, di armi sotto il tavolo (ci sarebbe da stare attenti alle cimici piuttosto), per non parlare del solito Abete che afferma che in Figc non ci sono figli e figliastri, con ciò negando quella clamorosa disparità di trattamento evidenziata dalla Juve nel suo esposto e in tutte le sedi sportive adite, tutte dichiaratesi non competenti; il che è anche peggio del vedersi dar torto, ma il motivo è evidente: per dar torto occorre spiegare che l’avversario è in errore, che tale disparità non esiste. Ma i fatti, prima ancora che l’eloquentissima relazione di Palazzi, sono lì a conclamare tale diversità.

Lunedì, dopo che il solito Abete aveva parlato di un fortino federale ben difeso, per poi smentirsi pochi secondi dopo affermando che comunque non è un fortino, è qualcosa di trasparente (forse un palazzo di vetro?) entro il quale però certe cose, come il rebus Preziosi, sono difese ad oltranza perché mai possano trasparire, è intervenuto Petrucci, l’uomo ‘che non deve chiedere mai’, perché anche Moratti corre, fiducioso, ad un suo cenno; e il presidente del Coni ha parlato di un incontro familiare, cui deciderà lui chi invitare.

Dati questi presupposti, l’incontro familiare rischia di diventare qualcosa di simile ad una ‘cena delle beffe’, cui Andrea Agnelli, con l’intercessione dell’autorevole Petrucci/Tornaquinci, invita Neri/Moratti e Gabriello/Abete, per riappacificarsi ma anche per por rimedio alle ingiustizie subite. I due accettano, perché tengono in alta considerazione ‘l’autorevole’ anfitrione, cui portano rispetto, ma anche perché pensano di averla vinta una volta per tutte su Giannetto, pardon, Andrea, che considerano un vaso di coccio stretto tra vasi di ferro, e che è destinato, per loro, ad uscirne con le pive nel sacco, dopo aver rimediato un’ulteriore, ultima sconfitta. Qui finisce l’analogia con la finzione teatrale di Sem Benelli, perché non siamo più in quel mondo. L’ha riconosciuto Abete: “La Federazione fa parte di un ordinamento nazionale che fa riferimento ad una serie di norme e regole (che, non essendoci figli e figliastri, dovrebbero valere per tutti in egual misura…); come ordinamento, quello della Federazione è al di sotto di quello del Coni, che a sua volta è al di sotto di altri ordinamenti nazionali e internazionali”. E appunto per questo Agnelli, che ha esplicitamente a sua volta riconosciuto che l’ordinamento giuridico sportivo è all’interno di quello della giustizia italiana, a quest’ultima si è rivolto: davanti alla non competenza, dichiarata, della giustizia sportiva a por rimedio ad una situazione che più incresciosa non avrebbe potuto essere, ha fatto i passi necessari, uscendo dal fortino ed entrando in quello che viene chiamato Palazzo di giustizia; la Figc, seguendo le sue vie e mandando in prescrizione tutto, etica inclusa, ha causato danni patrimoniali? Non vuol sentirne parlare più? Risarcisca… Ma Abete conclude: “Legittime le battaglie dei presidenti (ma allora perché scagliarsi contro la Juventus e Andrea? ndr), ma la Figc articolerà le sue posizioni contando di avere successo come capitato finora”, Potrà articolarle ed anche aggettivarle, ma aver successo in casa propria, dove padroneggiano le regole ‘su misura,’ è abbastanza agevole; c’è tuttavia differenza tra giustizia sportiva e ordinaria, lo ha detto ripetutamente lo stesso Abete. Ebbene, la Juventus se ne è convinta e chiede semplicemente alla giustizia italiana (ma è il caso di salire più su, in sede europea: se l’ha fatto, con successo, la signora Karen Murphy, può ben farlo anche la Vecchia Signora) di essere risarcita dei danni che l’applicazione di una giustizia sportiva a due velocità, con conseguente disparità di trattamento, ha causato. Tutto qui. Questo è compito del TAR, lo ha riconosciuto anche il TNAS. Allora forse è meglio lasciar la parola al TAR e disimbandire la tavola della cena delle beffe: di quelle ne abbiamo subite a iosa, per ora basta, grazie.